Qual è il modo migliore per celebrare la Giornata Mondiale del Suolo, che le Nazioni Unite hanno indetto il 5 dicembre di ogni anno? Quando pensiamo al suolo, siamo consapevoli che parliamo di scuole, edilizia, infrastrutture, trasporti, logistica, ma soprattutto di agricoltura e di cibo? Perché se non abbiamo bene in mente che la terra serve o dovrebbe servire per produrre cibo, allora possiamo ribattezzare tutti i ministeri del mondo con la missione della sovranità alimentare, ma non andremmo particolarmente lontano.

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Nessuna volontà polemica contro il "nostro" Ministero dell'Agricoltura, sia chiaro. Però a che serve ricordare i numeri che ogni anno Ispra ci fornisce con un rapporto dettagliato - e quest'anno corredato dal primo Atlante del Consumo di Suolo, che riunisce le nuove mappe dettagliate del fenomeno a livello nazionale e locale - se poi la Legge sul Consumo di Suolo è ferma da anni in Parlamento ed è pomposamente sbandierata a ogni nuovo insediamento al Ministero di via XX Settembre?

 

Bisogna avere le idee chiare per tracciare la rotta di un tema così delicato come il consumo di suolo. Non possiamo pensare che una potenza industriale come l'Italia, membro del G7, non possa adeguare il sistema viabilistico, infrastrutturale, della logistica e dei trasporti alle esigenze del Terzo Millennio, nell'era dell'intelligenza artificiale e con una necessità di infrastrutture che devono essere non solo fisiche, ma anche di tipo digitale (delle quali anche l'agricoltura trarrebbe immensi benefici).

 

Il Rapporto Ispra 2023 certifica che la cementificazione continua ad accelerare, arrivando alla velocità di 2,4 metri quadrati al secondo. Nell'ultimo anno, nelle aree a pericolosità idraulica media, sono oltre 900 gli ettari di territorio nazionale resi impermeabili. E cala anche la disponibilità di aree agricole, con oltre 4.500 gli ettari persi nell'ultimo anno (ma in cinquanta anni abbiamo perso il 30% delle terre coltivabili), pari al 63% del consumo di suolo nazionale, che corrispondevano a 4 milioni di quintali di cibo prodotto e 2 milioni di tonnellate di carbonio assorbito.

 

Numeri che hanno ovviamente un risvolto pesantissimo anche sul piano economico, con i costi nascosti dovuti alla perdita dei servizi ecosistemici, sempre secondo il Rapporto, che ammontano a 9 miliardi di euro ogni anno.

 

Tutto questo per non dire delle insidie correlate, dalla minore produzione di cibo alla perdita di biodiversità, dalla necessità di importare maggiori prodotti alimentari fino ai rischi idrogeologici che inevitabilmente aumentano.

 

Quali sono i motivi che ritardano l'adozione di una legge seria e attualizzata alle condizioni del Paese dei prossimi anni, sapendo che la struttura geofisica della nostra penisola mostra criticità e non può essere modificata? Non dovrebbe esserci il minimo dubbio, poi, di una ampia convergenza politica su un tema così cruciale come quello della difesa del suolo. O no? O vi sono ancora incertezze sul fatto che i pannelli fotovoltaici non dovrebbero consumare suolo fertile?

 

L'altra questione riguarda il suolo come risorsa insostituibile per la produzione di cibo. È vero che si stanno diffondendo le serre verticali (che però producono insalata e piantine in foglia e non cereali e semi oleosi), ma il suolo rappresenta e rappresenterà sempre il veicolo prioritario per l'agricoltura.
Bisogna cominciare a trattarlo meglio. Sono molti i progetti in campo, anche finanziati dall'Unione Europea, che puntano alla riduzione delle emissioni, all'incremento della fertilità, ad un approccio più ecologico per assicurare un futuro verde alla terra. È questa la sostenibilità, della quale molti (forse troppi) parlano con insistenza.

 

Il problema della desertificazione è reale, non riguarda solamente l'Africa e non è solamente connesso ai cambiamenti climatici, ma a come gli agricoltori trattano il suolo. Bisogna continuare a produrre, cercare di incrementare le produzioni, rispettando la struttura della terra, la sua tessitura, migliorando i valori organici, favorendone la permeabilità naturale. L'agricoltura è l'unica attività umana che sequestra carbonio (sui crediti di carbonio si sta creando un modello che può rappresentare una ulteriore fonte di reddito per le imprese agricole) e contribuisce a contrastare le emissioni, benché vi sia ancora una frangia di ecoestremisti che pensa il contrario.

 

Dobbiamo cominciare a osservare il suolo con occhi nuovi, assecondando lo sviluppo di nuove politiche a difesa del suolo, favorendo lo sviluppo di una chimica verde responsabile, di nuove soluzioni di agricoltura e zootecnia di precisione, e dobbiamo essere consapevoli che il futuro dell'agroalimentare made in Italy, delle grandi Dop e Igp (asset unici e non replicabili altrove), partono dal suolo, dalla composizione del terroir, dalle caratteristiche uniche, migliorabili e difendibili.

 

E voi, ci pensate al suolo e a come difenderlo?