Pensate a un virus capace di sopravvivere nell'ambiente per oltre un anno (sette anni, se la temperatura è bassa), di uscire indenne dal congelamento, di mantenere il suo potere infettante anche dopo l'attacco di enzimi proteolitici (come quelli della digestione), o di conservarsi a lungo nel sangue, nella carne, anche conservata, o nelle feci. E per giunta “invisibile” al sistema immunitario, cosa che preclude la possibilità di difendersi con i vaccini. Né tantomeno con farmaci, come accade in genere per i virus. Terribile vero? Questo virus purtroppo esiste e appartiene alla famiglia degli Asfariviridae, genere Asfavirus. Detto così sembra quasi sconosciuto, ma ben più noto è il nome della malattia che provoca, la Peste suina africana (Psa). Per combatterla non c'è che un metodo. Abbattimento e distruzione degli animali colpiti. Così si è fatto in tutta Europa e nel Mondo. E ora il virus è relegato a poche nazioni, in Africa (Nigeria, ad esempio) e nel Caucaso, sino ad alcuni territori della ex Unione Sovietica. A questo elenco si aggiunge la Sardegna, dove il virus è ancora presente.

Battaglia persa
In Sardegna, come ricordato da AgroNotizie, la lotta alla Psa si combatte, senza successo, da molti anni. Qui il virus è arrivato nel 1978 e da allora non se ne è più andato, anche se i focolai della malattia, dal picco del 1995 e del 2004, sono scesi a poche unità negli ultimi anni. Ma la malattia è ancora lì, pronta a colpire. E pronta a diffondersi. Ecco spiegato il motivo del divieto, in vigore da anni, di movimentare animali e carni fuori dal territorio regionale. Il danno è enorme, specie per quegli allevamenti che nel pieno rispetto di ogni norma stanno allevando e producendo sotto la minaccia del virus e per questo adottano severissime misure di sicurezza che garantiscono l'assenza del virus. Ma nell'isola sopravvivono micro allevamenti (oltre 10mila secondo la banca dati nazionale) che praticano l'allevamento brado, in assenza delle più elementari norme igieniche. Allevamenti che sfuggono ai controlli e che si trasformano in serbatoi del virus dai quali la malattia può riemergere.

Il “corridoio”
A più riprese gli allevamenti professionali hanno chiesto “corridoi” sanitari attraverso i quali superare il blocco della movimentazione dei prodotti suinicoli. Ottenendo il via libera, a condizione di estenuanti procedure burocratiche e di severi controlli, solo per i prodotti cotti. Ma adesso sta per aprirsi Expo, la mostra universale che metterà in mostra al mondo il meglio della nostra produzione agroalimentare. E la Sardegna non vuole, giustamente, restare indietro nemmeno in campo suinicolo, dove ha da esprimere alcune sue eccellenze (chi non conosce il “porceddu”), a dispetto della Psa. Così da più parti si sono alzate le proteste degli esclusi da Expo, chiedendo che anche in questo caso venisse aperto un “corridoio” per i prodotti a base di carni suine. Dopo molti e giustificati tentennamenti da parte delle autorità sanitarie (il rischio è a dir poco elevato), è arrivato il via libera. Così il “porceddu sardo” potrà essere degustato dai visitatori di Expo, purché “termizzato”, ovvero cotto a puntino, cosa che dovrebbe rendere inoffensivo il virus. Virus, come abbiamo visto, capace di superare molti ostacoli e ci si augura che a nessuno, ma proprio a nessuno, venga in mente di “soprassedere” ai vincoli imposti dal ministro per la Salute, Beatrice Lorenzin e dal direttore generale della Sanità animale, Silvio Borrello. In caso contrario non osiamo immaginare cosa ne sarebbe della suinicoltura italiana, dei suoi prosciutti e dei suoi insaccati.

Vittoria di Pirro
Una vittoria per i produttori suinicoli della Sardegna che si sono impegnati per ottenere il salvacondotto ministeriale. Altrettanto impegno andrebbe profuso per pretendere dalle autorità sanitarie il massimo rigore verso i micro allevamenti irregolari che in Sardegna consentono la sopravvivenza del virus. A dispetto dei molti anni e dei molti soldi spesi per eradicare la Psa. Senza riuscirci.