La scadenza del primo gennaio 2013 sembra di là da venire. In realtà, per i suinicoltori europei è ormai prossima, perché determinerà quello che gli esperti definiscono un cambiamento epocale in materia di allevamento.
Sarà infatti allo scoccare di quella data che la normativa sul benessere animale entrerà formalmente in vigore, stabilendo di fatto un nuovo e diverso metodo di allevare i suini.
Per approfondire meglio l’argomento e conoscere quali ripercussioni questa normativa comunitaria è destinata ad avere sulla suinicoltura italiana abbiamo interpellato Paolo Candotti dell’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, uno dei massimi esperti in materia.
Qual è la percezione che i suinicoltori italiani hanno della normativa sul benessere animale?
"La suinicoltura italiana, ma il discorso è valido per tutte le categorie di allevatori – spiega Candotti - non ha ancora messo correttamente a fuoco tutti gli aspetti che ruotano attorno a questa normativa. Nell’imporre nuovi metodi di allevamento, il legislatore non è stato così miope da non valutare i potenziali risvolti positivi del mercato a seguito dell’implementazione di nuovi standard produttivi. Numerosi, infatti, sono i cittadini europei che si sono allontanati dal consumo di carne e derivati perché non sufficientemente rassicurati dalle tecniche di allevamento utilizzate. Quindi, con l’avvicinarsi del 2013 (termine ultimo di applicazione per tutte le aziende esistenti dell’intero pacchetto normativo) il semplice disaccordo con i contenuti della norme si associa alle preoccupazioni per la morsa delle difficoltà economiche che stringe da troppi anni il settore. La suinicoltura italiana poi, che nell’ultimo ventennio ha goduto di spazi quasi illimitati di sviluppo, è oggi stretta d’assedio e il benessere animale è ritenuto un problema che si aggiunge ad altri problemi. Personalmente, credo che le nuove malattie, la crisi globale, il prezzo delle materie prime alimentari ed energetiche che hanno caratterizzato il recente passato, hanno fortemente messo a rischio la produzione primaria e oggi più che mai è difficile parlare di questi temi agli allevatori, preoccupati per il futuro della loro attività. Il tempo della svolta, però, è arrivato".
Il primo gennaio 2013 si impone come una scadenza che cambierà radicalmente il modo di allevare le scrofe?
"Di certo il cambiamento è epocale, specie per l’area mediterranea che alleva 'tradizionalmente' le scrofe in gabbia singola. Purtroppo la scarsa lungimiranza – sottolinea ancora Candotti – ha visto in molti casi, e di recente, l’impiego di ingenti capitali nella costruzione di allevamenti con tecniche destinate a rivelarsi, purtroppo a breve, obsolete. La “liberazione” delle scrofe non sarà comunque un processo indolore.
Gli aspetti che dovranno essere applicati, in linea puramente teorica, determineranno una riduzione del numero delle scrofe del 30-50% (rispetto a scrofe in gabbia singola) ed un inevitabile aumento dei costi correlati all’alimentazione e alla mano d’opera: molte domande a questo punto sorgono spontanee. La suinicoltura è pronta? Questa scadenza modificherà l’intero settore, dopo molti anni di applicazione del ciclo chiuso come metodo di allevamento al riparo degli umori del mercato, assisteremo ad un ritorno dei cicli aperti? Quale sarà il ruolo dell’ingrassatore e cambierà il suo modo di operare? Dal mio punto di osservazione non posso che dirmi preoccupato, perché se non attueremo nei confronti degli allevatori un’adeguata formazione i risultati potrebbero essere drammatici: la liberazione delle scrofe non può essere solo un atto di apertura delle gabbie, bensì l’applicazione di un numero infinito di buone pratiche di allevamento".
Sono stati calcolati, seppure indicativamente, i costi che gli allevatori dovranno sostenere per adeguare alla normativa soprattutto le scrofaie?
"Le modifiche aziendali, quindi in principal modo gli spazi, saranno un punto cruciale e dovranno essere unite alla tecnologia per la somministrazione di alimento che, senza ombra di dubbio, appare il punto maggiormente critico per il successo della nuova prassi allevatoriale. Molti allevatori, in assenza di opportunità edili, si troveranno costretti a ricondizionare la propria azienda nel rispetto della maggiore economicità. L’augurio è che le drastiche modifiche che dovranno essere eseguite siano successive ad una profonda conoscenza non solo di ciò che il mercato offre, ma delle vere esigenze dell’allevatore. I bisogni degli animali possono essere raggiunti in vari modi – riflette Candotti - e la loro scelta deve passare attraverso le convinzioni, le tecniche allevatoriali irrinunciabili, il modus operandi del suinicoltore. Altro punto critico sarà la ricerca di personale specializzato che diventerà “merce” preziosa; la nuova tecnica di allevamento richiede abilità e più attenzione, aspetti che la gabbia singola aveva fatto, in alcuni casi, sopire. Numeri alla mano, direi che l’investimento, per scrofa, potrà aggirarsi sui 300-500 euro in caso l’allevatore riduca il numero di scrofe e di 600-800 euro se avrà la possibilità di ampliare i capannoni per ospitare tutte le scrofe già presenti nel suo allevamento".
Rispetto alla normativa, l'Italia, in ambito europeo, come si posiziona?
"E’ una domanda che mi è già stata fatta anche da colleghi stranieri. Purtroppo non vi sono dati ufficiali sul grado di adeguatezza degli allevamenti, ma credo che non più del 20% possano fregiarsi di rispettare i requisiti di spazio disponibile. Purtroppo, ma è un problema europeo, nessuno degli allevamenti rispetta il 100% della norma. Esistono, è vero, numerosi passaggi critici della legge che trovano tutti i suinicoltori europei concordi sotto il tetto dell’affermazione 'vai avanti prima tu e fammi vedere come si fa. Mancano meno di mille giorni al primo gennaio 2013 e se cinque anni fa ero convinto che, nolenti o dolenti, gli allevatori si sarebbero adeguati, oggi, a causa delle congiunture economiche sono convinto che questo non potrà accadere nel rispetto delle scadenze, pertanto sarà necessario rivedere i termini temporali, pena la discesa nell’illegalità della maggior parte degli allevamenti italiani. Il nostro Paese, inoltre, possiede caratteristiche territoriali e climatiche del tutto particolari e ci accorgeremo che sarà necessario un adeguamento della norma alle peculiarità di ogni nazione".
Il benessere animale può aumentare la produttività e in che misura?
"A questa domanda possiamo dare due risposte. La suinicoltura italiana non spicca nelle statistiche europee come indici di produttività. E’ noto a tutti, infatti, che sono numerosi gli spazi di miglioramento e ritengo che per gli allevatori meno virtuosi la normativa potrà rappresentare un miglioramento delle performance. Non è così certo, tuttavia, che i migliori allevatori possano potenziare le proprie rese aziendali dopo la liberazione delle scrofe.
L’applicazione della normativa porterà in assoluto una riduzione del numero di suini per effetto di una drastica riduzione delle scrofe (fatto salvo la possibilità di aumentare le superfici di allevamento) - conclude Candotti - La domanda è: sarà sufficiente questo per un innalzamento dei prezzi e quindi dei guadagni?".
Il tema, come si vede, è denso di spunti di riflessione e approfondimento che non mancheranno di essere affrontati a Italpig (Fiera di Cremona, 28-31 ottobre), la rassegna che grazie alla sua vasta area espositiva e al ricco programma di convegni e seminari, saprà richiamare a Cremona, già uno dei punti cardini della suinicoltura italiana, le realtà più rappresentative del settore a livello nazionale e europeo.
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Fonte: Cremona Fiere