E' opinione comune che le crisi portino con sé anche benefici, sgombrando il campo dalle aziende meno efficienti e meno strutturate, lasciando a quelle rimaste spazi di crescita e nuove opportunità. Questa volta non è così. Perché la crisi dell'agricoltura è figlia della più ampia e generalizzata crisi dell'economia mondiale, che distoglie risorse, impone strette creditizie, riduce i consumi. Una tempesta che travolge anche le aziende migliori, non solo quelle inefficienti. In Lombardia, regno delle migliori stalle da latte d'Italia, il 2009 si è portato via 180 aziende zootecniche sulle 5000 presenti. Ma è solo un esempio. Perché in Italia, rispetto all’ultimo censimento del 2000, hanno chiuso i battenti 500mila aziende agricole. E la crisi se ne potrebbe portare via altrettante.

Gli interventi

Che fare? L'attenzione di tutti è andata a Bruxelles e alle politiche di sostegno messe in campo dalla Ue attraverso i Psr (programmi di sviluppo rurale), ma il loro compito non è quello di risolvere le crisi. Gli allevatori sono anche andati a protestare sotto le finestre del palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (ricordate il latte versato per strada a fine 2009?) e hanno ottenuto 300 milioni (ma all'Italia ne sono andati solo 23). Poi gli aiuti “de minimis”, i 15mila euro per azienda che Bruxelles ha autorizzato a spendere da parte dei singoli Stati. In Italia si è rifinanziato fra molte polemiche il Fondo di solidarietà (serve a pagare le assicurazioni) che dispone di 870 milioni di euro per tre anni. Si è parlato della fiscalizzazione degli oneri sociali, del finanziamento per i contratti di filiera e via elencando.

I soldi della Finanziaria
(in milioni di euro)
Fondo solidarietà 877
Programmi Mipaaf 100
Agevolazioni contributive 120
Promozione Dop 10
Complessivamente in Finanziaria sono stati stanziati un miliardo e 115 milioni da destinare all'agricoltura. Ora si attende di vedere attuati tutti gli interventi previsti, orientati nella maggior parte dei casi a dare sollievo, quando possono, al portafoglio degli agricoltori, ma che non cambiano lo scenario nel quale gli agricoltori devono operare. Pochi o del tutto assenti i nuovi progetti di aggregazione dell'offerta, di orientamento dei mercati, di governo delle produzioni, di interventi nella politica distributiva, di sviluppo dell'export che non sia episodico, oggi un formaggio, domani un vino.

 

Divisi si perde

Stupisce invece vedere il mondo agricolo, quello chiamato a fare scelte in nome e per conto degli agricoltori, accapigliarsi sull'eterno e falso problema degli Ogm (li mangiamo, ma non li produciamo). Come stupisce che qualche opinionista voglia vedere nel panino globale per eccellenza (quello di McDonald's) farcito con prodotti made in Italy un attentato alla nostra agricoltura. I problemi sono altri. E sono “dentro” il mondo agricolo, non fuori. Prendiamo l'organizzazione della filiera con il mito del chilometro zero o i farmers market e i distributori di latte, argomenti che vanno tanto di moda. Molte energie per vendere si e no il 3 o il 5% della produzione. Quando oltre il 90% è in mano ad altri.

Come si distribuiscono (%) gli utili lungo la filiera
(fonte: elaborazioni Nomisma su dati Istat, Eurostat, Aida)
Agricoltura 23,33
Industria alimentare 36,67
Commercio ingrosso 13,33
Distribuzione a libero servizio 10
Dettaglio tradizionale 3,34
Ristorazione 13,33
Invertire queste percentuali è un sogno impossibile, ma qualcosa si può fare per orientare e governare la produzione (per favorire equilibrio del mercato) e poi per concentrare l'offerta. Solo cinque centrali di acquisto riescono a rifornire tutta la grande distribuzione organizzata.

Ma nemmeno una di queste è in “mano” all'agricoltura. Ne mai potrà avvenire sino a quando gli agricoltori affideranno la cura dei loro interessi a quattro diverse sigle sindacali. Neanche a dirlo in perenne disaccordo fra loro. Forse bisognerebbe iniziare da qui. Si prenda, per fare un esempio, il mondo industriale con il suo unico sindacato, Confindustria. Certo, si litiga anche lì, ma a porte chiuse. Poi tutti fuori, a dire la stessa cosa, a chiedere gli stessi interventi, a pretendere le stesse politiche, senza voci fuori dal coro. E i risultati, in molti casi, ci sono.