Se il settore industriale ed energetico è di gran lunga il più importante inquinatore, l'agricoltura viene considerata vittima e causa dei cambiamenti climatici, visto che contribuisce per circa il 10% all'emissione di gas serra. Eppure il settore primario potrebbe essere anche uno dei principali attori della lotta ai cambiamenti climatici e gli agricoltori potrebbero guadagnare da questo loro sforzo a favore del clima.
La parola magica è carbon credits, o in italiano crediti di carbonio (CC). Si tratta di titoli soggetti a compravendita che autorizzano le industrie ad emettere in atmosfera anidride carbonica (o altri gas ad effetto serra). Rilasciati dai governi, in futuro i CC potrebbero essere prodotti dalle aziende agricole che adottano pratiche di sequestro del carbonio.
L'Emission trading system
Tutto ha inizio nel 2005 quando l'Europa, sull'onda della firma del Protocollo di Kyoto, lancia l'European emission trading system (Ets), un complesso sistema di contrattazione dei crediti di carbonio che ha l'obiettivo di ridurre le emissioni di gas climalteranti da parte dell'industria europea.Il meccanismo di funzionamento dell'Ets è concettualmente semplice. Vengono identificate le industrie europee maggiormente inquinanti (in tutto circa 11mila, a cui si sommano le compagnie aeree) e a queste aziende viene concesso di emettere in atmosfera una certa quantità di anidride carbonica, quantità che è però inferiore rispetto alla normale attività dell'industria.
Le aziende a questo punto hanno tre alternative: ridurre la produzione e quindi l'inquinamento, adottare sistemi innovativi per abbattere le emissioni e quindi rimanere nei limiti imposti dall'Ue, oppure acquistare crediti di carbonio, titoli contrattati sul mercato che permettono all'industria di scaricare in atmosfera CO2 (un credito equivale ad una tonnellata di anidride carbonica).
L'obiettivo ultimo della Commissione europea è quello di premiare le aziende virtuose che, adottando sistemi meno inquinanti, non devono acquistare CC ma addirittura possono cederli, dietro compenso, alle industrie più obsolete e impattanti sull'ambiente.
Se l'Unione europea è stata la prima ad adottare questo meccanismo, oggi molti altri Stati hanno implementato sistemi simili, come ad esempio il Canada, gli Stati Uniti, il Giappone, la Nuova Zelanda, la Corea del Sud, la Svizzera e perfino la Cina. Ogni sistema è diverso ma ha il medesimo obiettivo e ci sono forme di contrattazione internazionale dei crediti di carbonio.
D'altronde la sfida è epocale. A fine 2019 la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha annunciato l'adozione del Green deal, un ambizioso progetto che punta alla neutralità climatica dell'Unione europea entro il 2050 con un traguardo intermedio nel 2030 che prevede la riduzione del 55% delle emissioni di gas climalteranti.
Questo significa che nei prossimi trent'anni tutti i settori che oggi inquinano dovranno smettere di farlo o dovranno acquistare crediti che dimostrino che la stessa quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera dall'attività produttiva è stata sequestrata sotto qualche forma. Già oggi alcune società e Ong gestiscono progetti volti a produrre crediti di carbonio, ad esempio piantando alberi.
Il ruolo dell'agricoltore come sequestratore di carbonio
E qui entra in gioco l'agricoltura e il ciclo naturale del carbonio. Quando crescono le piante assorbono anidride carbonica dall'atmosfera per sintetizzare i carboidrati. Queste molecole finiscono poi sul piatto dei consumatori o nelle trincee degli allevamenti. Con la decomposizione delle deiezioni e attraverso il metabolismo animale l'anidride carbonica ritorna in atmosfera. A questa si deve sommare la CO2 liberata dalla biomassa che l'agricoltore lascia in campo dopo il raccolto (la paglia, gli stocchi di mais, i residui di potatura, etc..).Alla fine dell'annata agraria il bilancio è sostanzialmente in pareggio visto che la CO2 assorbita durante la crescita delle piante è tornata in atmosfera. Anzi, il bilancio sarebbe negativo perché l'agricoltore ha consumato energia (come il gasolio) per produrre il cibo e gli animali hanno emesso gas climalteranti quali il metano e il protossido d'azoto.
Eppure se gli agricoltori adottassero pratiche di agricoltura conservativa il bilancio potrebbe essere positivo. La semina su sodo o la minima lavorazione ad esempio evitano che una parte della biomassa si decomponga rilasciando CO2. Si possono poi dedicare aree marginali alla semina di specie perenni oppure utilizzare dei sistemi per ridurre le emissioni da parte degli animali, come ad esempio degli additivi nelle razioni.
Guadagnare dalla sostenibilità è possibile
Un'azienda virtuosa che mette in atto comportamenti per assorbire CO2 potrebbe in futuro vedersi assegnati dei crediti di carbonio grazie alle sue attività in favore della mitigazione dei cambiamenti climatici. Questi crediti potrebbero quindi essere venduti sul mercato ed acquistati dalle industrie o dalle compagnie aeree che in questo modo finanzierebbero il settore primario.Ci sono però alcuni ostacoli sul cammino verso questa rivoluzione. Uno riguarda ad esempio il prezzo dei crediti. Oggi i carbon credits vengono contrattati su alcune piazze a livello internazionale e il loro prezzo è determinato dall'incontro tra domanda e offerta. Con la recessione causata dalla crisi finanziaria del 2009 la produzione industriale europea si è contratta notevolmente e questo ha portato ad un surplus sul mercato del carbonio che ha fatto drasticamente abbassare il prezzo dei CC.
Per diversi anni i crediti avevano un costo così basso che l'incentivo ad adottare pratiche virtuose è stato nullo. Nel 2019 l'Unione europea ha varato il Market stability reserve, un meccanismo che prevede di ritirare dal mercato i crediti in eccesso per mantenere alto il prezzo. Una sorta di autorità di mercato volta a regolare i prezzi, ma che non sarà in grado di mantenere elevate le quotazioni in ogni condizione.
In favore della stabilità dei prezzi c'è però il fatto che ogni anno i crediti concessi dall'Ue diminuiscono e a tendere dovrebbero diventare zero. Diminuendo l'offerta dovrebbero aumentare i prezzi, almeno fino a quando l'industria avrà bisogno di acquistare crediti di carbonio.
Il ruolo del digitale
Sul fronte dell'agricoltura il grosso ostacolo sta nel determinare e misurare la quantità di CO2 effettivamente sequestrata dall'agricoltore. Ad oggi molti governi, alcune multinazionali e associazioni stanno sviluppando dei modelli per quantificare l'anidride carbonica sequestrata da ogni attività colturale nelle varie condizioni ambientali. Successivamente dovrà essere messo in piedi un meccanismo che certifichi le azioni degli agricoltori e stimi quanti crediti di carbonio ad essi vadano attribuiti.Facciamo un esempio: Giorgio è un maiscoltore della provincia di Brescia che ha sempre eseguito operazioni di aratura. Decide quindi di passare allo strip tillage su una parte dei suoi terreni e di adottare dei sistemi per recuperare la frazione liquida dei liquami della sua stalla che inietta poi nel terreno per la concimazione. Un modello previsionale terrà conto delle condizioni di partenza dell'azienda, del contesto ambientale in cui opera e quantificherà l'anidride carbonica sequestrata. A quel punto verranno assegnati a Giorgio tot crediti che poi potrà vendere sul mercato, guadagnandoci.
Per determinare agevolmente la CO2 sequestrata un ruolo importante lo potrebbe giocare l'agricoltura digitale e la tecnologia blockchain. Mappando tutti i terreni e tenendo traccia delle attività colturali, una piattaforma di digital farming sarebbe infatti in grado di registrare i dati relativi alle azioni messe in atto, valutandole dal punto di vista del bilancio del carbonio.
Resta il nodo di verificare che le informazioni inserite dall'agricoltore nel sistema siano veritiere. Su questo fronte le attrezzature smart e i sensori IoT potrebbero fare la loro parte, specialmente se verrà adottata la blockchain. Una tecnologia ideale per certificare tutti i dati e concorrere al buon funzionamento del mercato dei crediti di carbonio.
Proposte in questo senso sono già state avanzate nei confronti della Commissione europea che, oltre ad aver annunciato obiettivi molto ambiziosi, ora ha l'arduo compito di raggiungerli senza provocare una crisi del sistema produttivo europeo. Da questo punto di vista l'agricoltura può davvero far sentire la propria voce e rivendicare quel ruolo di custode del territorio che spesso non le viene riconosciuto.