Nei tardi anni '70, durante un programma di screening alla ricerca di sostanze antielmintiche, una sostanza prodotta da un ceppo di un attinomicete1 del suolo, lo Streptomyces avermitilis ceppo MA-4680T, è riuscita a debellare il nematode Nematospiroides dubius inoculato artificialmente in topi da esperimento2.
Il successivo sviluppo ha consentito la messa a punto di un processo di sintesi industriale delle molecole (la classe delle avermectine conta quattro componenti maggiori, A1a, A2a, B1a e B2a, e quattro minori A1b, A2b, B1b e B2b, quella usata in fitoiatria è costituita dalle B1a e B1b) e alla realizzazione dell'Ivermectina, versione idrogenata dell'avermectina B1, che sul sito dello scopritore (prof. Omura) viene descritta come “uno dei più apprezzati antiparassitari mai utilizzati in medicina umana e veterinaria”.
Tra le motivazioni dell'attribuzione del Nobel, conferito anche alla studiosa cinese Youyou Tu per la scoperta di un antimalarico derivato dell'artemisia, vi è quella di fornire un contribuito decisivo contro le cosiddette “malattie della povertà”, tra cui la cecità fluviale (oncocerchiasi), causata dal nematode Onchocerca volvulus trasmesso dalle punture di moscerini ematofagi appartenenti al genere Simulium, e più recentemente l'elefantiasi parassitaria, trasmessa da nematodi della superfamiglia Filarioidea, tra cui ritroviamo la celebre filaria contro la quale vacciniamo ogni anno il nostro cane.
La sorte a volte gioca brutti scherzi: la stessa molecola da una parte riceve un premio Nobel per il suo contributo al miglioramento delle condizioni umane e dall'altra viene considerata, assieme a tutta la categoria dei prodotti fitosanitari chimici, come un qualcosa di cui si deve ridurre la dipendenza3.
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Fonte: Agronotizie