Il suolo, un ecosistema complesso. "Un universo", come è stato definito durante il recente incontro organizzato da Biolchim a Latina, dal titolo "Moria del kiwi e stanchezza del terreno, l'importanza del microbioma del suolo".
"Universo", una metafora che evidenzia come "il suolo rappresenti anche e soprattutto un serbatoio di vita e variabilità genetica a cui la pianta attinge per reclutare i propri aiutanti e attivare i geni di cui ha bisogno. Il suolo è il più grande serbatoio di biodiversità microbiologica del pianeta, dell'ordine di 103 specie per g". È nelle parole del prof. Vincenzo Michele Sellitto, Microbials Project Leader di Biolchim, che si coglie l'approccio olistico alla coltura, che parte dal suolo e arriva alla valorizzazione della qualità dei frutti. In una recente intervista, Sellitto ha ricordato come negli ultimi dieci anni il numero degli articoli scientifici che riguardano il microbioma del suolo, sia aumentato in maniera esponenziale, grazie sostanzialmente all'avvento delle tecniche molecolari, prevalentemente basate sull'analisi degli acidi nucleici, che hanno permesso di iniziare a fare luce su quella zona d'ombra dell'ecologia microbica. "La maggiore conoscenza del microbioma del suolo ci permette di utilizzare proprio i microrganismi utili in modo concreto e puntuale per ottimizzare in primis la performance delle colture, e allo stesso tempo anche lo stato di benessere del suolo e quindi il miglioramento del benessere della popolazione" (da Il Foglio, intervista a cura di Antonio Pascale).
Le radici di questa modalità d'azione sono nell'iniziativa Win, Worldwide Innovation Network, al decimo anno di attività (ne parlammo su AgroNotizie agli inizi del percorso). Win è una piattaforma internazionale di ricerca, sviluppo e innovazione che viaggia su due binari paralleli: il prodotto, con l'intento di sviluppare biostimolanti innovativi, sostenibili e efficaci, ed il servizio, puntando su assistenza tecnica ad alto contenuto tecnologico. La rete di collaborazioni di Win vanta un numero di quasi 300 partner, sviluppatasi dai 19 iniziali: università, centri di saggio, stazioni sperimentali, business partner e opinion leader hanno contribuito agli oltre 30 progetti di ricerca attivi, alla conduzione di oltre 150 prove di campo ed all'analisi delle 100 nuove materie prime.
Win ha generato anche il progetto "Rizosfera" presentato a Latina da Franco Vitali, responsabile tecnico Biolchim, grazie alla collaborazione con Vanina Ziosi, R&D manager. Nasce 10 anni fa con lo scopo di studiare le concause (fattori fisiologici, pedoclimatici e microbiologici) delle principali problematiche a carico della rizosfera e trovare strategie innovative, efficaci e sostenibili per affrontarle con successo. Un rizobioma rigoglioso e vitale è indispensabile per mantenere produzione e vigore anche nel caso in cui siano presenti fattori di rischio. Oggetto di studio sono i patogeni fungini (Phythium, Fusarium, Rhizoctonia), i nematodi galligeni, la stanchezza dei terreni unitamente a stress idrici e evidenze sull'efficienza e lo sviluppo radicale, effetti quali deperimento del melo o moria del kiwi.
La ricerca al servizio della frutticoltura: stanchezza del terreno e moria del kiwi
Proprio quest'ultima è stata analizzata, in occasione del convegno, dai due esperti Francesco Spinelli, docente e ricercatore presso il Distal dell'Università di Bologna, e Lorenzo Tosi del Centro Studi veronese Agrea.
"Moria del kiwi: una preoccupante sindrome disbiotica": Spinelli ha così definito il fenomeno definendo la Dysbiosis come uno squilibrio nella comunità microbica causata da 3 fattori primari: una riduzione della comunità funzionale o benefica, una riduzione della biodiversità, l'aumento di consorzi patogenici. Determinare la natura di questo disequilibrio è importante per la selezione del corretto metodo di controllo, a partire dalla considerazione della pianta come una comunità ecologica. Rosenberg et al. (2007) aveva proposto a tal proposito il termine "olobionte" per indicare la pianta e l'insieme di tutte le comunità microbiche ad esse associate. Il fenotipo di una pianta è in effetti il risultato dell'interazione: genoma-ambiente-fitobioma.
Analizzando la progressione del fenomeno, la Moria (KVDS) è stata osservata fin dal 2012 a partire dall'areale Veronese; tra il 2015 e 2018 casi di moria si sono riscontrati in Piemonte, Lombardia e Friuli. A partire dal 2019 è stato un rapido aumento dei casi in Lazio e, più recentemente in Emilia-Romagna e Calabria. Alla fine del 2020 si è stimato che la KVDS interessava oltre 6500 ha sul totale di quelli coltivati (=25.000)
Stante le attuali conoscenze, si evidenzia come il ristagno idrico sia fra i principali fattori scatenanti del KVDS. Questo può essere causato o dall'eccessiva o sbagliata irrigazione o da precipitazioni concentrate nel tempo in periodi di scarsa evapotraspirazione o di elevato fabbisogno respiratorio delle radici. Il kiwi ha un'alta sensibilità al ristagno e un elevato bisogno di ossigeno per la respirazione radicale; già dopo 24 ore di anossia le radici potrebbero andare incontro a gravi danni. I sintomi a livello della chioma si manifestano molto dopo rendendo quindi difficile determinare la causalità del fenomeno. Ma a tutti gli effetti la moria del kiwi deve essere considerata una sindrome multifattoriale da trattare con una concertazione di strategie a breve termine e strategie a medio-lungo termine.
Rivedi nel video seguente l'intervento del prof. Spinelli
Un approccio multidisciplinare e la prosecuzione di studi per un lungo periodo di tempo (fin dal 2012) hanno consentito ad Agrea di cogliere gli elementi principali del fenomeno della moria del kiwi. Cinque le direttrici di studio: terreno - considerando anomalie in tessitura e struttura -, nutrizione, irrigazione, malattie, anomalie climatiche. Dalle osservazioni condotte si ipotizza che le condizioni agronomiche del terreno - lavorazione, sistemazione, sostanza organica, porosità - giochino un ruolo fondamentale come causa del fenomeno. Occorre quindi, nei nuovi impianti, rivedere il modo di preparare e gestire il terreno con lavorazioni accurate pre impianto (sovescio), apporto di sostanza organica di elevata qualità, predisposizione di baulature significative (minimo 50 centimetri) a "doppia falda di tetto", uso di sonde (tensiometri) per individuare il momento di irrigazione. Questa tesi è stata oggetto di un progetto di ricerca finanziato a partire dalla fine del 2014 dalla Regione Veneto e coordinato da Veneto Agricoltura.
Nella foto seguente si può notare la differenza fra le tesi al settembre 2017.
Situazione al settembre 2017 - Progetto di ricerca iniziato nel 2014, finanziato dalla Regione Veneto e coordinato da Veneto Agricoltura. Il progetto prevede la realizzazione di un impianto pilota in cui verificare l'efficacia di nuove modalità di impianto e di gestione dell'acqua nel prevenire la malattia. Foto: Agrea Centro Studi Verona
Non è ancora possibile ritenere sufficiente e risolutivo questo approccio. Servono ancora tempo e ulteriori sperimentazioni per verificare se il sistema integrato di pratiche adottate possa favorire il contenimento della problematica, che può manifestarsi anche dopo 4 o 5 anni in impianti - anche nuovi - che fino a quel momento non avevano presentato evidenze.
Un ulteriore progetto di ricerca piemontese condotto da Agrion (Kimor 2017-2019) ha considerato tesi a confronto esaminando fattori quali gestione idrica, baulatura, compostaggio, portinnesti, trattamenti biotici e abiotici. Alcuni impianti partiti bene hanno mostrato sintomi già dopo 2 anni (foto seguente).
Foto tratta dalla presentazione di Agrea Centro Studi Verona
Al termine del progetto Kimor, è stato possibile trarre alcune prime indicazioni che tuttavia necessiterebbero di ulteriore conferma, come riportato sui "Quaderni Agricoltura" della Regione Piemonte: "fra queste l'evidenza che la baulatura sia indispensabile per ridurre il rischio di moria anche se non risolutiva; le condizioni del suolo sulla baulatura sono risultate migliori grazie allo sgrondo delle acque favorito dalla sistemazione del terreno. (...) Il monitoraggio del suolo con i tensiometri ha permesso di pilotare al meglio le irrigazioni e dimostrare come sul non baulato l'umidità del suolo risulti significativamente più elevata per tutta la stagione determinando condizioni di asfissia più favorevoli alla moria".
Risulta evidente come la causa della moria del kiwi non è ancora nota. "Forse perché non c'è una singola causa" commenta Tosi. Si tratta di un fenomeno complesso generato da diversi fattori che lavorano in sinergia tra loro. Piogge intense e frequenti in primavera e autunno, irrigazioni a turni fissi e con alti volumi, stress ambientali - ad esempio alte temperature estive, blocco della traspirazione per più giorni - creano condizioni critiche a livello dell'apparato radicale, con la morte delle radici assorbenti più fini e la predisposizione di condizioni per l'attivazione di eventuali patogeni (Phytophtora, Pythium, Phytopythium, Clostridium) e la limitazione degli antagonisti. Occorre sottolineare che in un impianto che mostra sintomi fogliari nessun intervento si è dimostrato risolutivo: la possibilità più concreta di gestione della problematica consiste nell'intervenire prima della comparsa dei sintomi, monitorando attentamente e costantemente le radici, nelle quali i sintomi si manifestano 2-3 anni prima che nelle foglie. Il "refrain" è "serve tempo!" ma nel frattempo le corrette pratiche agronomiche - pur non essendo una sicura garanzia - mostrano di avere un'influenza positiva nel prevenire la moria: attenta lavorazione, buon contenuto di sostanza organica umificata, baulature, attenta gestione dell'acqua, apporto di microrganismi.
Rivedi nel video seguente l'intervento del dr. Tosi di Agrea:
Microbioma e microrganismi: la strategia Biolchim e il progetto Rizosfera
Con il termine microbioma, si intende una caratteristica comunità microbica, soggetta a cambiamenti nel tempo e nello spazio, che occupa un ben definita nicchia ecologica (micro-ecosistema) specifica con distinte proprietà fisico-chimiche che evolvono nel tempo. Introdurre microbioma (e quindi biodiversità) consente di migliorare la componente microbiologica, contribuendo ad una gestione oculata della fertilità del suolo. Al tempo stesso occorre aumentare la resilienza radicale: un apparato radicale resiliente è in grado di superare o convivere con fattori di criticità riorganizzandosi per superare il blocco di crescita e sostenere produzioni adeguate.
"Stanchezza dei suoli e moria del kiwi rappresentano due problematiche in forte diffusione, che oggi interessano e preoccupano tutte le principali aree di coltivazione di questa specie. L'Agro Pontino, storicamente vocato alla coltivazione dell'actinidia, è il polo produttivo italiano che negli ultimi anni ha dovuto contare i danni maggiori a causa della moria: da qui la scelta di organizzare questo primo convegno proprio a Latina" ha spiegato Antonio Di Nardo, direttore commerciale di Biolchim, in occasione del convegno. "Di fronte ad una problematica tanto temibile, riteniamo sia fondamentale unirsi per studiare, condividere e mettere in atto strategie che possano arginare efficacemente il fenomeno e garantire agli agricoltori di tutelare il proprio raccolto. Biolchim è tra le aziende che possono vantare la più grande esperienza nella nutrizione del kiwi, con competenze maturate in tutte le principali aree produttive del mondo. Inoltre, ormai dieci anni fa abbiamo lanciato un filone di Ricerca & Sviluppo chiamato ‘Progetto Rizosfera', con l'obiettivo di studiare le principali avversità che caratterizzano i suoli agricoli. Grazie alla ricerca condotta in questo ambito, oggi possiamo mettere a sistema conoscenze ed approcci innovativi alle tematiche legate ai suoli stanchi e problematici".
Con il progetto Rizosfera si è implementato un approccio prebiotico e probiotico per contrastare la stanchezza dei suoli: i prebiotici sono miscele di sostanze nutritive che favoriscono la crescita del rizobioma e dei probiotici associati; i probiotici sono inoculi di microrganismi benefici - singoli o consorzi -, la cui composizione è specifica per ogni problematica.
Biolchim ha testato e sviluppato diverse soluzioni per ottenere piante più efficienti e sane, grazie in particolare allo sviluppo dell'apparato radicale.
Da una parte il binomio Nov@ e T34 Biocontrol. Il primo, biostimolante e prebiotico, biopromotore della crescita delle piante e dello sviluppo dei frutti, apporta nutrienti per lo sviluppo del T34, dei probiotici e del rizobioma autoctono e favorisce l'ingrossamento dei frutti. T34 Biocontrol è un fungicida biologico a base di Trichoderma asperellum, ceppo T34 (109 UFC/g), registrato per l'impiego contro Pythium aphanidermatum e Fusarium oxysporum (Reg. N° 16734), ammesso in agricoltura biologica.
Per produzioni in quantità e qualità anche in condizioni difficili, l'accoppiata Vhera Life e Vhera garantisce rispettivamente un'azione prebiotica per la riattivazione e il riequilibrio del rizobioma, grazie all'azione biostimolante dell'alga Macrocystis e di estratti vegetali ricchi di terpeni, ed una probiotica, con l'inoculo specifico di funghi micorrizici e batteri della rizosfera.
Progetto Rizosfera: soluzioni per massimizzare l'effetto delle azioni prebiotica e probiotica
Obiettivi futuri del progetto Rizosfera
Già oggi è stata implementata una strategia di prevenzione e contrasto alla moria del kiwi basata su un approccio semaforico sintetizzato nelle immagini seguenti.
In futuro, proseguiranno le attività volte a valutare gli effetti dell'applicazione di prebiotici sul profilo metagenomico del rizobioma ed a formulare e validare nuove soluzioni e strategie di impiego, con riferimento sia ad actinidia, sia a orticole, melo e fragola.
Le prove in campo e il supporto alla ricerca scientifica per la comprensione del fenomeno saranno integrati con strumenti e metodi di monitoraggio e DSS per sviluppare nuovi prodotti e nuovi approcci.
Rivedi nel video seguente l'intervento del Dr. Vitali e del Dr. Stellitto di Biolchim:
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