I dati del rapporto consumo di suolo 2018 presentati la settimana scorsa da Ispra a Montecitorio non sono rassicuranti, per non dire preoccupanti.
A spingere sono soprattutto le regioni del Nord Est, sotto l’onda della ripresa economica, ma la copertura artificiale del terreno aumenta anche in tutte le altri parti del paese.
Una copertura che nel solo 2017 ha investito 52 km2, 5.200 ettari, che dividendola per il tempo dà un ritmo di 2 metri quadrati al secondo o, con un’immagine più evocativa, una piazza Navona ogni due ore.
Solo i cantieri coprono una superficie di 3mila ettari, mentre infrastrutture e costruzioni avanzano anche in zone protette e aree vincolate paesaggisticamente come fiumi, laghi, vulcani, montagne e soprattutto zone costiere, dove ormai sono già più di 350mila gli ettari urbanizzati.
Un valore che è pari all’8% di tutta la superficie vincolata e che rappresenta quasi un quarto di tutto il consumo di suolo a livello nazionale.
Le costruzioni e le coperture di terreno non si fermano nemmeno nelle zone a rischio idrogeologico, con un 6% delle nuove coperture realizzate in zone a rischio frana e il 15% in quelle a rischio idraulico medio.
Una situazione che ha ovviamente anche un costo, non solo ambientale. Ispra stima circa 1 miliardo di euro solo di danni immediati dovuti alla perdita della capacità di stoccaggio del carbonio e di produzione agricola e legnose degli ultimi cinque anni.
Una cifra che però aumenta a circa 2 miliardi di euro all’anno se si considerano i mancati servizi ecosistemici come la regolazione del ciclo idrologico, dei nutrienti, del microclima, miglioramento della qualità dell’aria, riduzione dell’erosione.
Un danno che investe ovviamente anche l’agricoltura, che come sottolinea Coldiretti, nel corso degli ultimi 25 anni ha visto sparire un quarto della campagna italiana, lasciando disponibile solo 12,8 milioni di ettari di superficie agricola utilizzabile.
Una situazione a cui è necessario porre rimedio sia dal punto di vista culturale che normativo. La legge sul consumo di suolo è ferma in Senato dalla scorsa legislatura.
Una legge che ora il ministro dell’Ambiente Costa ha dichiarato essere la priorità del suo dicastero. “Oltre a consumo di suolo zero – ha osservato il ministro – parliamo anche di spreco del suolo: saremo particolarmente attenti alla preservazione del suolo all’interno dei parchi e delle aree protette, in linea con le finalità di tutela ambientale”.
“Sono favorevole - ha aggiunto Costa - all'acquisizione al demanio dei manufatti abusivi. Mi piacerebbe che gli oneri di urbanizzazione di questi suoli non debbano confluire nelle spese ordinarie dei Comuni. Ritengo che dobbiamo cambiare il paradigma davvero e fino in fondo”.
Considerando le prospettive di qui al 2050, anno in cui ci si pone l’obiettivo dell’azzeramento del consumo di suolo, secondo la proposta di legge, Ispra individua tre scenari.
Il primo, in caso di approvazione della legge ferma in Senato, vede associarsi ad una progressiva riduzione della velocità di trasformazione del suolo una perdita di terreno pari a poco più di 800 km2.
Il secondo, nel caso in cui si mantenesse la velocità registrata nel 2017, stimerebbe un consumo superiore ai 1.600 km2.
Nel terzo caso, se la ripresa economica riportasse i tassi di consumo a quelli di alcuni decenni fa, da qui al 2050 si potrebbero veder cementificati oltre 8mila km2 di terreno, qualcosa come la costruzione di 15 città all'anno, magari anche architettonicamente brutte.
E la speranza ovviamente non è una nuova crisi economica, ma una nuova modalità di ripresa economica. E soprattutto di una nuova sensibilità verso una risorsa fragilissima e non rinnovabile, come è il suolo, partendo anche dalle realtà locali e anche private.
Perché bloccare il consumo di suolo vuol dire veramente, e concretamente, salvare il paese.