Ancora casi di peste suina africana in Sardegna, malattia da tempo debellata nel resto d'Italia come nella maggior parte dei Paesi della Ue, ma che continua a tenere sotto scacco da anni gli allevamenti dell'isola. Gli ultimi casi, nei primi giorni di giugno, si sono registrati ad Alà dei Sardi, nella Sardegna centro-settentrionale. Molti i tentativi messi in atto per sconfiggere questa virosi dei suini, che non ha ripercussioni sull'uomo ma determina gravi danni negli allevamenti, come più volte ha ricordato anche Agronotizie. Ai danni diretti si aggiungono quelli conseguenti al blocco dei commerci e dei movimenti di animali nelle aree colpite e più in generale per l'impossibilità di portare fuori dall'isola i prodotti della suinicoltura. Un vincolo che solo a inizio giugno è stato in  parte rimosso con l'autorizzazione concessa a particolari condizioni ad alcune aziende di trasformazione che operano in Sardegna. Ma il nodo da sciogliere è la definitiva eradicazione del virus, come da tempo va chiedendo la stessa Commissione europea, che ha definito come inaccettabile la situazione della Sardegna, dove la persistenza della peste suina africana mette a rischio l'intero settore suinicolo nazionale e non solo regionale.

Le responsabilità
L'insuccesso dei piani di eradicazione sin qui attuati è in gran parte legato al tradizionale allevamento brado del suino dove gli spostamenti di animali, in gran parte fuori controllo sanitario, favorisce la diffusione del virus. Di qui la decisione della Regione Sardegna, che contro la peste suina ha istituito un'unità di crisi, di rafforzare le azioni contro il pascolo clandestino. Gli allevatori avranno tempo sino al 30 giugno per regolarizzare la loro posizione con l'iscrizione degli animali all'anagrafe suina e con le verifiche di carattere sanitario. Gli allevatori potranno contare sui risarcimenti, mentre la Regione ha assicurato che per i capi che risultassero positivi saranno coperte le spese di abbattimento e distruzione delle carcasse.

Tutelare i virtuosi
Vedremo se la scadenza del 30 giugno porterà ai risultati sperati, nel frattempo occorre pensare a quegli allevamenti dove il rispetto delle norme sanitarie e l'applicazione di una adeguata igiene ha impedito l'ingresso del virus, ma che si trovano a fronteggiare un'emergenza sanitaria della quale non hanno responsabilità. Per queste aziende è stata inoltrata al ministero della Salute la richiesta di creare corridoi sanitari che consentano il proseguimento dei normali cicli di allevamento e fra questi la macellazione anche negli impianti presenti all'interno delle zone di vincolo. Fra le richieste anche il via libera ai salumi ottenuti con carni indenni da peste suina africana. Al momento il via libera appena ottenuto si ferma a quei salumi dove non sono presenti carni suine provenienti da allevamenti sardi.

Cambiare si può
La partita che si va combattendo in Sardegna contro la peste suina africana sembra così ad una svolta, si spera definitiva. Un altro fallimento, dopo tanti programmi, piani di lotta, annunci e soldi inutilmente spesi, sarebbe inconcepibile. A farne le spese sono gli allevamenti della Sardegna, ma anche tutto il settore suinicolo e la stessa immagine dell'Italia, che al contrario può vantare sul piano della salute degli animali una situazione che non ha confronti in altri Paesi. Ma non basta il formidabile impegno dei servizi veterinari, la disponibilità delle amministrazioni pubbliche o la sensibilità al problema da parte del “Palazzo”. Ciò che più conta è la collaborazione degli allevatori. Oggi hanno preso coscienza che il loro futuro è minacciato dai pochi che ancora violano le leggi, lasciando che i loro animali vaghino senza controllo. Qualcosa, finalmente, potrebbe cambiare.