Il consumo di etanolo e biocarburanti derivati da esso - chiamati "biogasoline" in euroburocratese - rappresenta solo il 15,8% del totale delle energie rinnovabili nei trasporti europei (Fonte: Eurobarometro delle Energie Rinnovabili nei Trasporti 2023). Eppure, la produzione di etanolo è sempre nel mirino dell'opinione pubblica perché è perlopiù "di prima generazione", cioè deriva dalla fermentazione di sostanze saccarine e amidacee. Verità fattuale spesso utilizzata a scopo manipolatorio dall'ideologia "green" nelle campagne contro i biocarburanti e a favore delle auto elettriche.

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Il bioetanolo di "seconda generazione", prodotto con scarti lignocellulosici sia per via fermentativa che per sintesi Fischer-Tropsch, stenta a decollare (si vedano due esempi fallimentari: Bioetanolo da paglia, analisi dell'ennesimo fallimento e Che fine ha fatto il miscanto?).

 

I principali problemi tecnici ed economici che rendono difficile la produzione di bioetanolo da biomassa lignocellulosica sono tre:

  • La cellulosa forma sempre un unico composito intrecciato con lignina ed emicellulosa.
  • I lieviti non digeriscono la cellulosa, possono produrre alcol solo a partire da zuccheri con sei atomi di carbonio. Quindi, è necessario procedere a saccarificare la cellulosa, cioè depolimerizzarla in modo che diventi una soluzione saccarina.
  • I processi chimici per separare la cellulosa e poi saccarificarla producono composti indesiderati che inibiscono la conversione in etanolo ad opera dei lieviti. I processi enzimatici, invece, non producono agenti inibitori ma risultano estremamente costosi.

 

La soluzione al problema è semplicemente quella di cercare microrganismi alternativi che siano capaci di fermentare direttamente la cellulosa. I funghi potrebbero essere dunque la chiave per consentire la produzione su larga scala di bioetanolo da scarti lignocellulosici. I funghi non sono né piante né animali, bensì organismi con caratteristiche intermedie fra i due Regni suddetti. Si sono evoluti per digerire efficacemente la materia lignocellulosica almeno 470 milioni di anni fa, forse anche prima (1), quindi nessun altro organismo è così specializzato nella demolizione chimica di un substrato così complesso e resistente.

 

I funghi includono tre grandi gruppi: i miceti (quelli che chiamiamo propriamente funghi, come i prataioli o i porcini), i lieviti e le muffe. Fra i funghi che si nutrono di materia vegetale morta - detti saprofiti - esistono due grandi gruppi, classificati in base al tipo di biomassa che sono in grado di assimilare: i "funghi dal marciume bianco", che si nutrono prevalentemente da lignina, lasciando relativamente intatta la cellulosa; i "funghi dal marciume bruno", che al contrario assimilano la cellulosa lasciando un residuo composto prevalentemente da lignina. Gli sforzi della ricerca si sono concentrati prevalentemente sui funghi dal marciume bianco, dai quali ricavare gli enzimi per attuare a livello industriale l'eliminazione selettiva della lignina dalla biomassa.

 

Le ricerche attuali si concentrano invece sulle specie in grado di fermentare la biomassa vegetale, producendo bioetanolo direttamente senza necessità di separare la cellulosa e saccarificarla. Una specie promettente sembra essere Fusarium oxysporum (2). Si tratta di un parassita delle piante in grado di provocare gravi danni a colture come tabacco, pomodori, caffè o banani e, in alcuni casi, è anche patogeno per l'uomo (3). Si credeva attaccasse anche il luppolo, ma a quanto pare - almeno negli Stati Uniti - questa coltura è messa a rischio da un'altra specie molto simile, il Fusarium meridionale (4).

 

Il nuovo processo nel quale un unico microrganismo produce gli enzimi, idrolizza la biomassa e infine converte gli zuccheri in etanolo è stato battezzato CBP, Consolidated bioprocessing. La resa è limitata dal tipo di biomassa perché le percentuali di lignina, cellulosa ed emicellulosa variano da una pianta all'altra, con le due ultime che rappresentano complessivamente il 75-85% della sostanza secca di partenza.

 

Poiché la resa teorica in etanolo è circa il 50% (0,5 grammi di etanolo per grammi di zucchero) possiamo aspettarci un fattore di conversione in etanolo compreso fra il 35% e il 42% (in peso), dipendendo dal contenuto di cellulosa iniziale della biomassa. I processi attuali, basati sulla separazione della lignina con successiva saccarificazione della cellulosa, rendono fra 257 e 314 litri/tonnellata, ovvero un fattore di conversione (in peso) compreso fra il 22,5% ed il 24,7%.

 

I motivi di questa minore resa rispetto al massimo teorico sono, come accennato prima, la formazione di composti ricalcitranti durante il processo di saccarificazione, e il fatto che i lieviti sono in grado di fermentare solo alcuni zuccheri, quelli con sei atomi di carbonio, ma non riescono a metabolizzare quelli con cinque atomi di carbonio. Malgrado gli apparenti vantaggi, ci sono diversi svantaggi associati al CBP. La crescita microbica, l'idrolisi enzimatica e le fasi di fermentazione vengono eseguite in modo sincronico ed è molto difficile trovare condizioni di coltura ottimali per tutti questi processi. Indipendentemente dal processo, la completa saccarificazione della biomassa lignocellulosica richiede ancora molto tempo per la digestione e carichi elevati di enzimi (30-50 milligrammi di enzima per grammi di cellulosa cristallina). Pertanto, una bioraffineria che consuma un migliaio di tonnellate di biomassa al giorno richiederà 30-50 tonnellate di enzimi cellulasi per funzionare. Ed è proprio questo uno dei motivi del fallimento dell'impianto della Clariant in Romania.

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Il campione della produzione enzimatica è il fungo Trichoderma reesei, in grado di produrre più di 100 grammi di enzima cellulasi per litro di brodo di coltura, ma purtroppo questo fungo converte la cellulosa in etanolo molto lentamente ed inoltre l'etanolo che si accumula nel brodo di coltura inibisce la sua crescita. Fusarium oxysporum sembra non avere tali limitazioni. Questa capacità deriva dai livelli relativamente elevati di cellulasi e xilanasi che è in grado di produrre. F. oxysporum mostra anche alti livelli di tolleranza a zuccheri, etanolo e inibitori come l'acetato. La fermentazione del glucosio mediata da Fusarium oxysporum non viene influenzata finché le concentrazioni di etanolo non raggiungono il 4,5-5,0% nel reattore. L'acetato è un importante composto inibitorio prodotto dai microbi durante il processo di fermentazione dell'etanolo, ma le cellule in crescita di F. oxysporum sono in grado di ridurre l'acetato in etanolo. Fusarium oxysporum richiede una fase di crescita aerobica (per la crescita iniziale del fungo) seguita da una fase di fermentazione ipossica (limitata quantità d'ossigeno nel reattore, circa 18-20%) per produrre etanolo dal glucosio.

 

Finora, la più alta resa di bioetanolo riportata da qualsiasi materiale lignocellulosico non pretrattato è stata ottenuta dal ceppo F. oxysporum 11C, producendo fino a 80 milligrammi di bioetanolo/grammo paglia di grano o crusca. Il pretrattamento della paglia con alcali ha aumentato la resa a 326 milligrammi di bioetanolo/grammi di paglia di grano o crusca, una resa del 65% del massimo teorico, promettente ma non ancora sufficiente per rendere il processo industrialmente viabile, specialmente perché tale ceppo ha una crescita molto lenta.

 

Poiché F. oxysporum si trova su una grande varietà di ambienti in tutto il mondo, la sua variabilità genetica è ampia. Le ricerche attuali e future si concentreranno nell'individuazione di ceppi a crescita più veloce e in grado di produrre più etanolo che acido acetico, perché livelli crescenti di questo ultimo rallentano il processo di fermentazione alcolica. Allo studio futuri miglioramenti del CBP che prevedono la co-coltivazione di F. oxysporum assieme ad altri microrganismi, ad esempio T. reesei, con lo scopo di accelerare il processo e di migliorare la resa.

 

Bibliografia

(1) Blair Hedges, Barbara K. Kennedy; First Land Plants and Fungi Changed Earth's Climate, Paving the Way for Explosive Evolution of Land Animals, New Gene Study Suggests; 08/08/2002.

(2) Ali, S. S., Nugent, B., Mullins, E., & Doohan, F. M. (2016). Fungal-mediated consolidated bioprocessing: The potential of Fusarium oxysporum for the lignocellulosic ethanol industry. AMB Express, 6(1), 1-13.

(3) Francesco Centorrino, Fusarium oxysporum: il parassita delle piante, Marzo 23, 2020, Microbiologia Italia.

(4) Augusto Moretti Ferreira Pinto, F., Araujo, L., de Andrade, C.C.L. et al. First report of Fusarium meridionale causing canker in hop plants. Australasian Plant Dis. Notes 17, 13 (2022).