Leggendo il magazine HTSI del Financial Times, mi sono imbattuto in un articolo che parlava di cosa offrire da bere ai matrimoni. Essendo già felicemente sposato e non avendo alcuna intenzione di rifarlo una seconda volta, la mia curiosità era rivolta ovviamente alle nuove tendenze in fatto di drink. Ebbene, la prima fotografia dopo quella di apertura legata al titolo, riguardava un vino "alcol free". A conferma che il tema è di attualità.
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Di vini dealcolati si è parlato anche alla 56esima edizione di Vinitaly, che ha chiuso i battenti la scorsa settimana, con il solito fermento di buyer (si è vista molta Cina, con un'età media apparentemente più bassa del solito, ed è un ottimo segnale), la folta presenza di politici fra premier, presidente della Camera, ministri, governatori, assessori regionali (che confermano la centralità della manifestazione e la sua grande visibilità mediatica), e con le grandi riflessioni sul futuro di un settore che vale l'1,1% di Pil, vanta una produzione annua di 45,2 miliardi di euro e assicura un valore aggiunto pari a 17,4 miliardi. Per non dire degli occupati a vario titolo fra diretti e indiretti che sono oltre 300mila lavoratori (Fonte: Osservatorio Vinitaly-Uiv, ricerca Prometeia).
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Numeri di tutto rispetto, da difendere, sostenendo le esportazioni (cresciute negli ultimi venti anni del 188%, fonte: Coldiretti, con solamente tre battute d'arresto: il 2009 dopo la grave crisi finanziaria mondiale, il 2020, anno del covid-19 e il 2023, che ha registrato un -0,8%), l'enoturismo (fenomeno in crescita, che seduce 15 milioni di potenziali ospiti: fonte: Coldiretti), la sostenibilità (il 22% delle superfici vitate è bio, secondo Cia - Agricoltori Italiani), ma guardando anche il nuovo che avanza.
Il mondo del vino sta attraversando un momento di difficoltà. In particolare i vini rossi, che in questa fase registrano maggiori difficoltà rispetto ai bianchi. Ma tutto il comparto è alle prese con le solite ondate di salutismo ideologico, con il rischio che sulle etichette finiscano degli "alert" o dei "warning" superflui quando il consumo del vino è moderato, magari accompagnato dal cibo, e in ogni caso lontano temporalmente dal sedersi in automobile.
Sullo sfondo, il tema degli espianti. Che fare? A Bordeaux, dove i vini premium li fanno da tre secoli, i vigneron hanno deciso di togliere circa il 9-10% della superficie vitata, così da ridurre le produzioni e tentare di salvaguardare il prezzo dei prodotti, arroccandosi in difesa della qualità. Con 30 milioni di euro di aiuti statali…
Si potrebbe pensare una pratica di riduzione delle superfici vitate anche in Italia, magari ridimensionando quelle zone produttive recenti, nate sull'onda dell'espansione del mercato, attraversato ora da un'onda di risacca, che rischia di pesare e non poco sulla prossima vendemmia, quando gli agricoltori la affronteranno con maxi giacenze nelle cantine?
Altra questione emersa a Vinitaly 2024: i cambiamenti climatici. La vite si sposterà sempre più a Nord e sempre più in alto? Molto probabile. I Piwi potranno dare un aiuto, mantenendo inalterate le caratteristiche dei vini, a partire da aromi e profumi? O l'introduzione di vitigni resistenti comporterà anche cambiamenti di natura sensoriale? Con quali riflessi sul fronte merceologico ed economico? E ancora: i vitigni autoctoni che futuro avranno? Resisteranno alla rivoluzione climatica?
Ma il grande dibattito che si è aperto a Vinitaly 2024 è quello legato ai vini dealcolati, che divide il settore e che si ha l'impressione che sia un tema sul quale non tutti vorrebbero accendere i riflettori. In effetti, chiamare vino un prodotto al quale è stato tolto l'alcol può essere un tantino destabilizzante.
La Francia, altro grande produttore enoico, per non dire il più grande, se teniamo conto non delle quantità prodotte, ma del valore aggiunto (più del doppio dell'Italia), ha autorizzato la possibilità di produrlo nel caso degli Igp.
Il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida, proprio dal Vinitaly dice: "Facciamo il dealcolato, ma non chiamiamolo vino". Altrimenti si finirebbe come per gli hamburger vegetali, alternativa alla carne, ma che ben si guardano dal prendere le distanze nel nome.
Sul fronte politico opposto, l'ex premier Massimo D'Alema, produttore di vino in Umbria, si dichiara possibilista: "Se il mercato lo chiede". D'altronde, in un'economia di mercato sono proprio domanda e offerta che devono trovare il proprio equilibrio, e se i consumatori lo chiedono…
Negli Stati Uniti il mercato dei cosiddetti "Nolo", cioè No Alcol e Low Alcol, vale già 1 miliardo di dollari. L'Italia è una delle grandi culle del vino a livello mondiale, con un primato ineguagliabile in termini di biodiversità. Secondo il segretario generale dell'Unione Italiana Vini, Paolo Castelletti, "in Italia il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande dealcolate".
Che fare? Si può essere attratti oppure no, interessati o meno, curiosi o restii, ci mancherebbe. L'unica cosa da non fare è rinviare le decisioni o nascondere il problema, il famoso "elefante nella stanza", come dicono nel mondo anglosassone. Lo abbiamo già visto in altri campi della ricerca, con conseguenze non certo entusiasmanti.
Brindo al successo di Vinitaly (per ora) con un vino "tradizionale", in futuro chissà. E voi, cosa ne pensate? La parola, ora, ai gentili lettori che possono scrivere a redazione@agronotizie.it.