"La sperimentazione delle azioni previste nel Piano triennale di contrasto e prevenzione del caporalato - aveva osservato Teresa Bellanova - partirà da alcuni punti fermi: il caporalato è criminalità e non ha alibi di nessuna natura, nemmeno quelli relativi ai costi di produzione; non esistono filiere sporche ma imprese che praticano l'illegalità e vanno perseguite; lo Stato deve, e può, contrastare questa pratica criminale sul piano dell'offerta dei servizi e dell'incrocio legale e trasparente domanda-offerta di lavoro, per sottrarre al ricatto lavoratori e imprese".
La ministra - che ha conosciuto da vicino "l'ingiustizia profonda dello sfruttamento del lavoro agricolo e della condizione delle donne in agricoltura" - ha raccontato come siano "una parte cruciale" della sua "esperienza: la mia scuola di vita inizia lì. Su di me, sulle mie compagne di lavoro". Per questo la ministra Bellanova concentra i suoi sforzi verso la condizione femminile. E i numeri dimostrano che la situazione è più grave proprio per loro: secondo la Fao infatti nei paesi in via di sviluppo le donne costituiscono il 45% della forza lavoro agricola, dal 20% dell'America Latina al 60% in alcune zone dell'Africa e dell'Asia; lavorano dodici-tredici ore in più a settimana, dovunque hanno meno probabilità di possedere la terra, e sono loro a soffrire di più fame e povertà alimentare.
Secondo Teresa Bellanova "se vogliamo raggiungere davvero l'obiettivo Fame zero al 2030 dobbiamo tutti insieme affrontare il tema di come spezzare le catene che imprigionano la produttività femminile. Già solo consentendo alle donne un migliore accesso alla proprietà dei terreni si potrebbe ridurre di centinaia di milioni di persone la fame che oggi colpisce 820 milioni di donne, uomini, bambini. Senza dimenticare che le donne reinvestono fino al 90% dei loro guadagni nelle loro famiglie, assicurando così una migliore educazione e alimentazione ai figli. Sono le donne la forza propulsiva della lotta alla disuguaglianza, perché sono loro le prime a subirla. Un diverso modo di fare agricoltura può portare, in termini di migliori condizioni di vita, uguaglianza di genere, impatto ambientale e giustizia sociale". In Italia "il doloroso e attuale problema del caporalato con lo sfruttamento dei lavoratori e la violazione dei diritti sono aspetti ancora presenti, e non solo nelle nostre campagne. Le differenze salariali sono ancora molto diffuse: vanno combattute. E dobbiamo garantire alle donne la possibilità di conciliare vita professionale e familiare".
Contro il caporalato si è insediato il Tavolo inter-istituzionale, con il ministero dell'Interno, che ha portato poi alla definizione del Piano. La parola d'ordine deve essere prevenzione. Il che tradotto significa azioni coordinate su alloggi, trasporti, intermediazione legale del lavoro, e controlli. Alla base, di questa scelta, la volontà di restituire dignità al lavoro e salvaguardare le imprese che scelgono la legalità. Per la lotta al caporalato, ha osservato la ministra, "dobbiamo garantire la piena attuazione della legge 199. Sono molti i rappresentanti della magistratura e delle forze dell'ordine che hanno sottolineato come la norma abbia assicurato un salto di qualità nel contrasto del fenomeno". Nel 2018 ci sono state 7.160 ispezioni dell'Ispettorato, con 479 provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale, di cui 404, ovvero l'84%, sono stati poi revocati a seguito di intervenuta regolarizzazione. Per la ministra è "una piaga antica che ha un volto sempre nuovo. Un'attività criminale che come tale va affrontata. Con la massima determinazione. Il caporalato è mafia, perciò dobbiamo combatterlo con armi nuove".
Il Piano è composto da tre sezioni: analisi, priorità e azioni. Nel Piano ci sono dieci azioni prioritarie e impegni precisi, di cui sei riguardano la prevenzione, una i controlli, una la protezione delle vittime e una il reinserimento socio-lavorativo. C'è un metodo nuovo: contro il caporalato, soprattutto in alcune aree di emergenza, si dovrà intervenire d'ora in poi solo con azioni coordinate su alloggi, trasporti, intermediazione legale del lavoro, controlli.
Ci sarà una mappatura dei fabbisogni di lavoro agricolo con un calendario delle principali colture e delle esigenze di raccolta e di manodopera a livello nazionale. Questo anche per rispondere alle esigenze delle imprese che in alcuni casi evidenziano una forte difficoltà nel reperire manodopera, italiana e straniera, attraverso i canali legali. Si dovrà rendere più semplice il reperimento dei lavoratori anche attraverso l'utilizzo della tecnologia, creando sistemi di incontro della domanda e dell'offerta di lavoro agricolo più efficienti che in passato. Servirà investire nelle filiere produttive, rendere più stabili i rapporti tra agricoltori, allevatori e trasformatori. Ed è necessario lavorare per una rapida attuazione della direttiva europea sulle pratiche sleali.
Inoltre il Piano prevede anche il rilancio, la semplificazione e il rafforzamento della Rete del lavoro agricolo di qualità e delle sue articolazioni territoriali, che dovranno assumere il ruolo di nuove forme di intermediazione legale del lavoro, in modo tale che l'iscrizione alla Rete poi dovrà costituire un pre-controllo. I controlli dovranno aumentare e dovranno esser resi più efficaci, partendo dall'utilizzo del Registro unico dei controlli agricoli. Per migliorare le modalità di verifica c'è anche la proposta di utilizzare i droni nell'attività ispettiva; che può diventare anche un fattore di deterrenza oltre che di controllo incrociando i dati a disposizione di Agea e Ismea per mappare e calcolare i rendimenti produttivi delle aziende e i lavoratori utilizzati.