I redditi delle famiglie sono fermi e il potere d’acquisto diminuisce così come la propensione al risparmio. Nel primo trimestre del 2011 gli italiani continuano a subire gli effetti della crisi economica, e anche se aumenta lievemente la spesa per i consumi finali (+0,9%), l’incremento purtroppo non coinvolge il budget per gli alimentari. Tra gennaio e marzo, infatti, gli acquisti di cibo e bevande sono crollati del 3,6%. Lo afferma la Cia, Confederazione italiana agricoltori, commentando i risultati dell’indagine diffusa dall’Istat.
Gli italiani, dunque, continuano a spendere meno a tavola e per questo cambiano le proprie abitudini “culinarie”. Un dato reso evidente da un sondaggio della Cia, secondo cui oltre la metà delle famiglie italiane (il 60%) sostiene di aver modificato il menù rispetto al passato e il 35% di aver limitato gli acquisti. Significa che oggi ben 7,7 milioni di famiglie riempiono di meno le buste della spesa e non soltanto di prodotti superflui, ma di quelli che da sempre sono ritenuti beni di prima necessità.
Nel contesto dei “tagli” alimentari, viene fuori che il 41,4% degli italiani ha diminuito gli acquisti di frutta e verdura, il 37% quelli di pane e pasta e il 38,5% quelli di carne e pesce. Indicazioni che trovano conferma anche nei dati Ismea sui consumi domestici relativi al primo trimestre 2011: tra gennaio e marzo, ricorda la Cia, sono calate drasticamente le quantità acquistate di frutta e agrumi (-8,7%), di prodotti ittici (-7,5%), di pane (-7,1%), di latte e derivati (-6,3%), di carni bovine (-5,1%) e di pasta (-1,4%).
Oltre alla quantità, aggiunge la Cia, i consumatori sono costretti spesso a rinunciare anche alla qualità. Complice la perdita di potere d’acquisto e la ripresa dell’inflazione, il 34% delle famiglie del Belpaese (7,4 milioni) dichiara di optare per prodotti di qualità inferiore e il 30% (6,6 milioni) di rivolgersi ormai quasi esclusivamente alle promozioni commerciali.
In base alle stime della Cia, per tutto il 2011 l’andamento degli acquisti domestici alimentari resterà negativo, compreso tra il meno 0,2% e il meno 0,5%, con una flessione della domanda più marcata nel Mezzogiorno che nel resto d’Italia.
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