Ma che succede al latte? Dieci anni fa per un litro di latte nelle tasche degli allevatori arrivavano 640 lire, 33 centesimi di euro o poco più. Oggi si fatica ad arrivare a 32 centesimi. Ma produrre quello stesso litro di latte oggi, come ovvio, costa molto più di 10 anni fa. E molto di più di 32 centesimi di Euro. Ne abbiamo parlato altre volte anche su Agronotizie, produrre un litro di latte costa oltre 48 centesimi, come conferma uno studio del Crpa su un campione di stalle del Veneto. Se si va in Lombardia, dove le stalle sono più grandi e strutturate i costi scendono, ma si parla solo di qualche centesimo di risparmio, nulla di più. Una situazione difficile, che si riflette sulle trattative per la fissazione del prezzo del latte che si sarebbero dovute concludere già nell'aprile scorso e che invece sono ancora in alto mare. Da una parte gli allevatori che conti alla mano rifiutano ulteriori “sconti”, dall’altra le industrie che premono per abbassare ancora i prezzi. A dar man forte alle richieste dell’industria è il carattere internazionale di questa “debacle” del prezzo del latte. In Lituania il prezzo si ferma sotto i 14 centesimi, in Lettonia sotto i 17 centesimi. Ma noi importiamo soprattutto da Francia e Germania, ma anche qui non c’è da stare allegri. Gli ultimi dati riportati dal Clal ci dicono che il prezzo del latte in Baviera è di poco più di 25 centesimi e quello che viene da Rhône Alpes si ferma sotto i 26 centesimi.
Il “Tavolo” non fa il prezzo
Con queste premesse era improbabile che il “Tavolo” indetto dal ministero dell’Agricoltura riuscisse ad arrivare ad un accordo fra industrie e allevatori. A fine giugno, infatti, il tavolo di filiera ha preso atto della impossibilità di raggiungere un accordo sul prezzo e ha ripiegato sullo studio di iniziative in grado di sostenere il settore. Un compito difficile e reso ancora più complicato dalle caratteristiche di questa crisi che non riguarda solo l'Italia, ma che coinvolge tutti gli altri Pesi della Ue, in particolare quelli a maggior vocazione lattiera, come Francia e Germania. E sono proprio questi due Paesi che hanno inviato a Bruxelles una lettera congiunta nella quale chiedono interventi per indirizzare il mercato del latte che oggi non risponde più alle normali regole della domanda e dell'offerta. E per dare maggior forza alla loro richiesta hanno istituito un comune gruppo di lavoro che dovrà mettere insieme le proposte da presentare a settembre, alla ripresa delle discussioni sulla Pac del dopo 2013, quando le quote non saranno più applicate. Gli economisti avevano già previsto che l'abbandono delle quote avrebbe portato con sé una flessione anche importante del prezzo del latte. Ciò che non avevano previsto era che l'effetto potesse giungere in anticipo. Intanto il ministro dell'Agricoltura, Luca Zaia, ha deciso di non innalzare all'85% il limite di impiego delle quote come previsto dalla riforma comunitaria dello scorso anno, ma di fermarsi al 70% fissato dalla legge 119/2003. “Nell’attuale crisi del settore lattiero – si legge in un comunicato diramato dal ministero - molti produttori, disincentivati dai bassi prezzi di mercato, saranno costretti ad utilizzare meno il proprio quantitativo di riferimento e, con un tetto all’85%, molti si troverebbero a sopportare, insieme al calo del reddito, anche la beffa della perdita di parte della quota”.
Aiuti all'ammasso
Anche da Bruxelles si cerca di correre ai ripari utilizzando al meglio gli strumenti dell'intervento e dell'ammasso. Per stabilizzare il mercato già dall'inizio dell'anno la Commissione europea ha avviato l'aiuto all'ammasso privato per il burro e reintrodotto le restituzioni alle esportazioni (una sorta di premio a chi esporta). I limiti fissati per l'acquisto all'intervento sono stati abbondantemente superati sia per il burro (81mila tonnellate contro le 30mila previste) sia per il latte in polvere (203mila tonnellate contro le 109mila previste). Questi interventi si dovrebbero concludere con il 31 agosto, ma la proposta è quella di prolungarli almeno sino al febbraio del 2010 e anche oltre se necessario. Anche da Bruxelles arriva dunque un segnale preoccupante sulla profondità di questa crisi che si preannuncia lunga oltre che difficile.