Quando si parla di Italia a tavola si parla di pasta e il grano duro è il fondamento di questo alimento. L'Italia però non ne produce abbastanza e così importiamo la metà del frumento dall'estero.
Il grano coltivato nel nostro Paese, soprattutto nel Sud Italia, non è neppure davvero italiano, ma ha una genetica estera.

"Un Paese che fa del frumento duro un vanto a livello di produzione agroalimentare deve necessariamente conoscerne la genetica. Questo vale per il grano, come per il pomodoro, l'ulivo o la vite. La conoscenza genetica delle piante fondamentali per il nostro Paese deve essere un asset strategico nazionale", spiega ad AgroNotizie Luigi Cattivelli, direttore del Centro per la genomica vegetale del Crea e coordinatore del progetto di sequenziamento del genoma del frumento duro.

Proprio il consorzio internazionale che ha come obiettivo quello di decriptare i geni contenuti in un chicco di grano ha da poco annunciato di aver completato la raccolta e l'assemblaggio dei dati di sequenza.
"Detto molto semplicemente abbiamo preso il Dna del frumento duro, lo abbiamo spezzettato, sequenziato e rimesso tutto assieme. Quello che dobbiamo fare adesso è andare alla ricerca dei geni nel genoma e scrivere di fianco ad ogni pezzo del Dna a cosa serve. Questo è il lavoro che faremo nei prossimi mesi e massimo in due anni completeremo il lavoro".

Il sequenziamento non è affatto semplice. Chi pensa al frumento come ad una pianta banale si sbaglia di grosso. "Il grano duro ha un genoma molto grande con circa 12 miliardi di basi e con oltre l'80% di sequenze ripetute", spiega Cattivelli.
"E' un gigantesco oceano in cui sono sparsi 80mila geni che coprono in totale meno del 20% di tutto il Dna. Il resto è rumore di fondo che complica le analisi".

Proprio per superare il problema delle sequenze ripetute, che rende difficile per i ricercatori andare a scovare i dati davvero importanti, il team si è avvalso della tecnologia di una ditta israeliana, NRGene, leader a livello mondiale nell'assemblaggio delle sequenze dei genomi.

Dunque entro massimo due anni sapremo quali informazioni contengono i geni del frumento duro, ma quali saranno le ricadute per l'agricoltura? "Potenzialmente infinite. Ad esempio attraverso il genome editing e la cisgenesi potremo andare ad editare il genoma del grano duro per ottenere piante che resistono meglio ai cambiamenti climatici o ai patogeni".

Per un paese che fa della pasta e del grano duro un asset strategico riuscire a migliorare le produzioni sarebbe un salto non da poco. Conoscendo i geni del frumento si potrebbero creare piante resistenti alla fusariosi della spiga, uno dei flagelli dei cerealicoltori, o migliorare la resistenza all'allettamento.
Si potrebbero creare piante più produttive e che si adattano bene agli areali del Nord Italia, che solo di recente hanno visto la diffusione di questa coltura.

"Migliorare una pianta significa rispondere alle esigenze della società", puntualizza Cattivelli. "Come quando negli anni '70 i pastificatori si accorsero che la pasta di colore giallo vendeva di più e allora si selezionarono grani da cui si otteneva una semola di colore giallo".

Il lavoro del consorzio internazionale è stato coordinato da Cattivelli con la partecipazione di Aldo Ceriotti, Luciano Milanesi, Alessandra Stella e Gabriella Sonnante del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Marco Maccaferri, Silvio Salvi e Roberto Tuberosa dell'Università di Bologna, Nicola Pecchioni del Crea ed altri ricercatori da tutto il mondo, tra cui Curtis Pozniak dell'Università di Saskatchewan (Canada), Assaf Distelfeld dell'Università di Tel Aviv (Israele), Nils Stein e Martin Mascher dell'Ipk (Germania) e Hikmet Budak dell'Università del Montana (Usa).

Oltre alle istituzioni scientifiche, il lavoro ha coinvolto Genomix4Life, uno spin-off dell'Università di Salerno che ha prodotto le sequenze grezze.
Da parte italiana il progetto è stato finanziato dal Cnr attraverso il Progetto Bandiera Miur "InterOmics", dal Crea e dall'Università di Bologna.