L'industria lattiero casearia dell'Unione Europea genera 192,5 milioni di m3 di reflui all'anno. Il 49% deriva dalla produzione di formaggi, il resto dalla produzione di latte (19%), yogurt e similari (18%), burro (13%) e altri (1%). I principali produttori - Germania, Francia, Italia, Polonia, Spagna e Paesi Bassi - generano il 75% dei reflui comunitari (1).

 

Il volume di reflui prodotti per unità di volume di latte processato varia molto a seconda dal prodotto e anche da un Paese all'altro: tipicamente oscilla fra 1 e 2,5 litri di reflui per litro di latte. Si tratta di reflui con un alto carico organico, con una Cod, Chemical Oxygen Demand, ovvero Domanda Chimica di Ossigeno, compresa fra 1.660 e 1.800 milligrammi/litro. Trattandosi di materia organica facilmente ossidabile, è obbligatorio il trattamento, il quale comporta un costo compreso fra 1,20 e 2 euro/m3.

 

Il recupero di energia o materia prima diventa dunque fondamentale per contenere i costi operativi del caseificio. La frazione più facile da recuperare sono i grassi, che si separano semplicemente per flottazione. Il contenuto medio di grassi nei reflui lattiero caseari è di 5,2 grammi/litro, ma questi si trovano in forma di emulsione contenente circa l'80% di acqua (2), per cui è necessario riscaldarla a 110°C per evaporare tutta l'umidità. Il profilo dei grassi così ricavati è costituito da acidi palmitico, stearico, miristico, oleico, laurico e linoleico (3), non molto diverso dal profilo dell'olio di girasole, soia o arachidi. Trattandosi di un olio ricavato da un refluo, non è utilizzabile nell'alimentazione umana o animale, per cui il biodiesel ottenuto da tale olio rientrerebbe nella definizione di "biocarburante di seconda generazione".

 

Le possibili tecnologie di trasformazione sono:

  • Idrogenazione. Tale tecnologia produce la massima resa di biodiesel e ammette una grande varietà di oli e grassi, anche ad alta acidità, ma è economicamente viabile solo in grossi impianti come quelli dell'Eni a Marghera e Gela o della francese Total a Marsiglia. Poiché il trattamento dei reflui caseari produrrebbe piccole quantità di grassi transesterificabili, è improbabile che tali grassi risultino interessanti per i colossi petrolchimici, la cui struttura logistica è impostata sull'importazione di milioni di metri cubi di olio di palma o colza all'anno.
  • Transesterificazione basica. È il processo più semplice, attuabile anche a livello di "fai da te", almeno nei Paesi dove il metanolo si può acquistare liberamente, purtroppo non è il caso dell'Italia. Il processo base richiede solo metanolo e soda caustica dosati con estrema precisione e olio o grasso con bassa acidità e assolutamente secco. Valori elevati di acidità richiedono dosaggi più alti di soda caustica, ma si forma acqua di reazione e questa tende a formare sapone, rendendo difficile la separazione del biodiesel. Mediamente, il 10% del volume iniziale di olio si perde come glicerolo residuale, per il quale bisogna trovare un utilizzo. Nel caso di un caseificio dotato di un impianto di trattamento dei reflui, tale glicerolo residuo troverebbe impiego come fonte di carbonio per il processo di denitrificazione, garantendo la circolarità dell'intero processo produttivo.
  • Transesterificazione acida/basica. Questo processo è adatto a grassi ad alta acidità. Il primo stadio utilizza una soluzione di metanolo e acido solforico per esterificare gli acidi grassi liberi. Separando il surnatante di biodiesel, acido e acqua acidificata, ciò che rimane sono trigliceridi puri, facilmente transesterificabili mediante il processo basico descritto al punto precedente. Benché leggermente più complesso, il processo acido/basico consente di recuperare la frazione di olio che altrimenti andrebbe persa come sapone residuo nel processo basico.
  • Transesterificazione enzimatica. Uno studio condotto all'Università degli Studi di Salerno (2 già citato) ha dimostrato la fattibilità tecnica di immobilizzare enzima lipasi su un substrato di nanoparticelle ferrose. Aggiungendo l'enzima e il metanolo all'olio, la transesterificazione avviene in assenza di soda caustica, quindi senza formazione di sapone e senza necessità di dover neutralizzare il glicerolo residuo. Finita la reazione, l'enzima viene recuperato mediante una semplice calamita sulla quale aderiscono le nanoparticelle ferrose. Il glicerolo si separa per semplice decantazione o centrifugazione e l'eccesso di metanolo viene recuperato per il suo riutilizzo in un lotto successivo. Non ci risulta che questo processo sia attualmente utilizzato a livello industriale.

 

Prova di transesterificazione di olio di girasole. Il sedimento di colore bruno scuro è glicerolo

Prova di transesterificazione di olio di girasole. Il sedimento di colore bruno scuro è glicerolo

(Fonte foto: Mario A. Rosato - AgroNotizie®)

 

Secondo dati di Assolatte, nel 2021 sono state elaborate 13.087.349 tonnellate di latte bovino. Supponendo una media di 1,5 m3 di refluo per m3 di latte e 5 chilogrammi di grassi secchi per m3 di refluo, la quantità di olio che si potrebbe recuperare annualmente è pari a 98.155 tonnellate, dalle quali si ricaverebbero 98.155 m3 di biodiesel. Tale produzione di biodiesel sarebbe facilmente utilizzabile nello stesso caseificio per produrre calore di processo, risparmiando sulla bolletta energetica e garantendo la circolarità dell'economia.

 

Possiamo valutare la fattibilità del recupero dei grassi caseari a scopo di produzione di biodiesel mediante un semplice bilancio energetico. Tralasciando l'energia necessaria per separare e pompare l'emulsione grassa, 1 chilogrammo di questa ultima contiene 800 grammi di acqua che è necessario evaporare completamente perché la transesterificazione è possibile solo se l'olio o il grasso è completamente secco, altrimenti si formerà sapone anziché biodiesel.

 

L'energia necessaria per evaporare 800 grammi di acqua è pari a:

 

Eevap = 2.704 kJ/kg acqua x 0,8 kg acqua/kg emulsione = 2.163 kJ/kg emulsione

 

Il Potere Calorifico Inferiore (Pci) dell'olio secco così recuperato è di circa 39 MJ/chilogrammo (in assenza di dati più specifici si è assunto il Pci medio dell'olio di girasole).

 

L'energia netta recuperabile mediante la combustione diretta di tale olio è dunque:

 

En.r. = 39 MJ/kg olio x 0,2 kg olio/kg emulsione = 7.800 kJ/kg emulsione

 

Se invece l'olio venisse transesterificato, i 0,2 chilogrammi recuperati produrrebbero 0,2 litri di biodiesel, avente una densità di circa 0,88 chilogrammi/litro e un Pci medio pari a 33 MJ/litro (Fonte: Comitato Termotecnico Italiano).

 

L'energia recuperabile dal biodiesel sarebbe dunque:

 

Er.b. = 0,2 l x 33.000 kJ/l = 6.600 kJ/kg di emulsione

 

Ricordando che 1 m3 di refluo contiene 5 chilogrammi di olio, ovvero 25 chilogrammi di schiuma grassa, il potenziale di recupero energetico per un caseificio si può stimare a seconda della strategia gestionale scelta:

  • Separare l'emulsione, seccarla e mischiare l'olio recuperato direttamente con il gasolio della caldaia. Il bilancio energetico per ogni m3 di refluo trattato è dunque: En.r. – Eevap = 25 kg/m3 x (7.800 – 2.163) kJ = 149,9 MJ
    Tale strategia non richiede modifiche alla caldaia purché la quantità di olio aggiunta al gasolio non superi il 5%.
  • Separare l'emulsione, seccarla e transesterificarla. Il bilancio energetico per ogni m3 di refluo trattato è dunque: En.r. – Eevap = 25 x (6.600 – 2.163) = 110,9 MJ
    Tale strategia non richiede modifiche alla caldaia se la percentuale di biodiesel non supera il 20%. Comporta però alcune complicazioni burocratiche e operative, quali la necessità di ottenere le licenze per l'acquisto e la detenzione del metanolo e di realizzare il processo di transesterificazione in una sede diversa dal caseificio. Oltre ai 5 litri di biodiesel ricavati da ogni m3 di acque reflue trattate, il processo lascerebbe 500 millilitri di glicerolo residuo, utilizzabile come fonte di carbonio nel depuratore dell'impianto di trattamento dei reflui.

 

Alternativamente, il caseificio potrebbe anche valutare l'utilizzo dell'emulsione grassa separata dal refluo in un impianto di biogas. Il vantaggio di questa opzione sta nel fatto che non sarebbe necessario consumare calore per essiccare la schiuma grassa. Poiché il potenziale metanigeno dei grassi è compreso fra 0,9 e 1,1 Nm3/chilogrammo, da ogni m3 di refluo trattato si potrebbero ricavare fra 3,5 e 5,5 Nm3 di metano, con una resa energetica compresa fra:

Emetano min = 35,9 MJ/Nm3 x 3,5 Nm3 = 125,6 MJ


Emetano max = 35,9 MJ/Nm3 x 5,5 Nm3 = 197,5 MJ

 

Nonostante il bilancio energetico estremamente positivo, il recupero energetico dei grassi dei reflui caseari non è molto diffuso. Secondo dati di Ismea, nel 2022 l'Italia contava 1.838 stabilimenti di trasformazione del latte, ma la maggioranza è di piccole dimensioni, per cui probabilmente il recupero energetico dai reflui può essere economicamente interessante solo nei caseifici di grandi dimensioni. Il secondo fattore limitante potrebbe essere di tipo burocratico: il grasso recuperato dai reflui è a tutti gli effetti un rifiuto, assimilabile all'olio da cucina esausto. Il suo recupero e riutilizzo nello stesso stabilimento richiederebbero locali separati da quelli di lavorazione del latte.

 

Bibliografia

(1) Athanasios S. Stasinakis, Panagiotis Charalambous, Ioannis Vyrides, Dairy wastewater management in EU: Produced amounts, existing legislation, applied treatment processes and future challenges, Journal of Environmental  Management, Volume 303, 2022, 114152, ISSN 0301-4797.

(2) Sarno M., Iuliano M., 2020, Biodiesel Production from Dairy Waste Scum by Using a Efficient Nano-biocatalyst, Chemical Engineering Transactions, 79, 181-186 DOI:10.3303/CET2079031.

(3) Basanti Ekka, Inese Mierina, Talis Juhna, Maris Turks, Kristina Kokina, Quantification of different fatty acids in raw dairy wastewater, Cleaner Engineering and Technology, Volume 7, 2022, 100430, ISSN 2666-7908.