I primi impianti di piccoli frutti in Italia furono creati durante gli anni '50 e fino ai primi anni '60 con l'introduzione del lampone e del mirtillo gigante americano in Piemonte e in Lombardia furono creati in Italia. 'Da allora si è assistito ad un ampliamento dell'areale di coltura, - Spiega Giancarlo Bounous direttore del Dipartimento di Colture Arboree dell'Università di Torino - partendo dalle aree a maggiore vocazione pedo-climatica localizzata prevalentemente al Nord lungo l'arco alpino e prealpino, fino ad arrivare ad un'espansione verso nuove aree del Centro e del Sud italia. Pur rimanendo nel gruppo delle colture di minor importanza rispetto ad altre specie frutticole, i piccoli frutti continuano ad esercitare un certo interesse tra gli operatori del settore soprattutto per aspetti legati alla differenziazione colturale, alla valorizzazione delle aree interne e marginali ed alle prospettive dei consumatori sempre più attenti alla salubrità della frutta ed alle sue proprietà nutraceutiche. Inoltre la 'coltura-cultura' dei piccloli frutti ben si inserisce nell'ottica di un'agricoltura sostenibile e maggiormente attenta alle esigenze dell'ambiente, soprattutto nelle aree dove essi sono nella tradizione popolare.'

 

Superfici e produzioni
In Europa, i maggiori produttori di piccoli frutti sono la Germania, l'Italia, la Spagna, l'Inghilterra, il Belgio, i Paesi Bassi, la Polonia e l'Ungheria con una produzione totale di circa 700.000 tonnellate. Questi sono i dati Istati relativi alla produzione italiana nel 2007:

  superficie coltivata (ha) superficie in produzione (ha) produzione (t)
lampone 170  169 8.030 (di cui 8.913 raccolte)
ribes 92 89 7.067 (di cui 6.823 raccolte)
uva spina 5 4 145 (di cui 134 raccolte

Secondo il Dipartimento di Colture Arboree di Torino nel quadriennio 2000-2004 la produzione di mirtillo gigante occupava il 15% del totale con 494 tonnellate, il lampone il 55% con 1.826 tonnellate, la mora il 17% con 581 tonnellate ed il ribes e l'uva spina il 13% con 451 tonnellate. Le principali regioni di produzione sono il Piemonte, il Trentino Alto Adige, la Lombardia ed il Friuli Venezia Giulia con altre realtà del Centro e del Sud Italia coinvolte in minima parte ma non in modo marginale. La maggior parte del prodotto italiano è destinato al mercato fresco, ma le produzioni nazionali non sono sufficienti a coprire il fabbisogno interno. il grado di autoapprovigionamento si è prossochè dimezzato negli anni scorsi, passando dal 41% del 2002 al 21% nel 2004; si è così assistito ad un notevole sviluppo dell'import.

 

Mercato e consumi
Attualmente l'Italia si colloca al 5° posto come produttore mondiale di piccoli frutti dopo la Germania, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna ed il Belgio. Sul mercato italiano giunge parte del prodotto proveniente dai paesi dell'Est (Serbia e Montenegro), Austria e Spagna, Paesi che sono in grado di fornire prodotto destinato alla trasformazione industriale a prezzi difficilmente praticabili per le aziende italiane. Inoltre la necessità di ampliare il calendario di commercializzazione ha fortemente influenzato la scelta da parte di alcune strutture di commercializzazione di importare anche da paesi extra Europei quali Cile, Argentina e Sud Africa. Bisogna comunque sottolineare come nei primi anni del 2000 l'export dei piccoli frutti è sensibilmente aumentato verso i mercati ricchi della Gran Bretagna e della Germania. Principalmente il sistema dell'import e dell'export poggiano sulle produzioni del Piemonte e del Trentino Alto Adige dove esistono strutture organizzate in grado di gestire la produzione, l'organizzazione e la distribuzione, mentre in altre areali la vendita è quasi sempre gestita direttamente dalle aziende che coltivano le piante.

Oltre al consumo fresco ha una certa importanza il mercato della trasformazione industriale con lo scopo di preparare succhi, coloranti, bevande, marmellate, sciroppi così come il settore farmaceutico e cosmetico. L'intresse per i piccoli frutti riveste un interesse ancora limitato se paragonato alle principali specie frutticole e il consumo pro capite resta ancora basso. Il fattore prezzo rappresenta un elemento limitante per il consumatore italiano che considera i piccoli frutti come una sfiziosità destinata a particolari circostanze e non un prodotto da tutti i giorni. Ad esso è però associata l'immagine di salubrità e di genuinità sia per le sue caratteristiche intrinseche sia per la sua forte compatibilità con i sistemi di lotta integrata e biologica.

 

I punti critici a livello commerciale
Diverse sono le problematiche che possono aver limitato e che limitano tuttora la diffusione dei piccoli frutti. Oltre al prezzo i problemi principali sono da ricercarsi nella scarsa continuità d'offerta sul mercato sia in funzione della stagionalità del prodotto e dell'elevata deperibilità dei frutti destinati al consumo fresco. Nel primo caso la ricerca e la sperimentazione possono contribuire all'ampliamento del calendario di maturazione attraverso l'individuazione di nuove varietà e l'introduzione di tecniche agronomiche valide ed interessanti. Nel secondo caso invece ci si può indirizzare sull'ottimizzazione di tutto il segmento della filiera che va dalla raccolta alla tavola del consumatore.

In quest'ottica la valorizzazione di queste colture, la relativa collocazione a minor costo e la maggior qualità sono obbiettivi raggiungibili attraverso l'ottimizzazione delle tecniche di conservazione e gestione del post-raccolta. La scelta della più appropriata modalità di conservazione dipenderà dalla destinazione e dalla quantità disponibile del prodotto e dalla lunghezza del periodo di conservazione. L'impiego di tali tecniche potrà minimizzare le perdite del prodotto, prevedendo le alterazioni da patogeni e mantenedo nel tempo quelle caratteristiche qualitative come aspetto, tessitura, sapore e valore nutritivo perseguite e raggiunte in campo per mezzo di una corretta scelta varietale, un adeguato utilizzo di tecniche agronomiche ed una puntuale scelta del momento di raccolta.

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