Gli investimenti in soluzioni digitali in agricoltura stanno aumentando in tutte le parti del mondo. Dall'Italia - dove nel 2022 secondo i dati dell'Osservatorio Smart AgriFood, School of Management del Politecnico di Milano e Laboratorio Rise, Research & Innovation for Smart Enterprises dell'Università degli Studi di Brescia, i sistemi di digital farming hanno generato volumi d'affari per circa 2,1 miliardi di euro - agli Stati Uniti, dove fioriscono startup con cadenza quotidiana, dall'Africa (dove le startup hanno raccolto 640 milioni di dollari nel 2022, rispetto ai 528 milioni di dollari del 2021) all'Asia-Pacifico, dove gli investimenti in software per la gestione delle aziende agricole, sensori e startup Iot sono aumentati del 13% nel 2022 a 300 milioni di dollari, secondo quanto rilevato da AgFunder.

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C'è fermento ovunque per una ragione, molto semplice: le soluzioni tecnologiche consentono di ridurre i costi e gli input, migliorare la gestione delle aziende e la resa agronomica, contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, rispondere alle esigenze di aumento di cibo e di sicurezza dello stesso, contenere gli errori manuali, monitorare le produzioni lungo la catena di approvvigionamento.

 

Se vogliamo coniugare produttività, sostenibilità, ridurre la povertà, preservare il Pianeta da una gestione dell'uomo sistematicamente proiettata verso l'anticipazione dell'Overshoot Day, gestire le risorse disponibili in maniera parsimoniosa, garantire sicurezza e qualità alimentare, non possiamo fare altro che affidarci a sistemi digitalizzati, di agricoltura di precisione, strumenti predittivi di analisi e, prima o poi, approdare all'intelligenza artificiale. La quale, per definizione, è spuria, non genuina: offre soluzioni, ma non le giustifica.

 

Dovremmo per questo fermare la ricerca, tenerci lontano dalle innovazioni, diffidarne? Certo che no. I vantaggi dell'intelligenza artificiale applicati in agricoltura possono essere enormi, tanto sul versante del processo che del prodotto, per non parlare di aspetti magari sottovalutati come il risparmio di manodopera, che in alcuni casi come le operazioni in condizioni di pericolo, potrebbero tradursi in una concreta realizzazione della salvaguardia della salute dei lavoratori.

 

Servono regole, tuttavia. L'uscita dei giorni scorsi di Elon Musk, che possiamo catalogare non come una delle sue spacconate alle quali ci ha abituati, relativa ai rischi dell'intelligenza artificiale, che "metterebbe in pericolo l'umanità", inevitabilmente apre la riflessione al tema dell'etica. All'esigenza, cioè, di predisporre una sorta di Ethical Code al quale attenersi, così da non fermare la ricerca, ma di fissare determinati paletti oltre ai quali sarebbe bene (o addirittura vincolante) non spingersi.

 

La gestione dei dati, ad esempio: a chi affidarla? Al proprietario? All'utilizzatore finale? Altro aspetto: possono essere condivisi, aggregati, analizzati e divulgati i dati raccolti tramite processi di intelligenza artificiale in agricoltura? Con quale scopo? Deve essere conosciuto e condiviso a tutti coloro che si ritrovano ad avere a che fare con tali dati?

 

L'Italia, come spesso accade, scivola nell'eccesso di zelo. Cosicché rischia di trovarsi in netta minoranza vietando - ne ha parlato recentemente anche Luca De Biase su Il Sole 24 Ore - l'utilizzo di ChatGPT, la carne sintetica, perfino Uber. È corretto? Difficile dare una risposta univoca.

 

Di sicuro non dovremmo mai dimenticare la questione dell'etica. L'intelligenza artificiale ci fa sospettare che certe macchine abbiano un cuore, aspetto che viene poi messo in dubbio, smentito, poi riabilitato, in un tourbillon di sensazioni che non deve confondere l'uomo, ma spingerlo a coniugare ricerca scientifica ed etica, mettendo sempre la prima al servizio della seconda. Frenando, anche, qualora la direzione intrapresa non fosse corretta. Dobbiamo porci molte domande, dalla gestione di ogni singolo aspetto, anche quelli che ci sembrano i più trascurabili, fino ai massimi sistemi, ai temi macro, per poter gestire una realtà in continua evoluzione come l'intelligenza artificiale.

 

Né più né meno, diventa necessario chiederci quali siano i benefici della ricerca in agricoltura, quali ostacoli possono sorgere, come superarli, continuando a domandarci quali possono essere gli effetti positivi e se i benefici sono per un singolo o una comunità e se il vantaggio può portare crescita nella comunità. Muoversi da soli non è la soluzione vincente. I dati devono essere raccolti, condivisi e, magari, sopravvivere in una dimensione "open", di scambio costante, di analisi e discussione per una crescita della società, prima ancora che dell'impresa agricola.

 

Non facciamo finta che la questione etica non esista, altrimenti saranno altri - magari la stessa Unione Europea - a dirci cosa fare e cosa evitare. Avaziamo noi proposte per una ricerca lungimirante.

 

Per approfondire il rapporto tra intelligenza artificiale e agricoltura ascolta il podcast realizzato per il progetto ParteciPAC22