Tuttavia la coltivazione di piccoli frutti deve fare i conti con diverse minacce emergenti, come la Drosophila suzukii, l'antonomo della fragola e la batteriosi da agrobatterio. Per discutere dello stato dell'arte del settore e delle tecniche di difesa che gli agricoltori possono mettere in campo, la Fondazione Edmund Mach (Fem) ha organizzato la Sesta Giornata tecnica dei piccoli frutti.
"Il settore dei piccoli frutti è un segmento importante per l'agricoltura trentina: pur rappresentando una porzione limitata in termini di superficie, infatti, l'indotto è rilevante", ha spiegato in apertura il direttore generale della Fondazione Mach, Sergio Menapace. "Fem, attraverso l'attività di sperimentazione e ricerca, il breeding di mirtillo e lampone, e la consulenza per i produttori che ne fanno richiesta, risponde alle problematiche della filiera con soluzioni tecniche alternative alla chimica sia per le emergenze fitosanitarie sia per le esigenze delle nuove aziende che si avvicinano a queste colture".
Drosophila suzukii: reti, insetticidi e parassitoidi
Uno degli insetti più dannosi per le coltivazioni di piccoli frutti, ma anche di ciliegio, è la Drosophila suzukii, un 'moscerino' che è attratto dalla frutta matura che attacca depositando sotto l'epidermide le uova da cui fuoriescono le larve che si cibano della polpa del frutto, rendendolo non commercializzabile. Dalle rilevazioni condotte dal 2013 ad oggi, la pressione di questo parassita è costantemente in crescita e ha causato proprio nello scorso anno i danni maggiori.Oggi la difesa delle piante da questo insetto avviene principalmente con l'utilizzo di reti che impediscono fisicamente al moscerino di raggiungere i frutti oppure attraverso l'utilizzo di insetticidi, che tuttavia hanno dimostrato di non essere risolutivi. Sono soluzioni queste che inoltre mal si sposano con le condizioni di pieno campo. Per questo una delle strade che si stanno battendo è quella del controllo biologico attraverso l'impiego di parassitoidi pupali.
Simone Puppato, ricercatore della Fondazione Edmund Mach, ha presentato la sperimentazione portata avanti nell'area del Trentino per il controllo biologico di Drosophila suzukii in pieno campo con il parassitoide autoctono Trichopria drosophilae.
La normativa italiana ed europea in materia di specie esotiche invasive vieta l'introduzione volontaria di insetti parassitoidi dall'estero, ad esempio da Cina e Giappone, paesi in cui la Drosophila suzukii è endemica. Alla Fem hanno allora vagliato parassitoidi autoctoni che in natura attaccano altre specie del genere Drosophila presenti in Italia. La scelta è ricaduta su Trichopria drosophilae che in test di laboratorio ha dimostrato di parassitizzare efficacemente la pupa del moscerino della frutta e di adattarsi bene a varie condizioni di campo (temperatura, umidità, etc.).
La strategia illustrata da Simone Puppato prevede il rilascio del parassitoide in stadio di pupa con una densità di 0,3 soggetti per metro quadrato sul limitare dei campi, con una spaziatura di 80 metri tra un rilascio e l'altro. L'obiettivo era quello di parassitizzare le pupe di Drosophila suzukii delle generazioni svernanti presenti su ciliegi incolti, che poi nella progenie attaccano le coltivazioni a fondo valle per poi risalire nel corso della stagione verso quote più elevate.
A differenza dei buoni risultati ottenuti lo scorso anno, nel 2018 gli obiettivi non sono stati raggiunti. Sia dall'analisi delle trappole sentinella che dei frutti rinvenuti in campo si è constatato che non c'è stato insediamento del parassita e quindi controllo dell'insetto dannoso.
Nonostante le prove in laboratorio abbiano dimostrato l'efficacia di Trichopria drosophilae, la sua scarsa performance in campo potrebbe essere dovuta a:
- Presenza di predatori che si sono cibati delle pupe del parassitoide.
- Metodo di distribuzione e dosaggio non idoneo.
- Condizioni meteorologiche avverse.
- Maggiore pressione di Drosophila negli areali testati.
- Influenza negativa dell'habitat in cui il parassitoide viene rilasciato
In altri termini se Trichopria drosophilae ha le potenzialità per controllare il moscerino della frutta, di fatto non viene messo nelle condizioni di essere efficace. Per questo nel 2019 i ricercatori utilizzeranno altri metodi di distribuzione (a griglia e non lineare, anche lanci effettuati anche attraverso l'uso di droni), dosaggi maggiori e inoltre proveranno a identificare luoghi e condizioni ideali per l'insediamento del parassitoide, anche con l'utilizzo di specifiche strutture chiamate Augmentorium.
Antonomo, dopo il lampone anche la fragola
I coltivatori di piccoli frutti conoscono bene l'antonomo, un coleottero della famiglia dei Curculionidi, che arreca danni consistenti alle piante di lampone e fragola. La femmina infatti pratica un buco nel bocciolo nel quale depone un singolo uovo. Procede poi a rodere il peduncolo fino a causare il disseccamento e la caduta del bocciolo. La larva si nutre dei tessuti vegetali e completa la sua metamorfosi.Se l'antonomo è solito arrecare danni ai boccioli e quindi alla produzione, in Trentino si sono registrati casi di insetti che hanno attaccato i frutti di fragola acerba e matura. Paolo Miorelli, della Fondazione Edmund Mach, ha registrato segnalazioni provenienti da diverse aziende agricole, in una delle quali sono state condotte anche delle prove per indagare se sia effettivamente l'antonomo la causa delle lesioni rilevate sui frutti e i rimedi più efficaci per il suo controllo.
Danni causati da antonomo della fragola
Dalle prove condotte in laboratorio utilizzando insetticidi consentiti su fragola è emerso che i migliori risultati si sono avuti con l'utilizzo di Reldan LO (a base di Clorpirifos-metile), mentre Trebon Up (Etofenprox) e Epik SL (Acetamiprid) sono stati meno efficaci per il controllo dell'insetto.
Agrobatterio del mirtillo, minaccia 'vecchia emergente'
In Provincia di Trento i mirtillicoltori hanno iniziato a segnalare la presenza di infezioni da Agrobacterium tumefaciens, un batterio gram negativo presente in abbondanza in natura, noto soprattutto per causare danni alla vite, mentre in letteratura la descrizione di infezioni a carico della pianta del mirtillo sono invece pochissime. Per approfondire il tema la Fem ha invitato a Trento Enrico Biondi, dell'Università degli studi di Bologna, che da anni studia le infezioni da agrobatterio in viticoltura.Come detto l'agrobatterio, di cui esistono moltissimi ceppi, è naturalmente presente nel terreno e nelle acque. Penetra all'interno delle piante attraverso le ferite, come quelle causate dal gelo, da grandine o da interventi di potatura. Può anche rimanere latente per anni all'interno dell'organismo della pianta fino a quando non si presentano determinate condizioni.
L'infezione ha inizio quando il batterio inserisce nelle cellule della pianta materiale genetico che si integra nel genoma della cellula. Questa viene spinta a produrre metaboliti utili al batterio stesso. La proliferazione delle cellule è tumultuosa e causa il cosiddetto 'cancro', facilmente riconoscibile visivamente. Il cancro indebolisce la pianta che vede diminuire le produzioni e può anche portare alla morte di giovani esemplari.
L'agrobatterio è un organismo estremamente complesso e versatile la cui lotta è difficile. Dato che non esistono sistemi per eliminarlo una volta che è entrato nel flusso xilematico della pianta, la prevenzione è di estrema importanza.
Per questo è buona norma:
- Sterilizzare con prodotti a base di rame gli utensili usati per la potatura in modo da evitare il contagio pianta-pianta.
- Limitare i danni alle piante di mirtillo causati da gelo o grandine ed eventualmente trattarli con prodotti rameici.
- Isolare e bruciare le piante infette, facendo attenzione che materiale vegetale, come i tumori, non si disperdano in ambiente.
- Sanificare la terra (se si pratica il fuorisuolo) dove insisteva la pianta infetta.
- Comprare solo piante certificate, testate in vivaio per la presenza del batterio.
Se le pratiche di profilassi sono uguali per tutti i batteri, nel caso dell'agrobatterio i ricercatori stanno mettendo a punto anche strumenti di lotta biologica. E' possibile infatti utilizzare microrganismi antagonisti in grado di combattere attivamente l'agrobatterio (come nel caso del batterio K84) o di limitarne la diffusione competendo per le stesse risorse.
Non solo difesa dei piccoli frutti
Oltre agli aspetti fitosanitari, durante l'evento organizzato dalla Fem si è anche discusso di coltivazioni fuori suolo di mirtillo. Gianpiero Ganarin, ricercatore della Fondazione, ha presentato i risultati della ricerca portata avanti su differenti misure di vaso. Secondo le prove condotte la grandezza ottimale è quella da 60 litri che assicura maggiore stabilità (nessun ribaltamento dopo fenomeni temporaleschi), una crescita più vigorosa della pianta e produzioni più abbondanti.Brian Farneti ha invece affrontato il tema della 'qualità' nei processi di breeding, di cui abbiamo parlato anche in questo articolo.