I detrattori dicono che è stata camuffata da "misura amministrativa" per risparmiare costi, ma la decisione del nuovo presidente del Brasile Jair Bolsonaro di fondere i due ministeri dell'Agricoltura e dell'Ambiente creando un "superministero dell'Economia" è - secondo tutte le organizzazioni brasiliane impegnate nella tutela dell'ambiente - una probabile pessima notizia sul futuro del pianeta.

Durante la sua campagna elettorale Bolsonaro ha ripetutamente chiesto la fusione dei due ministeri come parte di un piano per ridurre della metà gli attuali 29 gabinetti del Brasile; tuttavia, negli ultimi giorni, ad elezioni ormai archiviate, pare che il neopresidente sia stato attaccato pesantemente da ambientalisti, Ong, scienziati e accademici, tutti ostili alla fusione.

Schierati sul fronte del no anche il ministero dell'Ambiente stesso e ben otto ex ministri che hanno guidato il dicastero. Anche la lobby bancaria si sarebbe dichiarata contraria alla proposta, definendola impraticabile e osservando che i due ministeri hanno missioni e ordini del giorno incompatibili fra di loro e che uscirebbero irrimediabilmente compromessi dalla fusione.

Bolsonaro, dal canto suo, si è detto disposto a sostenere il business legato all'agricoltura, ma non ha fatto mistero della sua antipatia nei confronti degli ambientalisti, etichettati come una minaccia per l'economia brasiliana. In risposta alle critiche, il neopresidente ha detto che riconsidererà il suo piano, prendendo una decisione definitiva sulla fusione dopo essere entrato in carica a gennaio.

"In un momento in cui il Brasile, che è il più grande esportatore mondiale di carne, soia e altre materie prime alimentari, sta cercando in tutti i modi di uscire dalla stagnazione economica, la fusione dei ministeri sta a indicare che il nuovo governo sceglierà la strada della produzione a tutti i costi", ha dichiarato al quotidiano La Vanguardia Paulo Amaral, di Imazon, un istituto di analisi a Belem, alla foce del Rio delle Amazzoni.

Recenti studi condotti, fra gli altri, da scienziati delle università europee e degli Stati Uniti, stimano che il programma di "deregulation" ambientale di Bolsonaro porterà a più del doppio il tasso di deforestazione in Amazzonia nei prossimi dieci anni. In sostanza, se tutte le misure del programma di Bolsonaro verranno implementate, la deforestazione in Amazzonia raggiungerà 25.600 chilometri quadrati di alberi distrutti all'anno. Ciò significa un aumento del 268% rispetto a quest'anno.

C'è di che preoccuparsi, dunque, soprattutto se si considera che il presidente eletto è uno stretto alleato di un gruppo di deputati al Congresso che risponde agli interessi della lobby agroindustriale, dominata dai grandi produttori di soia e carne. Proprio questi due prodotti - insieme al settore minerario - sono quelli più direttamente correlati alla deforestazione dell'Amazzonia, principalmente nello stato del Mato Grosso, al confine meridionale della foresta pluviale.

Non solo. Non è un caso che il principale promotore della decisione di fondere i due ministeri dell'Agricoltura e dell'Ambiente sia Luiz Antonio Nabhan, presidente della lobby agricola dell'Unione democratica rurale, creato nel 1985 per difendere le terre dei grandi proprietari terrieri in tempi di forte scontro con i contadini che sostenevano la riforma agraria. Proprietario di grandi fattorie di soia, mais e cotone nel Mato Grosso, Nabhan è un vecchio amico di Bolsonaro. Ritiene che l'Institute of environmental protection sia una "industria delle ammende" e che "ci siano molte leggende" sui cambiamenti climatici.

Sulla stessa linea si è schierato il ministro dell'Agricoltura nominato da Bolsonaro, la deputata Tereza Cristina, secondo la quale (come riportato dall'agenzia di stampa Reuters) il paese deve "porre fine all'industria delle multe" per le infrazioni ambientali, uno dei principali mezzi utilizzati fino ad oggi per far rispettare le leggi sulla deforestazione. Tereza Cristina ha dichiarato anche che il paese dovrà puntare a "ridurre i tempi di attesa per le licenze ambientali per gli agricoltori, poiché aspettare oltre due anni per ottenere i permessi è inaccettabile" e che sarà necessario "aggiornare la legge sugli agrofarmaci per consentire l'introduzione di agrofarmaci più moderni nel paese".

Il Brasile di Bolsonaro sarà davvero una minaccia per l'Amazzonia e, a catena, per il pianeta? Difficile dirlo ora e, incrociando le dita, si spera che agricoltura e ambiente possano dialogare nella lingua comune della sostenibilità. Di certo c'è che, all'indomani delle elezioni, il futuro dell'agricoltura brasiliana appare tutt'altro che definito.