L’India è da sempre paese di grandi numeri e grandi contraddizioni. Con una superficie pari a 10 volte quella dell’Italia, una densità media di popolazione doppia e un Pil che cresce annualmente a due cifre nonostante la crisi, rappresenta uno dei principali mercati emergenti dell’ultimo decennio, con prospettive più che floride per gli anni a venire.

L’Italia, da parte sua, sta da tempo facendo le sue mosse per conquistarsi una fetta della ricca torta costituita dal mercato indiano, come è emerso dalla conferenza dal titolo “Olio d'Oliva: il futuro nei consumi e nell'export indiani” organizzata dal Ceq, il Consorzio extravergine di qualità che ha avuto luogo al Mipaaf  e nella quale sono stati analizzati i dati di mercato e le previsioni di export e consumo di olio d’oliva in India.
L’incontro è stato anche l’occasione per illustrare lo stato dell’arte delle attività della campagna “Oliveitup” in India, giunta al suo terzo anno.

Quale sia lo scenario in cui le nostre aziende si trovano a muoversi è stato chiaramente illustrato da Sumit Saran, membro dell’Scs-Group, ente esecutore della campagna promozionale indiana, che ha profilato l’immagine di un Paese dalle dimensioni subcontinentali, in cui si parlano 15 lingue ufficiali e più di 1.000 dialetti, abitato da etnie diverse e in cui coesistono diverse religioni.
Un paese in cui il 65% della popolazione ha meno di 45 anni e la middle class, target di riferimento della campagna di promozione, è costituita da circa 300 milioni di potenziali consumatori.
Un Paese in cui al cibo tradizionale si è affiancato il consumo di cibi preparati e di stile più occidentale, che muovono attualmente circa 40 miliardi di dollari su un totale di 330 del mercato alimentare totale, con un trend di crescita che li porterà nel 2020 a circa 300 miliardi.

Con l’arrivo dei cibi “pronti da cucinare” e “pronti da mangiare”, sono tuttavia cresciute in India anche le patologie legate alla cattiva alimentazione, con particolare riferimento alle malattie cardiovascolari, al diabete e al cancro.


Sumit Saran, membro dell’Scs-Group
 
Proprio facendo leva sulla salubrità dell’olio di oliva, oltre che sulla sua bontà al gusto, la campagna "Oliveitup" ha potuto far registrare un notevole successo, con un incremento delle importazioni negli ultimi tre anni prossimi al 200%.
Unica nota negativa è la posizione dell’Italia nel rank degli esportatori europei, che sconta una eccessiva frammentazione del fronte di approccio al nuovo mercato e una concorrenza “discutibile” da parte degli altri paesi produttori generata da una gestione infelice dell’Ue dei fondi per la promozione.
Nonostante tutto, gli sforzi fatti hanno prodotto risultati ottimi nell’ottica di penetrazione del mercato e la recente diminuzione dei dazi d’importazione, unita a maggiori domanda e offerta non potranno che portare a una stabilizzazione dei prezzi al ribasso che aprirà ancora di più il mercato.

"Abbiamo condotto questa campagna in punta di piedi – ha commentato il presidente del Ceq, Elia Fiorillo - puntando a far conoscere la qualità dei nostri prodotti sotto tutti i punti di vista e puntando a sottolineare la loro integrabilità con la cucina tradizionale, piuttosto che promuovere un’invasione della cucina tipica italiana. I risultati, nonostante i problemi incontrati, testimoniano che la nostra è stata la scelta giusta; una scelta che stiamo replicando in tutte le nostre campagne di promozione, a partire da quella in Cina e in Russia".

Parte del merito va comunque ascritto all’opera del Mipaaf che, come ha sottolineato Giovanni di Genova, del Dipartimento delle Politiche di sviluppo economico e rurale, da oltre un decennio si adopera in concerto con il ministero defgli Affari esteri per eliminare tutti gli ostacoli normativi che limitano l’export dei prodotti nazionali.

Al margine del suo intervento e in risposta a una domanda di un giornalista indiano sulla certificazione dei prodotti, Di Genova ha anche fatto accenno all’intenzione del Mipaaf di estendere alla filiera dell’olio quella certificazione istituzionale di qualità già in essere per il settore zootecnico e che, comprendendo controlli dalla produzione alla trasformazione, rappresenterebbe la migliore garanzia per gli acquirenti stranieri dell’alta qualità dei prodotti italiani.