Il dato tendenziale registrato da Anacer nei primi dieci mesi del 2022 vede una bilancia commerciale cerealicola italiana ancora in peggioramento rispetto allo stesso periodo 2021. Il saldo valutario netto si è attestato a un deficit di oltre 3,2 miliardi di euro, rispetto ai circa 2,1 del 2021. Il motivo è quello ricorrente: un export vivace sì, che, però vede con il binocolo i numeri dell'import.

 

In termini quantitativi gli arrivi dall'estero sono cresciuti di 1,3 milioni di tonnellate (+8%) e di quasi 2,4 miliardi in valore (+43,3%) rispetto ai primi dieci mesi del 2021. L'aumento è praticamente tutto concentrato in mais (+1,3 milioni di tonnellate), seguono grano tenero (+100mila tonnellate) e orzo (+44mila tonnellate). Continua la forte riduzione dell'import di grano duro (-519mila tonnellate). Calano anche i semi oleosi (-137mila tonnellate), mentre crescono farine proteiche (+62mila tonnellate) e riso (+158mila tonnellate).

 

Le esportazioni crescono in termini quantitativi di 374mila tonnellate (+9,9%) e in valore di 1,2 miliardi di euro. Tutte le principali voci di bilancio dell'export hanno registrato performance positive, partendo dalla pasta (+120mila tonnellate), oltre al grano duro (+179mila tonnellate), le farine di grano tenero (+40.200 tonnellate) e dai mangimi a base cereali (+26.400 tonnellate). Lieve crescita anche per il riso (+20.800 tonnellate). Il dato che si può cogliere da questi dati è che l'inflazione sostenuta di questo periodo ha comunque mantenuto alte le quotazioni dei cereali in granella, di cui siamo forti importatori, senza che questa differenza si potesse compensare con i prodotti a valore aggiunto, di cui siamo esportatori.