Dopo la Brexit la Gran Bretagna ha deciso di schiacciare sul pedale dell'innovazione in diversi campi, come quello della genetica. E così, mentre l'Unione Europea è ancora in una fase interlocutoria circa la normativa delle Tecniche di Evoluzione Assistita (Tea), il Paese le ha sostanzialmente sdoganate, permettendo ai ricercatori di sondare il potenziale del gene editing.

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Ad esempio, un consorzio di università, centri di ricerca e aziende ha lanciato il progetto PhotoBoost, che ha come obiettivo quello di migliorare la capacità fotosintetica della patata, una coltura chiave per il mercato britannico.


Agendo su più fattori i ricercatori confidano di poter migliorare del 20-25% l'efficienza fotosintetica di questa pianta, arrivando a garantire un aumento della biomassa prodotta pari al 30%. Insomma, più patate per unità di superficie.


Le leve sfruttate dai ricercatori sono diverse e una di queste riguarda la fotoprotezione. Molte specie vegetali (quelle della famiglia C3) mettono infatti in atto dei meccanismi per tutelare i propri tessuti da un irraggiamento solare troppo intenso. Quando colture come la patata sono esposte direttamente alla luce del sole particolarmente intensa (come in estate), le cellule fermano la sintesi dei carboidrati come forma di protezione.


Ma anche nel momento in cui l'intensità della luce diminuisce, perché magari passa una nuvola o cambia l'ombreggiamento delle foglie, l'organismo ha dei tempi di riattivazione della fotosintesi relativamente lunghi. I ricercatori stanno intervenendo per disinnescare parzialmente questi strumenti di fotoprotezione e per rendere il ripristino della fotosintesi più veloce.


Ma non solo. Alcune piante, come la patata, sono poco efficienti nella sintesi dei carboidrati. Infatti, l'enzima responsabile di fissare l'anidride carbonica trasformandola in carboidrati (enzima rubisco), il 30% delle volte sbaglia bersaglio e si lega all'ossigeno. È questo un dispendio di energie per la pianta che non si traduce in alcun beneficio. Anche in questo caso i ricercatori stanno intervenendo per ottimizzare questo processo e ridurre la percentuale di errore.


Ma c'è di più, perché come sanno bene i nostri ricercatori, alle prese con la vite, il gene editing può essere utilizzato anche per ridurre o eliminare la suscettibilità di una pianta ad alcuni patogeni fungini. Nel caso della patata si potrebbe dunque intervenire per rendere la coltura resistente alla peronospora, la principale avversità. In questo modo si ridurrebbero i trattamenti necessari per difendere la coltura e si otterrebbe un aumento delle produzioni.


La patata non è certamente una coltura chiave per il made in Italy, ma il caso britannico offre un interessante spunto di riflessione di quanto le nuove tecniche di miglioramento genetico, del tutto estranee ai vecchi Ogm, possano permettere di mettere a punto nuove varietà che siano più produttive e resistenti ai patogeni, e quindi siano uno strumento per produrre di più usando meno input, uno degli obiettivi dell'Unione Europea. Unione che, tuttavia, sta vivendo una fase di stallo nella definizione di una nuova regolamentazione sul fronte delle Tecniche di Evoluzione Assistita (a cui appartiene il gene editing), che oggi i nostri ricercatori non possono neppure testare in campo.