La peronospora (Plasmopara viticola) è insieme all'oidio l'avversità chiave della viticoltura moderna. Ogni anno i viticoltori sono costretti ad entrare in campo per effettuare numerosi trattamenti al fine di preservare la sanità delle piante e quindi delle uve. Uno sforzo, anche economico, non indifferente a cui si deve aggiungere che il legislatore europeo ha imposto in questi anni limiti stringenti all'uso dei prodotti di sintesi (nel 2021 diremo addio al mancozeb) e anche a quelli rameici, che si possono usare nella misura massima di 4 chili di rame metallo ad ettaro ad anno.
 
Ecco dunque l'importanza di ricercare nuove molecole fungicide, specie se con un profilo ecotossicologico favorevole o addirittura nullo. In questo contesto si inserisce la ricerca (finanziata da Fondazione Cariplo) portata avanti dall'Università degli studi di Milano e dalla Fondazione Edmund Mach che ha individuato una proteina composta da otto aminoacidi in grado di bloccare lo sviluppo del fungo.

"Questa proteina agisce inibendo un enzima chiave nello sviluppo di P. viticola, la cellulosa sintasi. Un enzima che gioca un ruolo chiave nella costruzione nel tubetto germinativo che il fungo sviluppa per penetrare all'interno dei tessuti della vite", spiega Paolo Pesaresi, professore del dipartimento di Bioscienze dell'ateneo milanese. "Bloccando la formazione di questo organo di fatto si blocca sul nascere l'infezione senza peraltro arrecare alcun danno alla pianta o all'ambiente circostante".

NoPv1 (No Plasmopara viticola 1), questo il nome della molecola, è stata testata in laboratorio e in serra e ha dato ottimi risultati. Riesce infatti a bloccare lo sviluppo del micete dimostrando di avere una ottima efficacia di difesa preventiva dei tessuti vegetali.
 
In alto, foglie trattate con la molecola NoPv1, in basso, foglie non trattate
In alto, foglie trattate con la molecola NoPv1, in basso, foglie non trattate
(Fonte foto: Fondazione E. Mach)


L'importanza della ricerca

La tecnologia utilizzata dai ricercatori, denominata 'doppio ibrido del lievito', potrebbe permettere l'individuazione di altre proteine utili a difendere le piante non solo dalla peronospora, ma anche da altri funghi e insetti.

La ricerca, è bene sottolinearlo, è ancora in una fase iniziale e nonostante la molecola abbia dato prova di essere efficace, prima di vederla contenuta in un flacone passeranno ancora degli anni e non è detto che superi tutti gli step necessari alla sua commercializzazione.

Bisognerà prima di tutto verificare che NoPv1 sia stabile e offra una copertura davvero efficace nelle condizioni di campo. Inoltre si dovrà valutare l'economicità del prodotto rispetto alle altre soluzioni oggi disponibili. "La produzione di queste molecole non è particolarmente onerosa ma sicuramente i prodotti avranno un costo superiore rispetto alla maggior parte degli agrofarmaci oggi in commercio", spiega Pesaresi. "La nostra idea tuttavia non è quella di sostituire gli attuali prodotti di difesa, ma dare la possibilità di utilizzare un prodotto alternativo, anche in chiave di controllo delle resistenze".

In altre parole una parte dei trattamenti antiperonosporici oggi effettuati dagli agricoltori potrà essere sostituita da prodotti innovativi a base di NoPv1 che permetteranno di rispettare i sempre maggiori requisiti europei e della Gdo, pur mantenendo alto il livello di difesa delle viti.

Inoltre, come ricordato da Pesaresi, variare il meccanismo di azione è il metodo più sicuro per scongiurare il rischio che un microrganismo possa sviluppare una resistenza ad una sostanza attiva, eventualità tutt'altro che remota e che ha messo fuori gioco nel passato tante molecole.