Qual è stato l'impatto della crisi economica sulla mappa mondiale dei consumi di vino? Quali indicazioni possono trarne gli operatori italiani per cogliere le opportunità offerte da una domanda che dà segnali inequivocabili di ripresa? Sono le domande cui cerca di rispondere il libro Il vino oltre la crisi, di Fabio Piccoli e Denis Pantini (Agra editrice), presentato in questi giorni a Vinitaly.
Per il settore vitivinicolo la crisi è stata una cesura. Per la prima volta in più di vent'anni il volume degli scambi a livello globale ha subito un arretramento (-4% nel 2009).
La reazione dei player più importanti ha ridisegnato gli equilibri di mercato. L'export italiano ha tenuto bene nelle piazze tradizionali come gli Usa, il Regno Unito e la Germania, ma arranca nelle economie emergenti, Cina e Brasile.
Il vino francese, al contrario, è stato penalizzato negli Stati Uniti dalla politica di tenere i prezzi, ma resta in posizione vantaggiosa nei mercati dagli sviluppi potenziali più interessanti. Infine ci sono i "nuovi" del commercio mondiale di vino, Cile e Australia, che pur di mantenere quote di mercato, hanno svenduto tutto, ma restano capaci di una flessibilità tale da continuare a essere competitor da cui guardarsi.
In questo scenario, che si completa con la conferma della tendenza al consumo decrescente sul mercato interno europeo e italiano, agli operatori nostrani non resta che guardare sempre con più decisione ai mercati d'oltreoceano e delle grandi economie asiatiche. C'è tanto da fare.
In Cina non abbiamo "presidio" e mancano risorse umane capaci di dialogare con i buyer: non riusciamo a sfondare. Nelle Americhe mantenere la leadership delle quote di mercato vuol dire essere tanto flessibili da intercettare una domanda mutevole nel tempo e sempre più articolata dal punto di vista dei mercati locali.
Un modello da cui prendere esempio, quello del "piccolo e bello" made in Usa: la Napa Valley in California è una terra consacrata al vino che nel 2010 ha battuto tutti i record di presenze con quasi sei milioni di visitatori, che hanno consentito alle aziende vinicole di superare la quota del 60% di fatturato realizzato con la vendita diretta.