"Le sfide che dobbiamo affrontare sono epocali", spiega Michael Scuse, sottosegretario all'Agricoltura del governo Usa. "Dovremo produrre il doppio del cibo entro il 2050 per sfamare una popolazione che supererà i nove miliardi di abitanti. E dobbiamo farlo in un contesto ambientale in mutamento, cercando di tutelare la natura".
Per l'Amministrazione Obama non ci sono dubbi: la risposta alle sfide globali arriverà dall'innovazione. Colture più resistenti a parassiti e alla siccità, piante in grado crescere su suoli marginali, sabbiosi e salini. Tecniche agronomiche nuove e colture che aumenteranno le resa e miglioreranno la salute del consumatore.
"La prima vera rivoluzione agricola e stata quella del trattore, poi è arrivata la chimica. Ora è il momento dei big data e dell'informatica", predice Laura Foell, dell'Us Soybean Export Council, che in Iowa ha un'azienda agricola in cui produce soia e mais.
"Portare un computer in campo ormai è una cosa usuale, ma fra poco vedremo volare i droni sulle colture. Informazioni ci arriveranno dai satelliti, mentre l'analisi dei big data ci dirà come approcciarsi ai campi".
Ma cosa sono i big data? Si tratta di dati complessi, per la loro mole e soprattutto gestione. Aziende dell'hi-tech come Microsoft stanno sviluppando dei modelli di analisi dei dati provenienti dai molti sensori ormai sparsi nei campi per sapere esattamente lo stato di salute di un appezzamento. Dati essenziali per l'agricoltura di precisione, in grado di dare ad ogni singola pianta ciò di cui ha bisogno quando ne ha bisogno. Acqua nei momenti di siccità, agrofarmaci, fertilizzanti. Sapremo persino quando raccogliere i frutti, albero per albero.
Ormai il 94% delle trebbiatrici Usa ha monitor in grado di dare informazioni sul raccolto. Secondo i dati forniti durante l'evento il 74% dei macchinari in campo sono a rateo variabile per la distribuzione dei fertilizzanti. La stessa percentuale riguarda macchinari guidati da satelliti, mentre la metà degli agricoltori utilizza immagini satellitari.
“I droni sono usati dall'8% delle farm Usa, ma entro dieci anni prevediamo che la percentuale salirà al 70-90%”, spiega Foell.
C'è poi il capitolo Ogm: la normalità negli Usa, un argomento quasi ideologico su cui dividersi in Europa.
“Io credo che se una innovazione porta benefici, senza dare problemi di alcun genere, questa debba essere inserita tra le possibilità che un agricoltore ha. Non possiamo voltare le spalle alla scienza, né seguire solo le tendenze dei consumatori se vogliamo garantire cibo per nove miliardi di persone”, spiega Scuse.
"In Europa c'è una percezione errata dell'agricoltura statunitense", sottolinea David Green, della Us Sustainability Alliance. “Immaginate enormi piantagioni a monocultura, proprietà di grandi multinazionali. Ma così non è: il 98% delle fattorie sono di dimensioni medio-piccole, tramandate di padre in figlio”. Per Green la vera forza delle farm Usa è l'accesso diretto e semplice alla tecnologia.
Ma negli Usa, accanto ai campi seminati ad Ogm, si sta sviluppando un fiorente settore del biologico.
“La nostra associazione aggrega gli operatori di tutta la filiera, sia agricola che zootecnica”, racconta Laura Batcha, direttore esecutivo dell'Organic Trade Association. “E' un settore da 35 miliardi di dollari l'anno, e in forte crescita. Noi non usiamo Ogm, ma siamo per l'innovazione, che anche nel biologico deve essere fortemente presente. La chiamiamo "bioinnovazione" e deve partire dalla selezione dei semi fino alle tecniche di coltura. Siamo per l'agricoltura di precisione e la robotica e per una rateo variabile che vada dal campo alla tavola”.