bandiera-europea-ott-2021-ok.jpg
Finanziato dal programma IMCAP dell'Unione europea
Le opinioni espresse nel presente articolo sono quelle dell'autore che ne assume la responsabilità esclusiva. La Commissione non è responsabile dell'eventuale uso delle informazioni in esso contenute.

Un diamante è per sempre, il carbonio nel terreno purtroppo no. Eppure, il cosiddetto sequestro di carbonio è fondamentale per contrastare i cambiamenti climatici. In quest'ottica, il contributo dell'agricoltura è essenziale, perché è di fatto l'unica attività antropica che, seppure come ogni attività umana generi emissioni, è in grado di "catturare" (il termine più corretto è "sequestrare") il carbonio.

 

In tutto ciò, il suolo, che è la pelle del nostro Pianeta Terra, gioca un ruolo insostituibile e gli agricoltori possono essere protagonisti di azioni - alcune delle quali sostenute dalla Politica Agricola Comune (Pac), che ha fra i propri obiettivi anche quelli di agire per contrastare i cambiamenti climatici e tutelare l'ambiente - finalizzate a favorire l'economia circolare, ridurre l'impatto ambientale, ripristinare lo stato di salute del suolo, ridurre l'utilizzo di fertilizzanti azotati, che sono fra i responsabili delle emissioni di gas serra.

 

Leggi anche

Una Politica Agricola Comune sempre più verde

 

Naturalmente, per ridurre la presenza di anidride carbonica nell'atmosfera e stoccare carbonio non ci si può inventare soluzioni, ma è bene seguire protocolli elaborati dagli scienziati, per raggiungere i livelli massimi di efficacia. L'anidride carbonica o CO2 è il principale gas responsabile dell'effetto serra, che produce il riscaldamento globale e quindi il cambiamento climatico.

 

Iscriviti alla newsletter di ParteciPAC

 

Recentemente sulla questione è intervenuto il Crea, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Economia Agraria, che coordina il Nucleo Monitoraggio Carbonio, un gruppo di lavoro finanziato dal programma Rete Rurale Nazionale 2014-2020, al quale partecipano Università di Padova, Etifor Srl, Compagnia delle Foreste, Cmcci e Ipla, enti e società impegnati nella ricerca del settore forestale e dei cambiamenti climatici.

 

Non soltanto l'agricoltura, ma anche e soprattutto le foreste sono essenziali per il sequestro di carbonio, perché assorbono anidride carbonica dall'atmosfera grazie alla fotosintesi e la stoccano sia nella biomassa che nel suolo. Sebbene per arrestare il cambiamento climatico il solo stoccaggio non sia sufficiente, incoraggiarne l'assorbimento permette ai governi di accelerare la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio.

 

A tal fine, è nato un mercato volontario di crediti di carbonio, che consente ai proprietari e gestori forestali di essere remunerati per le attività di gestione che favoriscono l'assorbimento del carbonio e alle imprese che acquistano i crediti di contribuire alla lotta al cambiamento climatico e potenzialmente diventare aziende ad emissioni zero.

 

Leggi anche

Carbon credit, cosa sono e perché gli agricoltori dovrebbero conoscerli

 

Il Network for Greening the Financial System (Ngfs 2021) stima che la domanda di crediti di carbonio aumenterà di ben 15 volte nel 2030 e di trenta volte nel 2050 rispetto ai crediti venduti attualmente e i prezzi arriveranno a toccare i 160 dollari per tonnellata di CO2 nel 2050.

"Il Report 2019 dell'Ipcc, che è il principale riferimento per i dati sul cambiamento climatico, evidenzia che la gestione solamente agricola sostenibile, può portare a livello mondiale una riduzione che va da 1,4 a 2,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all'anno", afferma Saverio Maluccio, ricercatore del Crea e coordinatore del Nucleo Monitoraggio Carbonio del Centro Politiche e Bioeconomia del Crea.

 

Ascolta l'intervento di Saverio Maluccio e Carlo Rega.
Puoi trovare tutti i podcast della playlist "Azzurro Verde e Marrone" in questa pagina

 

L'attenzione a contenere le emissioni è parte integrante delle strategie di sviluppo delle multinazionali, a conferma di un codice non scritto, ma abbastanza intuitivo: in una fase in cui l'attenzione all'ambiente diventa una variabile di marketing, perseguire politiche green è uno dei driver per continuare a essere al centro delle attenzioni positive dei consumatori.

 

Per questo Nestlé nei giorni scorsi ha annunciato una strategia ambiziosa per ridurre l'impronta di carbonio, prevedendo di investire 1,3 miliardi di dollari in pratiche di produzione rigenerativa nei prossimi cinque anni, nel tentativo di ridurre della metà le emissioni entro la fine del decennio e di arrivare a zero entro il 2050.

 

Leggi anche

Alle multinazionali del cibo piace rigenerativa

 

"Alla fine, tutti o la maggior parte dei prodotti saranno giudicati in base alle loro impronte, quindi stiamo dando il via ad alcuni di questi progressi proprio ora, finanziando direttamente le pratiche in azienda" ha annunciato Daniel Peerless, responsabile dell'Approvvigionamento Sostenibile di Nestlé. "Penso che il valore del prodotto sarà legato in una certa misura al modo in cui si differenzia dal punto di vista ambientale e spero che un prodotto a basse emissioni di carbonio abbia un premio".

 

A livello primario si sta sempre più diffondendo una scienza, l'agroecologia, che - ricorda Carlo Rega, ingegnere ambientale di Ispra - "studia le relazioni ecologiche all'interno dell'agroecosistema". In questo modo vengono messi alla prova "metodi agricoli che puntano a minimizzare il consumo di risorse e alla difesa dei piccoli e medi agricoltori, della conoscenza locale, dei metodi di produzione locali, assumendo tecniche innovative".

 

Per contrastare le emissioni nell'ambiente vi sono anche soluzioni di agricoltura conservativa, precisa il professor Stefano Amaducci, docente di Agronomia e Coltivazioni Erbacee all'Università Cattolica di Piacenza. "L'agricoltura conservativa si rivolge all'incremento o alla conservazione della sostanza organica, riducendo le lavorazioni del suolo, tenendo il terreno il più coperto possibile con i residui colturali oppure utilizzando colture di copertura, che apportano nutrienti e mantengono viva la qualità del suolo".

 

Guarda la videointervista a Stefano Amaducci.
Puoi trovare tutti i video della playlist "ParteciPAC: studenti e insegnanti" in questa pagina

 

La sostanza organica del suolo, sottolinea il professor Amaducci, "è la componente principale della fertilità del suolo, perché un suolo che ha più sostanza organica richiede meno energia, meno combustibili per essere lavorato e con la minima lavorazione si ha un suolo più fertile, che richiede meno nutrienti e ha maggiore capacità di ritenzione idrica, quindi richiede una minore quantità di acqua".

Questo articolo fa parte delle collezioni: