La limitata disponibilità idrica è uno dei principali fattori di riduzione della crescita e della produttività delle colture. Lo stress idrico altera in maniera significativa gli scambi gassosi, determinando un minor tasso di traspirazione e di fotosintesi e quindi una minore resa.
Le piante sono in grado di adottare complessi meccanismi sia a livello fisiologico sia a livello biochimico per far fronte alla mancanza di acqua. La risposta immediata è la chiusura degli stomi, ovvero quelle strutture poste principalmente sulla pagina inferiore delle foglie con il ruolo di regolare gli scambi gassosi tra pianta e ambiente esterno. In particolare, gli stomi favoriscono l'ingresso di anidride carbonica, necessaria per la fotosintesi, e la fuoriuscita di ossigeno e di vapore acqueo. Di conseguenza, attraverso gli stomi le piante limitano la traspirazione e quindi la perdita di acqua.
Tuttavia, gli organi che risentono prima della mancanza di acqua sono le radici, le quali si sviluppano meno lateralmente e accrescono in profondità.
A livello cellulare, invece, si assiste ad un aumento della concentrazione di soluti e/o di molecole specifiche, come la prolina o la glicinbetaina, utili al mantenimento del turgore cellulare e alla formazione di Specie Reattive dell'Ossigeno (Ros). Se in una prima fase le Ros fungono da segnale di allarme e innescano risposte di difesa alla carenza idrica, nel caso di siccità prolungata portano a danneggiamento o a morte cellulare.
Piante di girasole cresciute in rhizobox in diverse condizioni di disponibilità idrica (maggiore a sinistra e ridotta a destra). È visibile il comportamento delle radici in funzione della disponibilità idrica
(Fonte foto: Agricola 2000)
Per far fronte agli effetti della minore disponibilità idrica è necessario quindi intervenire su uno di questi aspetti.
I biostimolanti sono ormai conosciuti sul mercato per la loro capacità di modificare i processi fisiologici delle piante e, in determinati casi, aiutare le piante a superare gli effetti degli stress abiotici. Le sostanze più utilizzate per contrastare lo stress idrico sono gli estratti di alghe, le sostanze umiche, gli idrolizzati proteici e diversi microrganismi.
Gli estratti di alghe venivano utilizzati come fertilizzanti in agricoltura già ai tempi della Roma antica. Attualmente, i biostimolanti a base di estratti di alghe derivano da alghe brune come Ascophyllum nodosum, Ecklonia maxima, Laminaria spp., o Macrocystis pyrifera. I loro effetti sulle piante sono dovuti a sostanze con effetti ormonosimili.
In particolare, al loro interno si ritrovano citochinine, auxine, gibberelline e acido abscissico. La concentrazione di queste sostanze è tuttavia molto bassa (< 1%), pertanto l'azione è dovuta anche ad altri polimeri come alginati, carragenina, fucani e florotannini che le alghe, a differenza delle piante terrestri, sintetizzano e accumulano. Altri polimeri sono invece polisaccaridi, mannitolo, sorbitolo, proteine e acidi nucleici, oltre a glicinbetaina e acido y-amminobutirrico. Queste sostanze sono osmoticamente attive e in grado di indurre risposte simili a quelle date dalle citochinine (stimolano la divisione cellulare, aumentano il flusso di nutrienti, aumentano la produzione di clorofilla ed altri enzimi).
Le sostanze umiche, invece, derivano dalla degradazione della sostanza organica e dall'attività dei microrganismi. Sono molecole stabili e resistenti alla degradazione e si dividono in acidi fulvici, acidi umici e umina. Gli acidi fulvici sono solubili e possono essere assimilati dalle piante, mentre gli acidi umici restano fissati sulle pareti esterne delle cellule. L'umina risulta invece insolubile e costituisce la parte inerte delle sostanze umiche.
Gli effetti di queste sostanze riguardano sia le proprietà fisiche del terreno sia la crescita e lo sviluppo delle piante. Nel primo caso, le sostanze umiche influenzano positivamente la struttura del suolo, modificandone la densità apparente e la capacità di ritenzione idrica. Una struttura migliore del suolo determina un maggiore drenaggio, agevola la penetrazione radicale e assicura un ricambio dell'aria tellurica, oltre a favorire lo sviluppo dei microrganismi al suo interno. Nell'interazione invece con la pianta, diversi studi hanno dimostrato che le sostanze umiche stimolano la produzione di peli e primordi radicali, con conseguente aumento significativo dell'apparato radicale e della sua complessità.
Gli idrolizzati proteici sono, invece, una miscela di amminoacidi e peptidi solubili ottenuti mediante idrolisi di proteine di origine animale o vegetale. I primi sono solitamente ottenuti per idrolisi chimica (ad alte temperature e pressioni) e sono costituiti da numerosi amminoacidi liberi, ma privi di altri come il triptofano, in quanto termolabile. I secondi invece sono ottenuti per idrolisi enzimatica (avviene a temperature minori di 60°C), durante la quale i legami peptidici degli amminoacidi vengono scissi in punti specifici, determinando così un numero minore di amminoacidi liberi ma più peptidi solubili.
In generale, comunque, tutti gli amminoacidi presenti negli idrolizzati proteici (eccetto la glicina) presentano due forme: destrogira o levogira. Solamente gli amminoacidi a forma levogira sono utilizzati dalle piante, ne consegue che la qualità di un idrolizzato proteico si basa sul grado di racemizzazione, ossia il rapporto tra amminoacidi destrogiri e amminoacidi totali (minore è il valore, maggiore la qualità dell'idrolizzato).
Altra caratteristica importante è la composizione amminoacidica (amminogramma). Solitamente gli idrolizzati proteici di origine vegetale contengono più acido aspartico e acido glutammico, mentre quelli di origine animale hanno un contenuto maggiore di prolina e glicina, coinvolte nei processi di osmoregolazione e resistenza agli stress. Gli effetti positivi degli idrolizzati proteici in condizioni di stress abiotici derivano dalla capacità di stimolare lo sviluppo radicale, migliorare la nutrizione minerale e in particolare garantire una maggiore stabilità delle membrane cellulari, caratteristica indispensabile per combattere lo stress ossidativo (Ros). Inoltre, determinano un accumulo di osmoliti e un incremento del contenuto di composti antiossidanti.
Tra i biostimolanti microbici consentiti dal nuovo Regolamento dei Fertilizzanti (Regolamento UE 2019/1009) si ritrovano Azotobacter spp., funghi micorrizici, Rhizobium spp. e Azospirillum spp..
I funghi micorrizici sono sicuramente gli organismi che possono svolgere una funzione importante nell'aiutare le piante a contrastare gli effetti della scarsità d'acqua. In generale, i funghi micorrizici assorbono nutrienti minerali dal suolo e li trasferiscono alle piante grazie all'estesa rete di ife extraradicali che si estende nel suolo circostante. Le piante micorrizate non solo mostrano una crescita maggiore, ma sono in grado di tollerare meglio alcuni stress abiotici, come, appunto, la ridotta disponibilità di acqua o la salinità. Inoltre, i funghi micorrizici influenzano il metabolismo secondario delle piante, aumentando la sintesi di composti ad azione antiossidante. Va sottolineato, tuttavia, che i funghi micorrizici sono biotrofi obbligati, ovvero necessitano di un ospite (la pianta) per completare il proprio ciclo.
Piante di zucchino coltivate in serra e sottoposte a due regimi di irrigazione: a sinistra è stato mantenuto il regime di irrigazione aziendale, mentre a destra è stato ridotto del 50%
(Fonte foto: Agricola 2000)
L'utilizzo dei biostimolanti può essere sicuramente una pratica di supporto nella gestione agronomica, soprattutto nei momenti in cui le colture sono sottoposte a stress abiotici particolarmente intensi. La natura molto complessa delle sostanze biostimolanti necessita di maggiori studi per l'individuazione delle molecole attive al fine di ottimizzare le dosi e le modalità di applicazione.
A cura di Enrico Gozio, Field agronomist Crop Protection Services Department Agricola 2000
Sperimentazione e divulgazione è il progetto nato dalla collaborazione tra Agricola 2000 e AgroNotizie® con l'obiettivo di comunicare agli operatori della filiera agricola i risultati delle attività di sperimentazione sul campo.
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Il supporto è dato da prove agronomiche sperimentali che valutano l'efficacia dei prodotti valorizzandone i punti di forza in diversi areali e su diverse colture, sia in campo che in ambiente controllato. Gli elevati standard operativi, in conformità alle vigenti normative europea e nazionale, garantiscono alle aziende produttive l'ottenimento di dati certi e spendibili a fini registrativi o dimostrativi.
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Fonte: Agricola 2000