Lo avevano chiamato atterraggio morbido. Doveva servire a raggiungere la fine delle quote latte senza scossoni. Per ottenere questo risultato la Commissione europea aveva messo a punto un pacchetto latte dai molti contenuti. Doveva apportare migliorie alla organizzazione di produttori, dettava regole per la formulazione dei contratti fra allevatori e industrie, disponeva risorse per la promozione dei consumi e molto altro ancora. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, nessun atterraggio morbido, bensì un disastro in piena regola. Quando si è avuta certezza che il regime delle quote latte sarebbe cessato, in tutta Europa i produttori hanno spinto sull'acceleratore. Il risultato finale è un aumento del 3% della quantità di latte europeo che si è riversato sui mercati. Nel frattempo i consumi sono diminuiti, complice la crisi economica, mentre la Russia chiudeva le proprie frontiere come risposta alle ritorsioni per la crisi ucraina. Per far crollare il prezzo del latte non serviva altro. Ma si è aggiunta l'abbondante produzione della Nuova Zelanda (+2,8%, riferisce Assolatte), “big” fra i players del mercato lattiero mondiale, e degli Usa (+1,6%).
Penalizzato il latte alimentare
Così ci troviamo oggi con un prezzo del latte che oscilla fra i 32 e i 34 centesimi al litro, quando solo 24 mesi fa veleggiava sopra i 52 centesimi. Ma il costo di produzione del latte in Italia è di 42,61 centesimi, lo dicono fior di studi economici, ultimo in ordine di tempo quello dell'European milk board (Emb) riferito da AgroNotizie. Non c'è da stupirsi allora se gli allevatori scendono in piazza per protestare. In gioco c'è la sopravvivenza delle stalle e il destino economico di migliaia di lavoratori e di famiglie. Il rischio maggiore lo corrono le stalle che producono latte destinato al consumo alimentare. Diversa la situazione per chi ha la “fortuna” di conferire il proprio latte per la trasformazione In formaggi. Una destinazione alla quale è indirizzata una quota importante, circa il 50%, della produzione italiana. Qui la logica di prezzo è diversa e qualche risicato margine di redditività lo si può ancora faticosamente trovare.
Debacle europea
Questa la situazione italiana. Ma nel resto d'Europa cosa accade? Anche in Spagna il latte è sottopagato e gli allevatori puntano il dito contro le industrie, paghe dei margini ottenuti con il latte alimentare e prive di una politica di sviluppo orientata a prodotti con maggiore valore aggiunto. Colpa anche del Governo spagnolo, sostengono gli allevatori, che non ha attuato politiche per il dopo quote capaci di sostenere la competitività sia degli agricoltori sia delle industrie di trasformazione. In Germania si è tentato di evitare la debacle del prezzo del latte puntando sulla esportazione in alcuni paesi in via di sviluppo. Il tutto con risultati modesti sul piano interno, ma con conseguenze negative sia sui mercati mondiali sia sui mercati dei paesi che queste iniziative intendono aiutare. In Irlanda, paese dove la crescita della produzione sembra priva di controllo (+12%), gli allevatori hanno messo sul banco degli imputati la cooperazione, rea di seguire le orme dell'industria privata. In Olanda l'aumento della produzione di latte e il maggior numero di animali in stalla ha come conseguenza un innalzamento della quantità di reflui. Ora c'è il rischio concreto di superare i vincoli imposti dalla Ue sulla quantità di fosfati, non più di 173mila tonnellate per anno. La conseguenza potrebbe essere la riduzione di un terzo del numero di vacche allevate. Ci fermiamo qui, ma sono solo alcuni esempi delle sofferenze del latte europeo.
Appuntamento al 12 novembre
Gli allevatori italiani condividono dunque questo brutto momento con molti dei loro colleghi europei. E chiedono a gran voce risposte a Bruxelles e ai loro Governi. Così gli allevatori dell' European milk board (Emb) hanno deciso di organizzare una grande manifestazione di protesta che si svolgerà il 12 novembre in vari paesi europei, Italia compresa. Non bastano aiuti tampone per fronteggiare le singole emergenze, occorre una risposta strutturale alle esigenze del settore lattiero caseario. Queste le richieste che avanzeranno gli allevatori, puntando in particolare sulla etichettatura con la provenienza del prodotto, compreso quello a lunga conservazione. Ma servirà anche altro.
Cosa fare
Il latte è una commodity a livello mondiale e come tale sottoposta alla forte volatilità dei mercati. Per competere occorrono stalle efficienti, capaci di comprimere i costi di produzione per gareggiare sul piano mondiale. Gli allevatori italiani si sono attrezzati, per quanto possibile. Ma saranno fuorigioco se l'energia costa più che altrove, se mancano le infrastrutture e i trasporti sono più cari, se il costo del lavoro è più elevato, se le materie prime sono a caro prezzo, ma Ogm free...
Un indice per il prezzo
C'è infine la partita del prezzo, con le industrie del latte arroccate nella loro posizione di forza, indisponibili a venire incontro alle istanze degli allevatori. Un tira e molla senza risultati che si protrae da quasi due anni. La soluzione è lì, pronta da un pezzo. Si chiama indicizzazione, da una parte i costi di produzione, dall'altra gli andamenti del mercato. Difficile forse trovare un punto di equilibrio che non dia vantaggio ad alcuni e penalità ad altri. Ma non impossibile. Gli allevatori facciano pressione attraverso le loro organizzazioni per arrivare a questo risultato. Non crediamo che Assolatte, l'associazione che riunisce le industrie del settore, possa tirarsi indietro. Ha bisogno di latte italiano di qualità. La chiusura delle stalle non conviene nemmeno a lei.
09 novembre 2015 Zootecnia