Ottica europea
L'Italia è in grado di produrre tutto il frumento duro che le occorre, ma resterà deficitaria per la produzione di frumento tenero, di mais e di oli vegetali.
E' quanto scrive Micaela Cappellini su Il Sole 24 Ore in edicola il 3 maggio, raccogliendo le dichiarazioni del presidente di Ismea, Angelo Frascarelli.
Oggi l'Italia produce meno del 70% del grano duro che consuma, ma se l'attenzione si ferma solo sul comparto della pasta, il tasso di autoapprovvigionamento è di oltre il 200%.
Diversa la situazione per il frumento tenero, visto che coltiviamo solo il 36% del nostro fabbisogno.
Forte il deficit sul fronte del mais, per il quale la produzione nazionale copre appena il 50% del fabbisogno.
Siamo anche grandi importatori di oli vegetali, in particolare di girasole.
Allargando lo sguardo ai mercati internazionali, preoccupa il forte aumento dei prezzi del grano tenero e dei mangimi a base di mais, che hanno fatto lievitare i prezzi di carne, latte e derivati.
Una situazione che potrebbe innescare instabilità politica e disordini nei paesi più poveri.
A causa del conflitto in corso in Ucraina, si legge ancora, Oxfam, Oxford Committee for Famine Relief, calcola che quest'anno ben 263 milioni di persone in più nel mondo potrebbero ritrovarsi in una condizione di povertà estrema e la fame potrebbe colpire oltre 800 milioni di individui.
Difficile per l'Italia aumentare la produzione agricola, perché altri terreni coltivabili non ce ne sono, ma possiamo farlo aumentando le rese.
Ciò che occorre ripensare, si legge a conclusione dell'articolo, sono le politiche di approvvigionamento, che devono essere coniugate in chiave europea.
I numeri del Cibus
In questi giorni nel quartiere fieristico di Parma è andato in scena Cibus, la fiera internazionale dedicata al mondo agroalimentare, occasione utile per fare il punto sulla situazione del settore.
A questo proposito Attilio Barbieri dalle pagine di Libero del 4 aprile ricorda che il settore ha raggiunto un valore di 575 miliardi di euro, collocandosi così come una delle filiere più importanti per l'economia italiana.
Prendendo spunto da talune analisi della Coldiretti, l'articolo puntualizza che il settore vede impegnati 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, alle quali si aggiungono 70mila industrie e oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio.
Nonostante questi numeri positivi, la situazione delle aziende agricole è in forte sofferenza per l'aumento dei costi, che vanno dal più 170% dei concimi al più 90% dei mangimi.
Aggiungendo anche gli aumenti della bolletta energetica, i costi di gestione delle aziende agricole sono saliti in media di oltre 15.700 euro con punte di 47mila euro per le stalle da latte.
La filiera lattiero casearia è quella che maggiormente risente di questa situazione, dove molte realtà produttive stanno lavorando in perdita.
Una situazione che imporrebbe una presa di responsabilità da parte di tutti i protagonisti della filiera alimentare, per raggiungere una più equa ripartizione del valore lungo la catena produttiva e distributiva.
Pericolo fame
Fra gli stand del Cibus a Parma e del Macfrut a Rimini, si percepisce la voglia di ripresa del settore agroalimentare.
Lo scrive Anna Maria Capparelli su Il Quotidiano del Sud del 5 maggio, registrando la crescita ottenuta lo scorso anno e confermata dai primi mesi del 2022.
A questi aspetti positivi si contrappongono tuttavia gli scenari che vanno delineandosi a livello mondiale, dove la fibrillazione dei mercati delle materie prime rischia di travolgere le fasce più deboli della popolazione.
Ancor prima che esplodesse il conflitto in Ucraina, per oltre mezzo milione di persone, dall'Etiopia al Madagascar, al Sudan, è stato dichiarato lo stato di insicurezza acuta alimentare.
Una situazione destinata a peggiorare a causa del tragico legame tra conflitto e insicurezza alimentare, come ricorda il direttore generale della Fao, Qu Dongyu.
Una situazione che non mancherà di coinvolgere l'Europa e che riguarda direttamente il nostro Paese, deficitario di molte materie prime.
L'articolo si conclude riprendendo le parole dell'europarlamentare Paolo De Castro, secondo il quale è necessario che le politiche agricole europee abbiano un approccio meno punitivo nei confronti dell'agricoltura. Vanno mantenuti gli standard di qualità e sicurezza, puntando a dare continuità e autonomia alla produzione agricola europea, contribuendo all'obiettivo della sicurezza alimentare.
C'è la peste (suina) nel Lazio
La peste suina africana ha fatto la sua comparsa a Roma in un cinghiale.
Dopo i numerosi analoghi episodi registrati fra il Piemonte e la Liguria, questa nuova segnalazione è fonte di molte preoccupazioni, in quanto indica che il virus si sta spostando rapidamente a dispetto delle iniziative intraprese per arginarne la diffusione.
La notizia è rimbalzata su numerosi quotidiani e fra questi Libero del 6 maggio, che evidenzia i danni incalcolabili alla nostra economia che potrebbero derivare dall'ingresso di questa patologia in un qualunque allevamento di suini.
Un'emergenza nazionale già preannunciata, come evidenzia la Cia, per il proliferare indisturbato dei cinghiali in tutta Italia e per l'assenza di una adeguata normativa di gestione della fauna selvatica.
In allarme ci sono ora i 12mila allevamenti di suini presenti nel Lazio, dove vengono allevati circa 43mila capi.
Enorme il numero di cinghiali in libertà, che sarebbero già di più di ventimila, mentre la stima degli esemplari presenti in tutta l'Italia arriva a 2,5 milioni.
Il rischio afferma Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, è che l'emergenza si possa allargare alle regioni limitrofe, aumentando il rischio di contagio per i suini, evento che porterebbe al blocco delle attività di allevamento e di trasformazione.
Il grano che verrà
La Commissione europea ha svincolato i terreni a riposo come misura anticrisi di fronte all'emergenza delle ridotte forniture di materie prime, cereali in testa.
Ma questa deroga non ha avuto effetti sugli investimenti sul mais, stimati in calo di oltre il 5%, come scrive Alessio Romeo su Il Sole 24 Ore del 7 maggio.
Le scelte degli agricoltori si sono infatti orientate verso le colture proteiche, a iniziare dalla soia, di cui l'Italia è deficitaria per oltre l'80%.
Sul fronte del grano, a poche settimane dall'avvio delle operazioni di raccolta, le previsioni non sono positive.
Per il grano duro si legge nell'articolo, è difficile attendersi un miglioramento dei già deludenti risultati dello scorso anno e la produzione attesa è stimata fra 3,7 e 3,8 milioni di tonnellate, contro i 4 milioni dello scorso anno.
Le maggiori incognite riguardano la Sicilia, per la mancanza di pioggia, mentre in Puglia, fra le principali regioni cerealicole italiane, si è seminato in ritardo, cosa che inevitabilmente si ripercuoterà sul raccolto.
Situazione meno problematica per il frumento tenero, la cui produzione dovrebbe mantenersi stabile intorno ai 2,8 milioni di tonnellate.
Per quanto riguarda il riso, l'aumento dei costi e la scarsità di acqua stanno tagliando le semine e le previsioni parlano di un calo di circa il 4%.
Già in passato la produzione di riso aveva subìto una flessione anche a causa delle politiche tariffarie dell'Unione Europea dopo l'apertura all'import a tariffe agevolate.
Il grano e la fame
Nel silos dell'Ucraina sono fermi quasi 25 milioni di tonnellate di grano che non possono abbandonare i magazzini per la mancanza di infrastrutture e per il blocco dei porti.
Lo denuncia Josef Schmdhuber, vicedirettore della Fao, in occasione di una conferenza stampa che si è tenuta a Ginevra.
Lo riferisce Rosaria Amato dalle pagine di La Repubblica dell'8 maggio, dove si spiega che se i magazzini non vengono svuotati il danno è doppio, perché alle mancate forniture verso i paesi che ne hanno bisogno, in particolare laddove sta aumentando il problema della fame, si aggiunge l'impossibilità di stoccare i nuovi raccolti, per quanto inferiori rispetto al passato in conseguenza del conflitto in corso.
Il prossimo raccolto potrebbe non trovare spazio di stoccaggio e di conseguenza andare sprecato, mentre nel mondo agli attuali 267 milioni di persone già alle prese con la fame se ne potrebbero aggiungere altri 47 milioni.
Forte poi l'impatto sui prezzi che deriva dal blocco dei porti, con un aumento di un altro 5% delle quotazioni del grano.
Oltre al prezzo del grano, si registrano aumenti per concimi, mangimi, imballaggi, un insieme di rincari che mette a rischio molte aziende agricole.
L'aumento dei prezzi arriva inevitabilmente anche sul prodotto finale, rendendo sempre più caro il carrello della spesa, conclude l'articolo, aumentando la forbice fra ricchi e poveri anche nei paesi più industrializzati.
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