È un po’ l’uomo dei sogni degli sceicchi, che a lui affidano i propri purosangue perché vengano clonati.

Ma il professor Cesare Galli, 52 anni, fondatore di Avanteainsieme a Giovanna Lazzari, sua collega nel centro di ricerca alle porte di Cremona e moglie nella vita, è molto altro.

Di certo, la fama a livello mondiale la raggiunse nel 1999 come “papà” del toro Galileo, e successivamente della cavallina Prometea (nel 2003) e del puledro Pieraz, primo cavallo clonato per fini riproduttivi, nato nel 2005.

Un passo avanti per la scienza, se si considera che oggi Avantea – struttura con 12 ricercatori stabili, dei quali 11 italiani fra veterinari, biologi e biotecnologi - porta avanti progetti di ricerca con diverse realtà accademiche internazionali che mirano ad indagare l’origine e le possibile cure a patologie umane, come le malattie neurodegenerative, dal Parkinson alla Sla al morbo di Alzheimer.

Parliamo di Superpig, il progetto di ricerca e sviluppo che vede coinvolta Regione Lombardia, Fondazione Avantea, l’Istituto Mario Negri, l’Istituto clinico Humanitas e il Cnr.
“L’obiettivo del progetto è quello di trovare sbocchi per la ricerca in campo biomedico, partendo dal maiale che ha un patrimonio genetico molto simile all’uomo”, precisa il professor Galli.
Con un approccio di ingegneria genetica si cerca di intervenire inserendo dei geni in grado di resistere a determinate patologie, come l’influenza aviaria per i polli o come la vescicolare piuttosto che il Prrs virus, che rappresenta un notevole danno economico nel segmento allevatoriale.
“Potrebbero volerci cinque anni per potere avere dei candidati geni da testare sugli animali, per ora vengono testati in vitro per vedere se diventano refrattari al virus della Prrs – spiega Galli -. Solo allora potremmo essere pronti a fare test sul maiale clonato, ma poi ci andremmo a scontrare contro l’opinione pubblica, che verso gli Ogm ha un atteggiamento di chiusura forte”.

Per uno scienziato le cui ricerche si basano appunto sulla scientificità e non sulla stregoneria, non è avvilente trovarsi immersi, per alcuni aspetti, in quello che Rita Levi Montalcini definiva "medioevo"?
“Non è molto incoraggiante, ma guardiamo avanti verso altre prospettive. Il mercato della salute è più redditizio di quello agricolo, dove ancora regna un netto rifiuto ed è molto diffuso”.

Ad esempio?
“Nel progetto Superpig nessuno guarda in faccia se il maiale è transgenico o no, perché quando si parla della salute umana nessuno sta a sindacare e si guarda ad un bene superiore in campo biomedico. Così come nell’altro progetto Xenome, che stiamo conducendo insieme all’Università di Padova e ad altri partner internazionali, mirato a sviluppare animali destinati a fornire organi per gli xenotrapianti”.

Mentre per gli animali l’approccio è differente?
“Decisamente. Pensi che in Canada avevano pensato di lavorare per avere una linea di maiali transgenici che potessero produrre la fitasi, un enzima in grado di digerire il fosforo, in modo da avere un impatto molto inferiore in chiave di inquinamento ambientale. Invece il progetto è stato congelato per problemi di public acceptance, di accettazione da parte dell’opinione pubblica”.

Recentemente di questi temi e di come le nuove tecnologie possano contribuire alla sicurezza alimentare lei ne ha parlato a Berlino, alla Green Week.
“Sì, era un evento organizzato dal Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti e dall’Ambasciata Usa. Quello che si intravede non è proprio rassicurante.
Si prospetta una guerra di natura ideologica, soprattutto. Negli Stati Uniti tutti gli animali vengono accettati, mentre in Europa si pensa a marcare gli animali come cloni. Se dovesse andare così non so come andrà a finire, anche per i centri di ricerca in Europa. Vorrà dire che svilupperemo altre attività”.


Come mai si assiste ad un simile rifiuto verso la clonazione animale o gli animali transgenici?
“Troppo grandi sono l’ignoranza, l’ottusità e anche mi spingo a dire la malafede, perché alla fine sotto ci sono interessi commerciali. Chi non ha questi servizi li sminuisce. E così i nostri allevatori pensano che in Italia non si faccia ricerca e che l’erba del vicino sia sempre più verde.
Così vanno negli Stati Uniti ad acquistare embrioni, ignorando totalmente che siamo stati noi ad essere i pionieri nella produzione degli embrioni in vitro”.


Le vostre attività in ambito di zootecnia bovina andrebbero a sovrapporsi o a contrastare le attività di selezione di Anafi, Anarb e analoghe?
“Assolutamente no. La nostra attività sarebbe complementare e non in contrasto o in concorrenza”.

Ritornando alla chiusura mentale che caratterizza parte della società, nutre qualche speranza verso un cambio di rotta?
“Certamente. Penso che sia un percorso inevitabile. Le maggiori generazioni sono più istruite di quelle passate e ritengo che i nostri figli intenderanno meglio clonazione, biotecnologie e ricerche scientifiche in generale e valuteranno meglio i rischi e i vantaggi di una nuova tecnologia.
Ci vorrà qualche decennio, ma il progresso non si fermerà. Siamo usciti dalle caverne e sono convinto che la scienza, anche quella legata alla clonazione e alla genetica, sarà una delle possibilità per rendere più sostenibile la vita su questo pianeta. Ma deve essere chiaro che non vogliamo sconvolgere l’ordine del mondo e sostituirci a dio, ma la ricerca è un lavoro per il progresso civile, esattamente come è stato fatto in passato”.


Quanto costa clonare un cavallo?
“Andiamo da un minimo di 80.000 euro a un massimo di 130.000 euro. In America il servizio di clonazione si vende a 150mila dollari”.

Quanti sono i centri autorizzati a farlo?
“In Europa siamo gli unici a farlo. Negli Stati Uniti ci sono due centri, uno pubblico legato all’Università e uno privato”.

Quanti saranno, secondo lei, i cavalli clonati nel mondo?
“Nel mondo ci saranno un centinaio clonati, non di più”.

Quanto tempo serve per avere un cavallo clonato?
“La gestazione dura 11 mesi, serve quindi almeno un anno”.

Perché le chiedono di clonare un animale come un cavallo?
“Di per sé il valore è l’individuo. Le richieste che provengono dal Medio Oriente sono per animali da bellezza, come i cavalli di razza Straight Egyptian, ma i motivi sono i più diversi.
Può capitare che siano animali anziani o castrati o anche femmine che non si riproducono più perché hanno passato i 20-25 anni. O anche animali che sono morti in incidenti".


La federazione internazionale equestre ha revocato il divieto sulla partecipazione dei cavalli clonati alle competizioni internazionali. Potremmo vederli alle prossime Olimpiadi?
“Sì, certo. Oggi, che io sappia, chi ha clonato un cavallo lo ha fatto per avere il riproduttore, non l’animale da competizione, però probabilmente tra qualche anno qualcosa ci sarà anche in questo settore. Molto dipenderà anche da cosa succederà negli Stati Uniti, dal momento che per ora la Quarter Horse Association vieta al momento l’iscrizione di animali clonato ai propri registri, ma un allevatore ha fatto causa e se dovesse vincere l’associazione sarà costretta ad accettare la registrazione.
E allora prevedo che ci sarà un boom di richieste”.


Qual è il freno oggi alla clonazione dei cavalli in Italia?
“Un fattore che si riassume con una parola: redditometro”.