Infine, un dato su cui è bene soffermarsi: il 53,7% dei campioni ortofrutticoli è risultato privo di residui misurabili all'analisi. Una percentuale che è bene appunto esprimere con la corretta terminologia da laboratorio, perché fermarsi alla sola espressione "privo di residui" sarebbe fuorviante. Questo parametro sta infatti calando nel tempo, dando spesso adito ad allarmismi a orologeria.
Di fatto, tale percentuale non cala perché sta peggiorando il profilo residuale dei cibi, bensì perché stanno migliorando le metodiche di campionamento e analisi. In altre parole, vi erano più residui vent'anni fa circa, quando tale parametro era addirittura all'85%, rispetto a oggi stallando a 53,7%.
Ciò è dovuto semplicemente al fatto che a certi livelli analitici non si riusciva proprio a scendere, dando così per esente da residui anche ortofrutta che qualche nanogrammo di agrofarmaci pur lo conteneva. Oggi invece si riesce a scendere molto al di sotto dei limiti di vent'anni fa, permettendo di rilevare tracce anche infinitesimali di alcuni prodotti. Prodotti che è bene ricordare come possano essere asportati quasi totalmente con il semplice lavaggio e la successiva asciugatura tramite un banale strofinaccio.
Perché c'è una profonda differenza fra ciò che il cittadino porta a casa con la spesa, in termini di residui, e ciò che invece porta alla bocca all'interno delle mura domestiche. A conferma che quello dei residui sugli alimenti è in sostanza un falso problema.
Come già visto più volte in passato, ma repetita iuvant, il cibo consumato in Italia è infatti sicuro per la salute dei cittadini. Con buona pace degli allarmismi strumentali che si ostinano a presentare l'agricoltura come un comparto che li avvelena, anziché come un comparto che li nutre.
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