Allevare piante fuori suolo in un sistema idroponico e contemporaneamente avere un allevamento ittico in acquacoltura significa fare acquaponica. Pesci e piante crescono sfruttando la stessa acqua, all'interno di un impianto che ha come vantaggio principale quello di utilizzare la risorsa idrica in maniera efficiente.
Ebbene sì, con l'acquaponica si può risparmiare fino al 90% di acqua rispetto ai sistemi agricoli tradizionali. Per fare questo si sfrutta il principio del ciclo chiuso che consiste nel rimettere sempre in circolo la stessa acqua con l'ausilio di adeguate pompe.
È per questo motivo che in molti sostengono che l'acquaponica sia un metodo estremamente sostenibile di fare agricoltura, affermando anche che è molto redditizio, che può essere fatto ovunque e che è alla portata di tutti. In realtà, dipende!
L’acquaponica può sicuramente avere una serie di vantaggi ma non è una pratica che si impara da un giorno all'altro. Inoltre, ci sono tanti fattori che vanno tenuti sott'occhio quotidianamente, e ancor prima di far partire un'azienda di questo tipo bisogna studiare molto bene il mercato e il tipo di clienti interessati a questi prodotti.
Abbiamo così deciso di intervistare chi in un progetto del genere ci crede ogni giorno, investendo tempo e denaro. Lorenzo Cannella, dell'azienda Mangrovia che si trova a Scicli in provincia di Ragusa (Sicilia), ci spiega l'acquaponica e ci racconta la sua esperienza.
"L'uomo non ha inventato niente, ma ancora una volta ha copiato un fenomeno che in natura già succede lungo i letti dei fiumi: qui la terra è ricca di sostanza organica e quindi si va a creare tanta vita intorno all'acqua. L'acquaponica sfrutta questo principio. Già nell'antichità ci sono state delle popolazioni che hanno creato delle vere e proprie zattere galleggianti che assorbivano ancora meglio la sostanza organica nell'acqua. Nel dopoguerra, in tutto il mondo, ha cominciato a diffondersi l'idroponica soprattutto per permettere a soldati stanziati in posti non molto ospitali di procurarsi del cibo. Circa negli anni '70 e '80 questa pratica si è trasformata in qualcosa di commerciale".
Come si gestisce un impianto di acquaponica: l'esperienza dell'azienda Mangrovia
Come si è avvicinato Lorenzo all'acquaponica? "Quando ho finito gli studi volevo provare a fare un'esperienza fuori per conoscere meglio questo metodo. Ho mandato mail in tutto il mondo; in Europa c'era qualcosina ma negli Stati Uniti e in Australia si lavorava di più. Io sono andato alle Isole Vergini e ho lavorato lì per 3 mesi.
Lì mi hanno dato una infarinatura, mi hanno fatto toccare le cose con mano e ho capito che è un sistema che bisogna adattare. Nelle Isole Vergini, per esempio, c'è sempre la stessa temperatura e si lavora fuori dalle serre. È stata un'esperienza che mi ha permesso di avere il know how e toccare con mano cosa significa costruire un impianto di acquaponica".
È da qui che poi è partito il progetto Mangrovia: "In azienda alleviamo pesce persico e riutilizziamo le sue acque come acque ricche di fertilizzanti per le piante. Quindi, parallelamente abbiamo anche una produzione idroponica dove, invece di utilizzare solo piante specializzate nell'assorbire nitrati e che quindi ripuliscono le acque dell'allevamento ittico, utilizziamo delle piante edibili. Possiamo coltivare qualunque cosa come il pomodoro, la lattuga e chi più ne ha più ne metta. Noi coltiviamo almeno 15 varietà di piante tutte diverse".
Sistema deep water culture dell'azienda per la coltivazione degli ortaggi
(Fonte: Azienda Mangrovia)
A seconda dei pesci che si allevano e delle piante che si coltivano il design del sistema può cambiare. Nell'azienda di Lorenzo Cannella l'allevamento ittico comprende un sistema fatto di serbatoi, filtri a tamburo e biofiltrazione, mentre le piante in idroponica sono coltivate in un sistema Dwc (deep water culture) composto da una sorta di vascone molto grande con all'interno dei pannelli. Qui vengono coltivate le piante, che galleggiano direttamente nell'acqua proveniente dalle vasche dei pesci e opportunamente filtrata.
In un sistema acquaponico, oltre all'impianto, servono diversi input: gli avannotti di pesce, il mangime, i semi e/o le piantine, i fertilizzanti supplementari per le piante e l'acqua per rifornire l'unità.
Si può allevare qualsiasi tipologia di pesce di acqua dolce, ci spiega Lorenzo: "Il pesciolino piccolo si chiama avannotto e la avannotteria è il luogo dove avviene la riproduzione e lo svezzamento dei pesci. Noi lo compriamo quando pesa 4 grammi e lo facciamo crescere fino a una taglia di 500-700 grammi; ci mette 2 anni, tanto tempo. Con la nostra azienda, nel tempo, siamo riusciti a portare il nostro pesce nelle carte dei ristoranti stellati e per noi è una cosa molto importante nonostante, il fatto di allevare pesci di acqua dolce in Sicilia, ce l'abbiano criticato".
(Fonte: Azienda Mangrovia)
Come abbiamo detto nell'introduzione, spesso c'è chi esalta l'acquaponica affermando che non serva utilizzare nulla, in realtà come in campo anche in un sistema di questo tipo le piante hanno bisogno di essere nutrite e difese.
L'azoto viene assorbito dalle piante sotto forma di nitrato, convertito dall'ammoniaca dei rifiuti dei pesci attraverso la nitrificazione batterica (di cui parleremo nel capitolo successivo). Dai rifiuti solidi dei pesci si ottengono altri nutrienti essenziali, anche in questo caso grazie alla scomposizione operata da alcuni batteri. In un sistema acquaponico, però, le piante possono soffrire comunque qualche carenza: "Dagli scarti dei pesci, innanzitutto, non arriva mai la giusta quantità di ferro che è essenziale per il metabolismo della pianta. Per questo, siamo noi ad aggiungere il chelato di ferro e anche altri sali a seconda di quello che può servire alle piante in un determinato momento dell'anno".
(Fonte: Azienda Mangrovia)
Per quanto riguarda la difesa da fitofagi e patogeni, si possono usare solo prodotti a residuo zero per evitare danni ai pesci e ai batteri benefici che vivono nel sistema: "Facciamo lanci di insetti in serra, usiamo i fitofarmaci biologici come quelli a base di Bacillus thuringiensis".
Il ciclo dell'azoto e il ruolo dei batteri
I pesci rilasciano rifiuti nell'acqua di coltura: si tratta di orina ed escrementi solidi ricchi di ammoniaca. Questa, se si accumula, può creare un ambiente estremamente tossico per i pesci e la soluzione più semplice potrebbe essere quella di smaltire l'acqua e immetterne della nuova nel sistema. L'acquaponica a ciclo chiuso, però, aiuta proprio in questo, a risparmiare acqua e utilizzare quella che c'è in maniera efficiente.
È qui che entrano in gioco i batteri.
In acquaponica si utilizzano delle colonie di batteri nitrificanti capaci di trasformare l'ammoniaca in nitrati, che possono così essere assorbiti dalle piante sotto forma di nutrimento. Le piante, a loro volta, assorbendo questi nutrienti filtrano e purificano l'acqua attraverso il sistema radicale così che l'acqua possa tornare ai pesci. In questo sistema i batteri sono quindi fondamentali: "Noi facciamo i fighi ma in realtà senza i batteri non siamo nessuno. I batteri sono i padroni di tutti i meccanismi biochimici che regolano la vita e non potremmo sopravvivere altrimenti. In questo caso sono loro a fare il lavoro sporco, non pagato e in nero nella nostra azienda.
I batteri nitrificatori che noi utilizziamo si sviluppano solo a determinate condizioni ottimali, cioè alte concentrazioni di ammonio e minori concentrazioni di sostanza organica disciolta. Ci sono dei limiti, perché se l'acqua fosse troppo sporca questi batteri non riuscirebbero a sopravvivere.
I batteri non fanno altro che trasformare l'ammonio in nitrito e poi da nitrito a nitrato. Questo è un passaggio essenziale che accade normalmente in natura.
Nell'acqua oltre a questa tipologia di batteri ci sono anche un'altra miriade di batteri che fanno si che le piante e i pesci crescono bene".
I batteri nitrificanti di cui parla Lorenzo appartengono ai generi Nitrosomonas e Nitrobacter. I primi convertono l'ammoniaca in nitrito e i secondi convertono il nitrito in nitrato. Questi batteri formano delle colonie sotto forma di biofilm sulla superficie dei materiali inerti presenti in acqua e nel biofiltro.
Se i batteri sono assenti o non funzionano correttamente, le concentrazioni di ammoniaca nell'acqua aumenteranno, mettendo a rischio la vita dei pesci. Essendo quindi così importante il loro ruolo, bisogna prendersene cura costantemente: i batteri nitrificanti hanno temperature ottimali che si aggirano tra i 17 e i 34 °C, il livello ottimale di ossigeno disciolto nell'acqua è pari a 4-8 milligrammi per litro e hanno bisogno di ombreggiamento e protezione dalla luce solare diretta.
Un altro importante parametro è il pH. I batteri nitrificanti lavorano meglio a pH elevati tra 7,2 e 8,2. Ma il compromesso all'interno di un sistema di acquaponica composto da diversi organismi è 6-7, un intervallo in cui i batteri, comunque, funzionano adeguatamente.
Oltre ai batteri nitrificanti ci sono anche altri batteri, detti eterotrofi, che si occupano di un lavoro ancora più sporco, cioè quello di decomporre i rifiuti solidi utilizzando il carbonio organico come nutrimento. Anche questi batteri sono utilissimi perché attraverso la mineralizzazione rendono disponibili micronutrienti essenziali per le piante.
Tra prospettive, vantaggi e limiti
Il ciclo chiuso fa risparmiare acqua e materie prime
Il ciclo chiuso non è un requisito obbligatorio per fare acquaponica ma è una scelta. Sicuramente, con il ciclo chiuso è più facile utilizzare in maniera efficiente l'acqua e ridurre l'impiego di fertilizzanti di sintesi.
"Il nostro principio - ci racconta Lorenzo Cannella - è quello di essere efficienti: risparmiare l'acqua e poi le risorse. Noi di Mangrovia non crediamo di aver trovato la soluzione per salvare il mondo, semplicemente con l'acquaponica vogliamo provare a coltivare e produrre cibo in maniera sostenibile. L'acquaponica è una questione di efficienza. Tu hai un sacco di animali che producono un sacco di cacca, che anziché buttare riutilizzi".
Ma quindi quanta acqua si risparmia con l'acquaponica? "Il range è intorno al 95-98% di acqua risparmiata; l'acqua va via dal sistema solo per evaporazione o traspirazione dalle piante. Però bisogna spiegarlo bene questo concetto, altrimenti la gente pensa che puoi fare acquaponica anche nel deserto. L'acquaponica non significa non utilizzare acqua ma usare acqua in maniera efficiente; quindi, se sei in un posto dove non c'è acqua non puoi fare acquaponica".
Doppia produzione e doppie rese
Il secondo vantaggio è quello di avere due produzioni, quella ittica e quella vegetale. In più, la coltivazione in serra, permette di effettuare più cicli nello stesso anno: "Quando sono pronte, si raccolgono tutte le lattughe e i pannelli si lavano. Si rimettono le lattughe nuove e si posizionano di nuovo a mollo. Se si ha la forza, lo stesso giorno si può ricominciare il ciclo e quindi aumenti i cicli di produzione".
Un lavoro (a volte) meno faticoso
Quando si lavora senza suolo non c'è bisogno di arare, pacciamare o diserbare, si riduce l'utilizzo delle macchine agricole e dei combustibili fossili ma, soprattutto, il lavoro diventa meno pesante.
Ecco l'esperienza di Lorenzo: "È un lavoro che è leggermente meno faticoso. Per esempio, la serra dove lavoriamo le piante dopo la raccolta ha una copertura bianca e nera, quindi fa caldo ma non fa passare la luce. La serra delle piante, invece, fa passare la luce e per questo non lavoriamo lì le piante. Generalmente raccogliamo le piante, prendiamo il pannello e lo portiamo nella serra coperta dove è più di fresco e qui lavoriamo su un piano, quindi non dobbiamo nemmeno stare chinati. Diciamo che, in un sistema di acquaponica puoi gestire in maniera diversa la raccolta e questa cosa aiuta dal punto di vista fisico e gestionale".
(Fonte: Azienda Mangrovia)
Meno problemi fitosanitari
In serra e senza suolo alcuni problemi legati alle malattie delle piante sono eliminati. In particolare, non ci sono problemi di patogeni del suolo, come ad esempio i nematodi, e non ci sono problemi di piante infestanti eliminando così anche i costi di acquisto di diserbanti o strumenti per pacciamare.
L'acquisto degli avannotti
Dal punto di vista dell'acquisto dei pesci, l'azienda Mangrovia si trova un po' isolata: "Il pesce persico per noi è l'unico pesce disponibile. Quando sono tornato in Italia, il problema più grosso è stato proprio quello di trovare il pesce: la avannotteria più vicina era nel Nord Italia e per noi era complicato anche a livello di costi, perché senza minimi importanti l'azienda non spediva.
Fortunatamente, in quel periodo ha aperto a Catania una piccola avannotteria che alleva solo il persico trota e ad oggi è l'unica avannotteria del Centro Sud Italia.
Quindi, la scelta del pesce persico è stata condizionata ma alla fine si è reputata anche corretta, perché si tratta di un pesce molto resiliente che resiste ad un ampissimo range di temperatura, di pH, di ossigeno e quindi è perfetto".
Quanto si produce e il problema del mercato
Quanto produce un’azienda di acquaponica? Ce lo racconta Lorenzo che dice: "Fare acquaponica è dispendioso. Innanzitutto, non esiste un mercato. Se andassi al mercato classico mi prenderebbero a lattughe in faccia perché vorrebbero pagarmi una cassetta 2 euro, ma io con 2 euro non ci pago nemmeno la cassetta. Quindi mi ritrovo isolato e l'unica cosa possibile che si può fare è crearsi il proprio mercato. Noi lavoriamo con la vendita diretta e soprattutto con la ristorazione cercando di valorizzare il nostro prodotto.
Per quanto riguarda le quantità, noi non vendiamo a bancali, a tonnellate o a camion, noi vendiamo a grammi. Questa è l'unica maniera che ci permette di poter sopravvivere con tutte le difficoltà, perché siamo comunque una realtà piccola.
Al momento abbiamo una produzione legata alla parte idroponica, e quindi delle piante, intorno quasi a 2mila metri quadrati di produzione. I pesci, invece, sono all'interno di una serra di 500 metri quadrati, è difficile dirti quanto produciamo ma sostanzialmente abbiamo 200 metri cubi di acqua.
(Fonte: Azienda Mangrovia)
Il fatto di trovarci in Sicilia complica le cose: siamo circondati da acqua e questo ci isola un pochino, quindi quando decidiamo di vendere i nostri prodotti da qualche parte dobbiamo scalare l'Italia e questo è sempre un problema.
Noi, infatti, vorremmo vendere anche fuori dalla Sicilia; quest'anno per esempio volevo provare a raggiungere Milano, perché è molto più facile arrivare lì che da qualsiasi altra parte, però è comunque complicato perché prima bisogna trovare il giro di ristoranti, poi ci possiamo permettere di andare avanti con il passaparola.
Volevo anche provare a vendere a Malta… Noi viviamo a Scicli, in provincia di Ragusa, e siamo quindi a 170 chilometri in linea d'aria da Malta, che è interessante come mercato perché c'è tanto turismo, ristoranti, resort, ecc. La merce per andare a Malta, con i corrieri che utilizzo per lavorare in tutta la Sicilia e in Italia, deve andare prima a Milano, perché lì c’è l'hub internazionale, e da Milano deve ritornare a Catania e poi andare a Malta. In tutto questo i miei prodotti devono attraversare 2 volte lo stretto di Messina, 3 volte il mare e 2 volte l'Italia. Questa è più o meno ciò che deve affrontare un generico Siciliano".
Nonostante questi lati negativi Lorenzo ha intenzione di espandere Mangrovia. "Sì, vorremo spostarci in un altro terreno per fare delle serre nuove, ora che abbiamo implementato e costruito il nostro mercato e abbiamo una certa solidità.
A livello commerciale siamo gli unici in Sicilia a fare acquaponica e anche in Italia siamo veramente in pochi, circa 4-5. Ci sono tante realtà ma fanno più attività didattiche. Anche a noi piacerebbe implementare il sistema produttivo con delle attività extra agricole. Già le facciamo, ma vorremmo avere degli spazi adibiti per la parte esperienziale, che siano delle visite didattiche o degli aperitivi per far vivere l'azienda e rendere l'agricoltura più divertente. L'obiettivo non è quello di essere domani più grandi, ma è quello di essere la realtà che vogliamo essere".
I costi di avviamento
All'inizio serve lo spazio e subito dopo i serbatoi e le vasche per i pesci, il cui costo varia a seconda delle dimensioni e del materiale. Sicuramente, però, i costi di avviamento iniziali sono più elevati rispetto alla produzione di ortaggi su suolo o alla sola idroponica.
"Quando si inizia - spiega Lorenzo Cannella - si può comprare una macchina d'epoca che, se si guasta, può essere aggiustata con un cacciavite e un martello, oppure si può comprare l'ultimo modello super tecnologico che, se si guasta, va fatto aggiustare da qualcun altro e bisogna spendere tanti soldi. In questi due casi, quindi, si avranno dei costi diversi di avviamento e di gestione che determinano tutto.
Io sono partito con il primo caso, perché avevo la tecnica e il know how per poter avviare qualcosa e e i costi dall'altra parte erano molto alti. Per esempio, noi abbiamo delle piscine al posto delle vasche. In acquacoltura generalmente si usano delle vasche in vetroresina, ma una di queste può costare tra i 6 e gli 8mila euro, mentre una piscina della stessa grandezza, che comunque rispetta i protocolli igienico sanitari ed è fatta di materiale atossico, ci costa 400 euro".
Vasca per l'allevamento dei pesci
(Fonte: Azienda Mangrovia)
Le prospettive future per le materie prime dei mangimi
Uno degli input più presenti e costosi in un sistema di acquacoltura è il mangime per pesci. Il pesce persico, per esempio, che alleva Lorenzo di Mangrovia, è un pesce carnivoro che ha bisogno di un mangime che ha dei costi molto alti: "Il nostro è un pesce carnivoro, quindi ha bisogno di alte concentrazioni di proteine. Fino agli anni '90 il grosso problema dell'acquacoltura era che i mangimi erano ricchi di fonti proteiche di natura ittica, venivano cioè da altri pesci. Per assurdo, si pescava del pesce per fare del mangime per altro pesce, e si parla di concentrazioni molto alte, 40-50%. L'origine proteica veniva solo da quello.
Nel Nord Europa, dove l'acquacoltura è un'industria, i consumatori hanno spinto molto per far abbassare queste concentrazioni, quindi ci si è orientati molto verso proteine alternative di origine vegatale come la soia".
Un'altra fonte proteica alternativa di cui si discute molto in questo periodo e quella che deriva dagli insetti. Questi sono ricchi di acidi grassi polinsaturi e minerali essenziali e ci sono numerose specie disponibili che possono essere interessanti per questo utilizzo come, per esempio, le larve della mosca soldato nera Hermetia illucens.
"Non si parla ancora di farina di insetti perché i prezzi sono ancora un po' alti. Però questa è la direzione, anche perché domani gli insetti potranno essere prodotti all'interno di cicli chiusi dove si va a fare un lavoro sul compostaggio, ci possono essere dei cicli virtuosi che si possono andare ad incrociare".