Un nuovo "jumbo trilogo" convocato a Bruxelles per il 28 e 29 giugno prossimi per cercare di trovare un'intesa sui punti più caldi della Politica agricola comune e proseguire nel percorso di riforma, che entrerà in vigore a partire dal primo gennaio 2023, con una dotazione di fondi per l'Unione europea dei 27 Stati membri di circa 387 miliardi, dei quali poco meno di 50 miliardi destinati all'agricoltura italiana.

Già a fine maggio, nel super vertice fra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, un'intesa sembrava alla portata. Almeno così i più esperti negoziatori lasciavano trapelare, complici anche gli annunci della presidenza di turno del Consiglio dei ministri agricoli dell'Unione europea, rappresentata dalla ministra portoghese Maria do Céu Antunes, di cercare di fare tutto il possibile per chiudere la partita.
Anche perché, poi, l'iter sarebbe proseguito con le tappe successive, che nel cronoprogramma comunitario prevedrebbero l'approvazione e la pubblicazione dei regolamenti e la redazione e approvazione dei Piani strategici nazionali. Due tappe evidentemente subordinate alla conclusione del negoziato.

Dopo il nulla di fatto alla fine di maggio, ci si riprova nei prossimi giorni, sperando di trovare la convergenza sulla proposta legislativa avanzata dalla Commissione Ue (che fu presentata nel giugno 2018, con l'allora presidente Phil Hogan) in zona Cesarini.
 
Nonostante qualche avvicinamento fra le posizioni di Parlamento, Consiglio e Commissione Ue, restano ancora alcuni nodi da sciogliere. Sarebbe opportuno trovare un accordo di compromesso, così da non rallentare ulteriormente il percorso di quella che è la più importante politica finanziata dall'Unione europea, che ancora oggi "pesa" per circa il 30% del bilancio comunitario.

Sono in particolare due i punti sui quali la divergenza è più ampia: gli ecoschemi e la condizionalità sociale. Nel jumbo trilogo di fine maggio ci si attendeva un compromesso fra le due posizioni del Consiglio Ue, che proponeva una percentuale degli ecoschemi al 20% sui fondi del Primo pilastro della Pac, e del Parlamento europeo, granitico nella sua posizione del 30%. Era apparsa probabile un'intesa di medietà, con la decisione di arrivare al 25% con la formula immediata (il 25% da subito) o progressiva (dal 22% al 25% nel giro di due o tre anni), ma il Parlamento europeo non si è mosso dalla propria posizione, almeno sul versante della dotazione finanziaria.
Su altri aspetti, come ad esempio la possibilità che il sostegno venga erogato su tutta la superficie coperta dall'ecoschema, la possibilità di prevedere misure per il benessere animale, la previsione che l'elenco delle pratiche agricole definite dai singoli Stati membri copra almeno i due terzi delle aree di azioni quali "clima, ambiente, benessere animale, resistenza antimicrobica".

Un altro elemento sul quale il Parlamento Ue è sembrato granitico nel proprio intendimento è quello della condizionalità sociale, che non entra nelle corde invece del Consiglio europeo. Si raggiungerà un punto di intesa? Il Parlamento Ue chiede che venga inserito nella riforma della Pac il rispetto dei diritti dei lavoratori agricoli, come discrimine per accedere agli aiuti della Pac. Una risposta al caporalato, che è troppo spesso in agguato a qualsiasi latitudine dell'Unione europea e che colpisce maggiormente gli stranieri e i migranti, anche in Paesi dell'Ue che potrebbero a prima vista essere classificati fra gli insospettabili. Il Consiglio ritiene che gli aspetti della condizionalità sociale non debbano entrare fra le regole della Politica agricola comune, dal momento che non erano state originariamente previste.