Un mix di stereotipi e la bomba è fatta. E' bastato passare in tv: mafia, sistema agroalimentare, Sud e un po' di leggerezza nei termini, per farla esplodere.
Sapore di favola italiana per la vicenda che vede coinvolto il Pomodoro Pachino. Tutto è iniziato giovedì 3 febbraio, poco dopo l'ora di pranzo, nel salotto televisivo di Bontà Loro un programma Rai tornato sul piccolo schermo 34 anni dopo il primo debutto.
Conduce il gioco Maurizio Costanzo; in studio Rosario Trefiletti presidente di Federconsumatori, il professor Pietro Migliaccio medico nutrizionista e Alessandro Di Pietro, giornalista che da anni si occupa di alimenti e mercati e che dal lunedì al venerdì conduce il programma Occhio alla spesa.
Il pubblico, come da copione, applaude. Si inizia parlando di battaglie per l'etichettatura e decreti attuativi a tutela delle produzioni italiane di qualità. Il livello della discussione non è certo per 'addetti ai lavori' e tra una torta kosher e un consiglio del nutrizionista, la conversazione procede leggera. Poi, il conduttore butta lì una frase: “ma dell'emergenza del pomodoro Pachino ne vogliamo parlare?”.
Di Pietro, il cipiglio è serio, introduce uno scenario 'gravissimo' cui, afferma, occorre mettere mano. “Il pomodoro Pachino che acquistiamo al mercato o al supermercato” spiega “e che paghiamo una generica cifra x, in realtà sul campo costa 11 volte meno”. Il dato, che scandalizza il salotto di Costanzo, è stato stabilito, come chiarisce Di Pietro, da Piero Grasso procuratore nazionale antimafia.
In una indagine sulle infiltrazioni antimafia nel settore agroalimentare, il procuratore Grasso avrebbe riscontrato, nella zona di produzione del pomodoro che interessa il territorio comunale di Pachino, di Portopalo di Capo Passero e una parte del territorio di Noto e Ispica, un controllo mafioso dalla produzione al consumo.
Nella video-intervista, di cui vengono offerti pochi stralci, Grasso spiega che i pomodori, dalla zona di produzione, fanno strani movimenti verso il territorio di Fondi dove vengono confezionati e quindi rispediti a Pachino per la distribuzione sul territorio nazionale.
“Il contadino” commenta ammiccando Di Pietro alla fine del video, cui spiega vengono conferiti 50 centesimi al chilo, “deve produrre anche se non gli conviene. E, guarda caso i pomodori vanno proprio a Fondi, nel basso Lazio, che sappiamo essere in odore di camorra. Qui non vengono distribuiti ma tornano a Pachino. E' chiaro che costano 11 volte di più”, conclude.
Ecco che Di Pietro, a questo punto, suggerisce la soluzione che ha scatenato tante polemiche in questi giorni. “Non c'è dubbio” ha affermato “che pagando 11 volte di più i pomodori, finanziamo la criminalità organizzata e quindi, mi verrebbe quasi da dire, facciamo lo sciopero del Pachino”.
“Esercitiamo il nostro potere di consumatori” rincara poco dopo “non comperando, per esempio, per due giorni il pomodoro Pachino, il prezzo crollerebbe!”.
Più accorta la soluzione proposta da Trefiletti il quale suggerisce di effettuare gli acquisti presso i produttori o i mercati di produttori accorciando così la filiera e risparmiando, spiega, fino al 30%.
Ed esorta ad usufruire di un servizio messo a disposizione dal Mipaaf. “Componendo il numero 47947 e digitando il nome del prodotto che ci interessa” spiega, “in pochi minuti riceveremo un sms riportante i prezzi all'origine, all'ingrosso e al dettaglio sui mercato del nord, sud e centro del prodotto in questione. Così” prosegue, “se il prezzo all'origine o all'ingrosso si allontana troppo da quello al dettaglio, possiamo evitare l'acquisto”.
Interessante; proviamo e digitando 'pomodori' inviamo l'sms. In pochi minuti 3 messaggi ci fanno il quadro dei prezzi di pomodori ciliegini, insalatari e rossi grappolo.
Peccato che in tutti e tre i casi il prezzo all'origine e al dettaglio sia 'non determinato'. Allora, andiamo sul sito e anche lì proviamo qualche prodotto ma niente. Nessuna notizia sui prezzi all'origine e al dettaglio.
A fine trasmissione non si fanno attendere le reazioni del mondo agricolo e non solo.
“Ritengo prioritaria, in termini assoluti, la lotta ad ogni genere di infiltrazione mafiosa” è stato il commento del ministro Galan, “trovo però assurdo e inaccettabile l'uso di trasmissioni televisive per lanciare campagne di boicottaggio al consumo di pomodori provenienti da Pachino. Simili iniziative” ha poi precisato il ministro, “sono accettabili solo per allarmi dati dalle istituzioni pubbliche preposte alla lotta contro la criminalità organizzata”.
Indignata il ministro per l'Ambiente Prestigiacomo ha chiesto alla Rai di ritrattare le accuse definendole dannose ed assurde per un sistema economico composto da cinquemila piccoli produttori e quattordici Cooperative.
Un errore gravissimo, quello di Di Pietro, secondo Confagricoltura che ha sottolineato come in tal modo “si penalizza, inutilmente e solamente, la parte meno forte della filiera”.
Fabio Granata, vicepresidente della Commissione nazionale antimafia, ha annunciato che la Commissione approfondirà la vicenda e Sebastiano Fortunato, presidente del Consorzio di tutela Igp Pomodoro Pachino, ha annunciato che l'associazione promuoverà un'azione legale.
Di Pietro, che in prima battuta ha sostenuto la difesa del Pachino, ma non delle azioni mafiose, ha precisato di essersi sempre riferito al prodotto non contraddistinto dalla certificazione di origine, “la cui presenza garantisce produttori e consumatori”.
Di martedì 8 l'epilogo. Nello steso salotto con gli stessi ospiti, Di Pietro esprimendo piena solidarietà verso i produttori del Pachino aderenti al Consorzio, profonde scuse al Consorzio, al ministro Galan e a chiunque possa aver offeso definendo “simbolica e a favore della legalità” la campagna di boicottaggio da lui stesso lanciata e sottolineando infinite volte di non essersi mai riferito al prodotto contraddistinto dal marchio Igp.
Ci auguriamo, a vicenda conclusa, che da azioni sacrosante come quella portata avanti dalla Procura antimafia non possano più nascere, per inadeguato uso dei termini, polemiche inutili e dannose per un sistema agricolo già in difficoltà.