Si chiama Climate ChangER, dove la E e la R stanno per Emilia Romagna. Il resto, intuibile anche per chi è a digiuno di inglese, sta per “cambiamento del clima”. A prima vista uno degli innumerevoli appelli alla salute dell'ambiente o dei tanti progetti sulla sostenibilità delle attività produttive. Il più delle volte rimasti nell'affollato cimitero delle buone intenzioni. Questa volta potrebbe essere diverso. Anzitutto perché si parla di agricoltura, e qui si è più abituati alle cose concrete. E poi perché il “laboratorio” dal quale esce è quello dell'Emilia Romagna, Regione che in molti casi si trova a far da capofila per iniziative che si estendono oltre i confini regionali. Che poi a lavorare al fianco delle istituzioni ci siano fior di aziende private è un altro elemento che lascia ben sperare sull'esito del progetto, anzi della “dimostrazione”, come ha tenuto a precisare l'assessore regionale all'Agricoltura, Tiberio Rabboni, nel presentare l'iniziativa.
Dentro al progetto
Ma vediamone qualche dettaglio. Si parte selezionando un gruppo di agricoltori che operano in questi settori: allevamenti bovini (da carne e da latte), frutticoltura (pere, pesche), colture industriali (grano duro, pomodoro, fagiolini). Il loro compito sarà quello di adottare “buone pratiche” colturali, come la rotazione, un ridotto impiego di fertilizzanti, un minor ricorso agli agrofarmaci, lavorazioni minime del terreno, interramento dei reflui per ridurre le emissioni di ammoniaca e via di questo passo. Gli allevamenti saranno alle prese con sfide altrettanto difficili, come l'utilizzo di razioni che riducano le emissioni metanigene, o una minore presenza di residui azotati nelle deiezioni. Il tutto però mantenendo inalterata la produttività in termini di quantità e di qualità. E senza aumentare i costi di produzione, che al contrario dovranno tendenzialmente ridursi.
Una “sfida” che durerà tre anni durante i quali saranno monitorati i livelli di emissioni in anidride carbonica, fra i principali imputati nel favorire i cambiamenti climatici ai quali si assiste con sempre maggiore frequenza. Le esperienze maturate da questi “pionieri” sarà poi applicata ai nuovi disciplinari nelle filiere produttive regionali. L'obiettivo finale è la riduzione delle emissioni per almeno 200mila tonnellate di CO2 equivalenti in tre anni. Il sostegno economico (il costo è di 1,8 milioni di euro) è cofinanziato al 50% dalla Comunità europea (progetto Life +).
I partner
Fondamentale nel decretare il successo dell'iniziativa sarà la comunicazione dei risultati raggiunti e la messa in rete delle esperienze acquisite nei tre anni di “rodaggio”. A questo proposito un ruolo chiave sarà svolto dai partner che hanno aderito all'invito della Regione. Vi figurano fra i più importanti gruppi nazionali e internazionali dell'agroalimentare, come Barilla, Coop Italia, Granarolo, Granterre, Centro Servizi Ortofrutticoli, Apoconerpo e Unipeg. Il loro contributo si tradurrà in particolare nelle attività dimostrative e nel coinvolgimento diretto dei produttori. A loro si chiederà poi aiuto, ha tenuto a sottolineare Rabboni, nel rendere più visibile agli occhi del consumatore il valore aggiunto che l'applicazione di queste “buone pratiche” di coltivazione trasferiscono ai prodotti che si mettono in tavola. Non per nulla si tratta di un partenariato che rappresenta circa il 30% delle imprese agricole regionali e 7,5 milioni di consumatori.
Sotto il profilo scientifico e operativo il Climate ChangER sarà affiancato da Arpa (l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente), dal Crpv (Centro ricerche produzioni vegetali) e dal Crpa (Centro ricerche produzioni animali). Un ulteriore supporto al progetto sarà dato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano.
I passaggi
Ora si entra nella prima fase operativa con la selezione delle imprese agricole. Lo ha precisato Roberta Chiarini, della direzione generale Agricoltura della Regione e capofila del progetto. Queste aziende saranno scelte fra un ventaglio di circa 50, che per disponibilità e caratteristiche sono compatibili con la fase “dimostrativa”. Con loro si procederà alla raccolta dei dati per la stima della produzione di GHG (gas serra) nei sistemi agricoli. Questi dati costituiranno la base per un sistema di informazioni sulle reali condizioni operative, per superare l'uso di parametri standard, meno corrispondenti alle reali condizioni di impatto ambientale. Poi messa a punto di metodologie di calcolo e verifica delle emissioni calibrate sui diversi sistemi produttivi. Si potranno così individuare le “buone pratiche” che meglio si prestano alla riduzione dei GHG. Il passo successivo sarà la messa a punto di quanto occorre per trasferire le esperienze acquisite sul maggior numero di soggetti, un compito che prevede la divulgazione, la promozione e la dimostrazione ad agricoltori, tecnici, studenti e, perché no, anche agli stessi consumatori.
Il ruolo dell'agricoltura
Tempo cinque o sei mesi e i primi dati e le prime esperienze saranno già rese note attraverso una rete di comunicazione per lo scambio di informazioni e di esperienze. E sarà un'opportunità per migliorare l'ambiente, ma forse anche per dimostrare, con dati certi, che l'agricoltura non ha le maggiori responsabilità nelle polluzioni ambientali.