C'è chi teme la siccità
Siamo ancora in pieno inverno, ma in Sicilia già si guarda con preoccupazione a cosa potrà accadere la prossima estate, con le dighe agrigentine ancora vuote e che minacciano di lasciare a secco l’agricoltura.La verifica dei volumi di acqua accumulata evidenzia infatti che in alcuni invasi, come quello della diga Castello, che rifornisce di acqua tutta l’area riberese, in provincia di Agrigento, registrano appena un terzo della loro capacità.
Situazione analoga per l’invaso Arancio di Sambuca e poi per le dighe dell’area palermitana.
E’ questa la situazione tratteggiata da Enzo Minio per le colonne de “La Sicilia” in edicola il 21 dicembre.
Le cause di queste carenze idriche sono legate alle scarse precipitazioni registrate negli ultimi sette mesi, con la conseguenza che la poca pioggia viene completamente trattenuta dai terreni aridi e non alimenta i corsi d’acqua e di conseguenza gli invasi.
Colpa degli scarsi eventi atmosferici, conclude l’articolo, ma anche dei mancati interventi su alcuni fiumi, come il Sosio-Verdura, le cui acque sono inutilizzate, mentre potrebbero alimentare alcuni invasi.
Un milione di posti
“Senza agricoltura non c’è possibilità di sopravvivenza, il settore primario è centrale e ora è tornato a esserlo anche nella percezione degli operatori e nelle agende economiche”.E’ una delle affermazioni con le quali Federico Vecchioni inizia l’intervista rilasciata al settimanale “Panorama” in edicola il 23 dicembre per parlare delle opportunità che si dispiegano davanti all’agricoltura.
Amministratore delegato di B.F. Spa, cui fa capo Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana con i suoi 9300 ettari, Vecchioni si dice convinto che grazie ai fondi del Recovery plan il settore ha una crescita potenziale di un milione di posti di lavoro.
Una crescita che passa attraverso lo slogan dal seme alla tavola, progetto che ha il suo fulcro nello sbocco distributivo diretto delle produzioni agricole.
“Bisogna che gli agricoltori - afferma Vecchioni - si facciano protagonisti della distribuzione e che le marginalità positive vengano più equamente distribuite.”
Fra i progetti che vanno in questa direzione c’è l’operazione Cai, Consorzi Agrari d’Italia, iniziativa definita come “strategica”, in quanto restituisce valore agli agricoltori e offre maggiori garanzie di qualità ai consumatori.
L’intervista si conclude ricordando come i successi del made in Italy siano una conferma delle opportunità che il settore agroalimentare offre, specie se sarà in grado di fare squadra.
Qui è di casa l’innovazione
Coltivare l’innovazione, questo l’obiettivo che anima AgroInnovation Edu progetto ideato da Image Line, cui fa capo AgroNotizie, per favorire la diffusione di una “cultura digitale” nelle scuole.I risultati del primo triennio di attività di questa iniziativa sono riassunti da Giuseppe Catapano nell’articolo pubblicato da “Il Resto del Carlino” del 27 dicembre.
Si apprende così che dal 2017 al 2020 sono stati coinvolti 5443 studenti, 563 docenti di 64 diversi istituti agrari e di 15 atenei universitari.
Visto il successo dell’iniziativa, il progetto proseguirà e per il prossimo triennio si è già deciso di allargare agli studenti la partecipazione ai webinar, che nella fase precedente erano riservati al corpo docente.
“Il nostro intento - afferma il ceo di Image Line, Ivano Valmori, nell’intervista rilasciata a Catapano - è quello di formare sempre più giovani e fornire loro strumenti necessari ad affrontare l’ingresso nel mondo del lavoro.”
Proseguirà anche Agroinnovation Award, un premio destinato alle migliori tesi di laurea in campo agricolo.
Partner di Image Line sono l’Istituto San Michele all’Adige - Fondazione Mach e l’Istituto Pellegrini di Sassari, ai quali si è recentemente aggiunta la Rete degli istituti tecnici agrari senza frontiere.
La gabbia che non c’è
Quanto sia distante la conoscenza che i consumatori hanno nei confronti della realtà in agricoltura lo si percepisce dagli esiti di una recente campagna per l’abolizione delle gabbie dagli allevamenti.A promuovere l’iniziativa è un gruppo che si chiama “End the Cage Age”, che dalle pagine di “Libero” del 31 dicembre ha diffuso i dati di una recente indagine condotta da alcune associazioni animaliste.
Stando agli esiti di questa indagine l’83% degli intervistati si dichiara contraria all’uso delle gabbie.
Mi sarei aspettato una percentuale più alta, prossima al 100%. Probabilmente il 13% degli intervistati che non si sono espressi contro le gabbie ha qualche conoscenza in più di come stanno realmente le cose quando si entra in un allevamento.
Sanno cioè che le gabbie sono state abolite negli allevamenti dei vitelli a carne bianca, che gli allevamenti avicoli da carne le gabbie le hanno bandite da tempo e in molti casi non si utilizzano più nemmeno per le ovaiole, che per i suini non si utilizzano salvo che per le femmine subito dopo il parto e solo per evitare lo schiacciamento dei piccoli suinetti.
Un uso lo si fa ancora (ma si va riducendo) solo per gli allevamenti di conigli, che rappresentano la parte meno importante di tutta la zootecnia italiana e il cui allevamento è limitato a pochi paesi europei.
Ora gli esiti di questa indagine saranno sottoposti all’attenzione delle autorità europee affinché promulghino leggi e regolamenti che limitino l’uso delle gabbie e riducano i fondi a chi queste regole non le rispetta.
Che dire, speriamo che a Bruxelles ci sia qualcuno che abbia qualche nozione di agricoltura e di allevamenti.
Agricoltura, centralità strategica
C’è preoccupazione per l’andamento del mercato internazionale dei cereali.Alla borsa di Chicago, una delle più importanti in questo settore, il 2020 si è chiuso con un balzo in avanti delle quotazioni.
Il cereale che ha registrato i maggiori aumenti è il mais (+24,8%), seguito dal grano (+14,6%) che è ai massimi degli ultimi sei anni.
Anche la soia segue la stessa evoluzione (+37,2%). Uno scenario che lascia aperti molti interrogativi su come potrà evolvere il mercato delle materie prime, che potrebbero essere preda di movimenti speculativi sulla scia dell’emergenza sanitaria e della riduzione degli scambi commerciali.
E’ questo il quadro tratteggiato sulle pagine de “Il Tempo” in edicola il 2 gennaio, che evidenzia il ruolo strategico delle derrate agricole.
Come per i cereali, anche il succo di arancia concentrata ha registrato un’impennata dei prezzi, sospinti dall’aumento dei consumi per la svolta salutista innescata dalla pandemia.
L’articolo si conclude prendendo in esame la situazione dell’Italia, che si trova in una situazione deficitaria per i principali cereali come per la soia, tutte materie prime di fondamentale importanza nell’alimentazione degli animali.
Le forti oscillazioni dei prezzi sul piano internazionale rischiano così di avere per l’Italia un impatto importante, che dovrebbe indurre a pianificare progetti per l’espansione di queste colture e per lo stoccaggio.
Soldi come se piovesse
Dieci milioni per rifinanziare il fondo suinicolo, altri 10 per il mondo del vino, più un credito di imposta per le reti di imprese agricole delle “strade del vino" per 15 milioni.Poi 70 milioni per gli interventi di indennizzo da calamità naturali e fitosanitarie, ai quali si aggiungono 60 milioni per il Fondo di solidarietà nazionale per interventi assicurativi.
Per l’esenzione Irpef dei redditi dominicali e agrari sono in pista 82 milioni ai quali si sommano 55 milioni per l’esenzione contributiva dei giovani imprenditori agricoli.
Sono alcune delle provvidenze destinate al comparto agricolo contenute nella legge di Bilancio 2021, riassunte nell’articolo a firma Lorenzo Frassoldati, pubblicato il 3 gennaio su “Il Resto del Carlino”.
All’elenco degli stanziamenti, continua l’articolo, si aggiungono 15 milioni per l’imprenditorialità femminile in agricoltura.
L’importante, conclude l’articolo, è fare in fretta ed evitare che tra l’annuncio e l’effettiva erogazione dei fondi passi un tempo troppo lungo, come avvenuto per le risorse destinate a coprire i danni causati dalla cimice asiatica.
La Cina si allontana
Non è la prima volta che temi di carattere sanitario vengono presi come opportunità per aggirare gli accordi commerciali internazionali e bloccare così le importazioni di una qualunque merce.Questa sorte è ora toccata ai suini italiani (e a quelli di altri paesi europei) diretti in Cina e il tema sanitario chiamato in causa è, con poca fantasia, l’allarme da Covid-19.
Secondo le autorità sanitarie cinesi tracce del virus sarebbero state riscontrate su alcune partite provenienti dall’Italia.
Poco conta ricordare l’assenza di evidenze scientifiche di una possibile trasmissione del virus attraverso la carne. Il blocco è già scattato, come si apprende il 6 gennaio dalle pagine de “Il Sole 24 Ore”.
Ad essere coinvolte sono le partite di carne congelata inviate in Cina da Opas, l’Organizzazione di prodotto allevatori suini che gestisce uno dei più importanti macelli di suini in Italia e dove vengono trasformati oltre un milione di capi l’anno, destinati alle più importanti produzioni tipiche.
C’è poca trasparenza, lamentano da Opas, sulle metodologie e sui risultati delle analisi condotte e ora si rischia la distruzione di quanto già è stato inviato in Cina, mentre restano aperti molti interrogativi sul destino delle altre partite di carne dirette in Cina.
La Commissione europea è al corrente di questa vicenda, come pure le principali istituzioni italiane e l’articolo si conclude ricordando che le esportazioni di Opas verso Pechino hanno un valore di circa 13 milioni di euro.
Sarebbe un peccato che lo sforzo per raggiungere i mercati orientali fosse vanificato da ipotesi infondate di pericolo sanitario.
La lunga crisi del latte
Per il latte la situazione di mercato si fa sempre più difficile.Le politiche di contenimento della produzione dei principali formaggi Dop, Grana Padano in testa, consente ai prezzi di questo formaggio di spingersi più in alto.
Al contempo però la stretta sulla produzione rende più difficile per i caseifici accogliere tutta la produzione di latte che proviene dagli allevamenti.
Parte del latte che non viene avviato alla trasformazione prende la via del mercato generico e si scontra con il prodotto di importazione, quasi sempre più competitivo sul prezzo.
Un meccanismo che finisce con il penalizzare il latte italiano, i cui prezzi continuano a cedere, mettendo in forte difficoltà gli allevamenti.
E’ questo lo scenario tratteggiato da “Il Sole 24 Ore” del 9 dicembre, che accoglie l’allarme delle principali organizzazioni agricole per la difficile situazione del settore lattiero caseario.
Il timore è che dietro alla congiuntura di mercato si celino politiche di commercio sleali, tema sul quale si è chiesto l’intervento della ministra per l’Agricoltura, Teresa Bellanova.
Dal Consorzio del Grana Padano ricordano tuttavia che negli ultimi due anni la produzione è aumentata del 6,4%, con l’assorbimento di 160mila tonnellate di latte in più.
L’articolo si conclude dando la parola ad Assolatte, che sottolinea come il prezzo del latte sia diminuito in tutta Europa, pur mantenendosi tuttavia più alto in Italia.
Se questo è lo scenario, aggiungo, questa crisi di mercato rischia di protrarsi a lungo, per interrompersi solo quando la produzione di latte, oggi in crescita, rallenterà.
Ma occorre che la filiera intera sia in grado di organizzarsi e trovi un’unità oggi assai lontana dal realizzarsi.
Quanto ci costa la Brexit
Poteva terminare a colpi di dazi, ma alla fine un accordo è arrivato e il divorzio del Regno Unito dalla Ue è avvenuto con la firma, quasi all’ultimo minuto, di un trattato che evita la gran parte dei problemi negli scambi commerciali.Ma non tutto è risolto e le ripercussioni potrebbero essere pesanti proprio per il settore agroalimentare.
Ne fa il punto “Il Messaggero” del 10 gennaio nell’intervista raccolta da Carlo Ottaviano con il presidente di Confagricoltura, Massimo Giansanti.
“Secondo le cifre fornite dal Governo di Londra, spiega Giansanti, le importazioni di merci dalla Ue richiederanno la presentazione di 215 milioni di dichiarazioni doganali”.
Un mare di carta e di burocrazia che peserà sulle spalle dei produttori e che potrebbe comportare un aumento dei costi, stimato fra il 4 e il 10%.
Un altro problema che si profila all’orizzonte è la possibile triangolazione da paesi terzi, che attraverso il Regno Unito potrebbero transitare verso la Ue.
In quel caso i timori vanno oltre gli aspetti economici, per allargarsi alla mancanza di garanzie igieniche e sanitarie.
Altro fronte aperto, continua l’articolo è quello dei rapporti commerciali con gli Usa, dove le proposte sulla web tax previste dalla legge di Bilancio 2020 (approvata nel dicembre 2019) potrebbero aprire un contenzioso diretto fra Italia e America, con nuove imposizioni di dazi al nostro export.
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