Accade sempre più spesso di leggere articoli e libri dove parlando di cibo e alimentazione si finisce con accusare gli allevamenti di consumare enormi quantità di acqua o di inquinare più di ogni altra attività dell'uomo, trasporti e industria comprese.
Un equivoco nel quale cadono persone di buona levatura culturale, ma di scarsa conoscenza di questi temi, che si rifanno a qualche dato generico senza i necessari approfondimenti.

Così cadono nella "trappola" di credere che per produrre un chilo di carne occorrano 15mila litri di acqua, o che le emissioni di gas climalteranti prodotte dai ruminanti contribuiscano per oltre il 14% al "buco nell'ozono".
L'enormità di queste cifre dovrebbe far sospettare un'interpretazione anomala dei dati.
Ma la stessa "enormità" contribuisce a far presa sul pubblico e le fandonie finiscono, ripetute a oltranza, con l'essere ritenute vere.
 

Campagna denigratoria

Sugli allevamenti si è così aperta una sorta di "caccia alle streghe" tesa a demonizzare le produzioni animali, magari per favorire surrogati sintetici che godono di investimenti miliardari.
Bene ha fatto allora Cia, la Confederazione italiana agricoltori, a organizzare un incontro sul tema "Allevamenti bovini e transizione ecologica", che si è tenuto in un'azienda veneta specializzata nell'allevamento di bovini.
Un'occasione per ricordare che le stalle italiane, molto prima che si parlasse di Green Deal o Farm to Fork, si sono impegnate sul fronte ambientale per ridurre al minimo l'impatto ambientale delle loro produzioni.

Il risultato è che il settore delle produzioni animali è arrivato a pesare appena per il 5,2% sul totale delle emissioni di CO2. E meglio ancora si potrà fare con la zootecnia di precisione, con gli studi sugli alimenti che inibiscono la metanogenesi e via di questo passo.
Non si è parlato del consumo idrico. Lo faccio io, ricordando le indicazioni di Giuseppe Pulina, dell'Università di Sassari, che a questo proposito precisa che per gran parte non si tratta di acqua "consumata", ma di acqua piovana, quella che ha fatto crescere i foraggi e che torna nel ciclo idrologico.
 

Economia circolare

Va poi ricordato che l'allevamento è un mirabile esempio di economia circolare: dal campo al foraggio, dal foraggio all'alimentazione, dalle deiezioni animali ancora al campo, oppure alla produzione di energia tramite impianti di biogas.
A questo proposito, ha evidenziato il presidente di Cia, Dino Scanavino, "la sfida green vogliamo giocarla da protagonisti continuando a migliorare la qualità e la sostenibilità dei nostri allevamenti grazie alle nuove tecnologie".

Per proseguire in questo percorso, il settore zootecnico deve uscire dagli ingiustificati attacchi alla sua credibilità e sostenibilità. Al contempo vanno favoriti gli investimenti che conducono in questa direzione.
Ne va del futuro di un settore strategico che coinvolge 270mila imprese dalle quali proviene un fatturato di 40 miliardi di euro.
 

I progetti

Che la zootecnia italiana sia ai primi posti nel mondo sul fronte della qualità e per il suo impegno verso la sostenibilità, lo ha riconosciuto anche il ministro per le Politiche agricole Stefano Patuanelli, consapevole dell'importanza del settore e del suo sviluppo.
A questo proposito è stato ricordato che il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) mette a disposizione risorse che vanno in questa direzione.

Altro capitolo è quello del nuovo Sistema di qualità nazionale per il benessere animale, su cui "dobbiamo lavorare insieme - ha detto Patuanelli - per definire uno schema base di produzione e certificazione di carattere nazionale, mirato a rafforzare la sostenibilità ambientale, economica e sociale delle produzioni di origine animale".
Purché nel frattempo, aggiungo, si faccia il possibile per fermare una campagna denigratoria nei confronti di carne e latte priva di fondamento. Ma utile a favorire il latte non latte o la carne non carne.