La decarbonizzazione del settore dei trasporti è al centro delle politiche mondiali per arginare il cambio climatico e garantire un futuro al pianeta. Ma i veicoli non funzionano senza ruote, ed il materiale più adatto per queste è la gomma, prodotta a partire dal petrolio. Come tanti altri prodotti nati nell'era dell'economia lineare, i pneumatici sono quasi impossibili da riciclare, perché si tratta di compositi di fibre e acciaio nei quali la gomma fa da legante. Di conseguenza, la gomma scarseggerà sempre di più man mano che si esaurirà il petrolio.

La soluzione più ovvia sembrerebbe dunque tornare ad utilizzare il lattice, ricavato dalla linfa dell'albero del caucciù, Hevea brasiliensis. Il consumo di gomma naturale era del 30% della domanda totale nel 1981, ed è cresciuto fino al 43% nel 2013 (Rif. [i]). Tale tendenza è però insostenibile, perché la  coltivazione dell'Hevea ha effetti devastanti per gli ecosistemi tropicali, simili a quelli della palma da olio.
 


Si sta dunque creando un problema ambientale ancora peggiore di quello attuale, causato dal petrolio, che a sua volta si somma ad un altro problema di tipo geopolitico: i principali produttori di caucciù naturale sono i Paesi del Sud Est asiatico, non sempre amichevoli nei confronti dell'Occidente. Tutto ciò ha portato il governo statunitense ad includere la gomma naturale fra i materiali strategici, cercando alternative che consentano un certo grado di autarchia. In Europa l'atteggiamento istituzionale è più blando e si è limitato a finanziare alcune ricerche nell'ambito del progetto Eu-Pearls, Eu-based Production and exploitation of alternative rubber and latex sources.

L'alternativa al caucciù tropicale potrebbe provenire da altre piante, coltivabili su terreni marginali e alle nostre latitudini. Una di queste è il tarassaco russo (Taraxacum kok-saghyz Rodin), già sfruttato nell'Unione sovietica e negli Usa durante la Seconda guerra mondiale, ma poi dimenticato in favore del più economico caucciù quando, alla fine del conflitto, le piantagioni di H. brasiliensis furono nuovamente accessibili. Si tratta di una pianta originaria dalle steppe del Kazakhstan e dell'Uzbekistan, molto simile al tarassaco comune o dente di leone (Taraxacum sect. Taraxacum F.H. Wigg.). Le radici del tarassaco russo possiedono laticiferi, strutture vascolari molto simili a quelle che si trovano sotto la corteccia dell'Hevea. La differenza fondamentale con quest'ultima è che il lattice non fluisce semplicemente con la linfa, perché si trova integrato in una matrice molto più complessa, ed inoltre bisogna gestire in qualche modo anche il resto della pianta. Il contenuto di gomma della radice di tarassaco russo è anche molto variabile, dal 5% al 24%. La composizione media delle radici di tarassaco russo si presenta nella Foto 1.


Grafico: La composizione media della radice di tarassaco russo, secondo Ramirez-Cadavid et al.
Foto 1: La composizione media della radice di tarassaco russo, secondo Ramirez-Cadavid et al.
Elaborazione grafica dell'autore
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Per rendere redditizia la coltivazione, il contenuto di lattice nelle radici dovrebbe superare il 15% SS, obiettivo raggiungibile mediante una adeguata selezione genetica. Inoltre, si rende necessario sfruttare il resto della pianta: l'inulina per la produzione di ingredienti nutraceutici, gli zuccheri, la cellulosa e le proteine per l'alimentazione animale, oppure per la produzione di bioetanolo o di biometano.

La barriera più difficile da superare per l'industria della gomma sembra essere il passaggio da un modello produttivo "lineare" ad uno "circolare", basato sul concetto di bioraffineria. Le produttività di un'ipotetica bioraffineria basata sul tarassaco russo si riportano nella Tabella 1. Da osservare che le esperienze della fonte citata si riferiscono alla coltivazione nello Stato dell'Ohio, che ha caratteristiche climatiche simili a quelle della Pianura padana.


Tabella: Produttività di una bioraffineria di tarassaco russo, in chilogrammo di prodotto per ha coltivato, secondo Ramirez-Cadavid et al.
Tabella 1: Produttività di una bioraffineria di tarassaco russo, in chilogrammo di prodotto per ha coltivato, secondo Ramirez-Cadavid et al.
Adattamento dell'autore


È interessante osservare come il prodotto "non food", la gomma, costituisca solo l'8,6% del totale estraibile dalla pianta. Il resto è utilizzabile direttamente in alimentazione animale o umana. Se invece si optasse per l'utilizzo alimentare delle sole proteine ed inulina, la saccarificazione e fermentazione del resto può produrre fino a 1.509 chilogrammi di etanolo/ettaro. Un valore modesto se lo si compara con i 5.600-5.800 kh/ettaro che può arrivare a produrre la barbabietola (Rif. [ii]), ma di tutto rispetto se si considera che in questo caso l'etanolo sarebbe un sottoprodotto. In ogni caso, la coltivazione del tarassaco russo e la sua lavorazione secondo il principio della bioraffineria supera il conflitto "food Vs energy" che alcuni gruppi ideologici attribuiscono alle colture energetiche. Alternativamente, anche l'inulina può diventare un prodotto "non food": da essa è possibile ricavare il polietilene furanoato (PEF), una bioplastica in grado di sostituire il PET per la produzione di bottiglie e imballaggi.

Un altro aspetto che rende il tarassaco russo il principale candidato per lo sviluppo di un'industria della gomma sostenibile, è l'ecocompatibilità del processo industriale. Il Fraunhofer Institut ha identificato i geni responsabili della produzione di gomma in modo che sia possibile ottenere cultivar ad alta produttività per semplice selezione genetica, senza ricorrere alla creazione di Ogm. Il processo di estrazione messo a punto dall'istituto tedesco (Foto 2) utilizza semplicemente acqua come solvente.


Sistema di estrazione della gomma di tarassaco russo messo a punto dal Fraunhofer Institut
Foto 2: Sistema di estrazione della gomma di tarassaco russo messo a punto dal Fraunhofer Institut
(Fonte foto: fotogramma del video divulgativo che accompagna l'articolo sulla ricerca)


Gli aspetti agronomici ed industriali dalla coltivazione di tarassaco russo sono stati ulteriormente studiati nell'ambito del progetto Drive4 Eu, Dandelion rubber and inulin valorization and exploitation for Europe, finanziato dall'Unione europea con ben 4.25 milioni di euro, i cui risultati riassumiamo in seguito.

A fine 2018, erano state ottenute due linee di ibridi molto promettenti, capaci di produrre da due a cinque volte più biomassa ipogea rispetto alle piante selvatiche. Una di queste contiene fino al 70% (SS) di inulina. La densità di semina ottimale è stata di 375mila piante/ettaro, ottenendo 3,3 tonnellate SS/ettaro di biomassa ipogea, con solo 50-70 chilogrammi/ettaro di apporto di N. I macchinari attualmente utilizzati per il raccolto della cicoria devono essere adattati alla radice del tarassaco russo, più ramificata. Alternativamente, sarebbe necessario sviluppare ancora degli ibridi che possiedano radici con una morfologia più dritta, in modo da alleggerire le operazioni di pulitura successive al raccolto. Al quarto anno, sono state ricavate dalle coltivazioni di ibridi selezionati delle quantità di gomma sufficienti per produrre alcuni pneumatici automobilistici e per biciclette.

Le prove in laboratorio e su strada dimostrano che la qualità della gomma di tarassaco russo è comparabile a quella dell'Hevea, con una tenuta su asfalto bagnato leggermente migliore rispetto ai campioni di quest'ultima. Nel caso di pneumatici automobilistici di tipo invernale, che tipicamente utilizzano miscele con alte percentuali di gomma naturale per ottenere maggiore aderenza, la gomma di tarassaco russo ha dimostrato prestazioni identiche a quella di Hevea brasiliensis. Le analisi dei modelli di business hanno dimostrato che la produzione massiva di gomma da tarassaco russo porterebbe ad un surplus di inulina, che l'industria nutraceutica non potrebbe assorbire perché si tratta di un ingrediente di nicchia, utilizzato in piccole quantità. L'utilizzo dell'inulina per la produzione di PEF, in sostituzione dell'attuale PET, sarebbe dunque più conveniente dai punti di vista economico ed ambientale.


Sviluppi futuri

La gomma da tarassaco russo ha una serie di vantaggi rispetto a quella tradizionalmente prodotta da Hevea brasiliensis: ciclo culturale annuale o biennale, sei mesi in condizioni estremamente favorevoli - contro i sette anni di crescita che richiede l'albero del caucciù prima di iniziare la sua vita produttiva -, peso molecolare elevato, atto per la produzione di pneumatici 100% naturali oppure in miscela con gomma sintetica, possibilità di coprodurre inulina per uso alimentare, o bioetanolo, o PEF per rimpiazzare il PET delle bottiglie ed imballaggi alimentari, possibilità di utilizzare la porzione epigea e l'estratto di proteine in alimentazione animale o per la produzione di biogas.

Benché la domanda di caucciù sia in aumento e la coltivazione di H. brasiliensis in decrescita, perché minacciata da alcuni parassiti e abbandonata in favore della palma da olio (Rif. [iii]), la coltivazione su larga scala del tarassaco russo stenta a decollare. I fattori che la frenano sono: scarsità di sementi di cultivar ad alto contenuto di gomma (solo un piccolo produttore in Germania, Eskusa GmbH), ibridazione con altre specie selvatiche del genere Taraxacum, scarsa competitività con le malerbe, da cui la necessità di approvare un erbicida specifico per questa coltura, necessità di adattare i macchinari impiegati attualmente per il raccolto della cicoria, mancanza di stabilimenti industriali in grado di processare il raccolto nei molteplici coprodotti che questa pianta è in grado di offrire.

La Continental ha preso seriamente in considerazione l'utilizzo della gomma di tarassaco russo nei suoi prodotti, dopo di aver testato con successo dei prototipi di pneumatici da neve in Finlandia. La ditta ha registrato il marchio Taraxagum (Foto 3), ed il suo vicepresidente, Andreas Topp, ritiene che si potrà iniziare la produzione su larga scala entro il 2030, una volta messe a punto le tecniche colturali.


Prototipo di pneumatico Taraxagum della Continental
Foto 3: Prototipo di pneumatico Taraxagum della Continental
(Fonte foto: fotogramma del video promozionale)  


Bibliografia
[iDavid A. Ramirez-Cadavid, Katrina Cornish, Frederick C. Michel, Taraxacum kok-saghyz (TK): compositional analysis of a feedstock for natural rubber and other bioproducts, Industrial crops and products, volume 107, 2017, pages 624-640, Issn 0926-6690
[iiHans Langeveld, Gerrie van de Ven, Sander de Vries, L. van den Brink, C. de Visser; Ethanol from sugar beet in The Netherlands: energy production and efficiency; 8th European Ifsa symposium, 6-10 July 2008, Clermont-Ferrand (France).
[iiiNowicki, Marcin; Zhao, Yichen; Boggess, Sarah L.; Fluess, Helge; Payá-Milans, Miriam; Staton, Margaret E.; Houston, Logan C.; Hadziabdic, Denita; Trigiano, Robert N.; Taraxacum kok-saghyz (rubber dandelion) genomic microsatellite loci reveal modest genetic diversity and cross-amplify broadly to related species, Scientific Reports 1915, vol. 9, issue 1, 2019/02/13.