Raramente un Governo della Repubblica ha giurato in un clima di scetticismo, quando non di palese sfiducia o vera e propria ostilità. D'altronde, quello che ha giurato nei giorni scorsi è un Governo inedito: prima volta una donna presidente del Consiglio, prima volta uno sbilanciamento politicamente così a destra, prima volta per un insieme di fattori che oggettivamente (questi sì) preoccupano: una guerra in Europa che sta mandando in tilt l'economia a causa dei rincari generalizzati di materie prime, di energia e gas, commerci internazionali sottoposti a speculazioni sulle materie prime (e non solo), inflazione che ha già iniziato ad influire sui consumi.
Questo il panorama in cui è immerso il neo ministro dell'Agricoltura e della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida, nipote della grande attrice.
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Francesco Lollobrigida è il nuovo ministro dell'Agricoltura e della Sovranità Alimentare
Il linciaggio delle opinioni si è sollevato cavalcando un grande equivoco, scambiando cioè la Sovranità Alimentare - menzione peraltro già adottata dalla Francia, che in materia di agricoltura ha parecchio da insegnarci, a sua volta mutuato dai contadini sudamericani di Via Campesina e rilanciato da Carlin Petrini, il fondatore di Slow Food che è ben lontano da afflati o simpatie di destra - per il sovranismo o, visto che ricorrono i cento anni dalla marcia su Roma, per un ritorno all'autarchia, quando cioè l'Italia sottoposta alle sanzioni internazionali puntava ad essere autosufficiente dall'estero.
Ecco, sarebbe impossibile fare ritorno all'autarchia e impensabile persino autoescludersi dalla nuova globalizzazione che, inevitabilmente, si farà avanti. Ma nel caos che ha caratterizzato appunto l'utilizzo della locuzione Sovranità Alimentare da aggiungersi al più chiaro termine Agricoltura per battezzare il Dicastero di via XX Settembre, è stato poi necessario spiegare che non c'è alcuna volontà di azzerare i 60 miliardi (quasi) di export agroalimentare che caratterizzano l'Italia nel 2022 e che, semmai, l'obiettivo è quello di crescere ulteriormente, magari andando ad erodere i 120 miliardi (come è stato calcolato questo numero, non si sa) di italian sounding che minaccia a livello di concorrenza sleale il vero made in Italy.
Semmai, l'auspicio è che con Sovranità Alimentare si intenda la volontà non solo di aumentare le esportazioni italiane nel mondo (basta con le missioni frammentate, caro ministro, organizzi trasferte oceaniche, sostenga la partecipazione a vetrine internazionali come le più importanti fiere di settore, ma andate in massa, organizzati e sostenuti come fanno i tedeschi dal sistema bancario, assicurativo, dai responsabili delle dogane, dei trasporti, eccetera). In questo si dovrebbe imparare dagli irlandesi del Bord Bia, ma anche dal Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti. I report e i dossier dell'Usda sono uno strumento puntuale di informazione per le imprese. Prendiamo spunto!
Sovranità Alimentare dovrebbe significare difesa del made in Italy anche in quello specifico segmento che è rappresentato dalla Dop Economy, che vale 16,6 miliardi di euro di valore alla produzione. Come difendere e promuovere le indicazioni geografiche nel mondo? Stringiamo accordi bilaterali, arriviamo più rapidamente dove la lentezza dell'Unione Europea non arriva.
La Sovranità Alimentare, in chiave italiana, andrebbe declinata convincendo l'Unione Europea ad archiviare l'incubo Nutriscore, sistema che non aiuta a mangiare meglio e di questo testacoda dell'informazione, ispirata ai colori del semaforo con però parte della dieta alimentare cosiddetta "mediterranea" sistematicamente in off side, alla fine resterebbero colpiti consumatori e servizi sanitari nazionali. Ecco: stoppiamolo definitivamente.
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La Sovranità Alimentare speriamo voglia dire attenta applicazione del Piano Strategico Nazionale e possibilità di compiere aggiustamenti in corso d'opera, a beneficio dell'agricoltura italiana, che è diversa da quella francese, tedesca, austriaca, svedese, cipriota, polacca o portoghese, per citare alcuni dei 27 Stati membri. Pensiamo prima alla nostra agricoltura, una volta per tutte.
Siamo nel pieno di una crisi energetica e allora proviamo a declinare la Sovranità Alimentare anche sostenendo e promuovendo tutti quei corollari che possono aiutare l'agricoltura italiana a prosperare. E se questo significa intensificare la diffusione delle energie rinnovabili (con vantaggi anche in termini di sostenibilità ambientale ed economia circolare) oppure sostenere le produzioni togliendo - come ha annunciato il ministro Lollobrigida - il limite ai terreni incolti con un piano chiaro strategico di coltivazione e liberarsi dall'ideologia del Farm to Fork, sono azioni che non possono essere etichettate come autarchia.
Anche perché siamo certi che al nuovo ministro - che ci viene definito come una persona estremamente seria e un gran lavoratore - non sia sfuggito che l'Italia produce solamente il 55% del fabbisogno di mais, ha un tasso di autoapprovvigionamento del frumento tenero di poco superiore al 37% (mentre siamo al 73,8% per il frumento duro), e per la soia ha un'autosufficienza che arriva a malapena al 30%. Siamo sicuri, dunque, che nessuno del nuovo Governo abbia confuso la locuzione Sovranità Alimentare con il sovranismo, le frontiere sigillate (si facciano però controlli sull'import e si pretenda reciprocità sulla qualità) o l'autosufficienza (per la quale abbiamo però il dovere di migliorare).
In pratica, il concetto di Sovranità Alimentare adottato dal Governo in carica viene a coincidere con le posizioni assunte dai Paesi in via di sviluppo. E cioè: difendiamoci dalle aggressioni delle multinazionali e dal cibo imposto dall'estero, che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha riassunto nel proprio discorso di insediamento alla Camera affermando che "l'Italia deve tornare ad avere una politica industriale, puntando su quei settori nei quali può contare su un vantaggio competitivo. Penso al marchio, fatto di moda, lusso, design, fino all'alta tecnologia. Fatto di prodotti di assoluta eccellenza in campo agroalimentare, che devono essere difesi in sede europea e con una maggiore integrazione della filiera a livello nazionale… che non significa mettere fuori commercio l'ananas, come qualcuno ha detto, ma garantire che non dipenderemo da Nazioni distanti da noi per poter dare da mangiare ai nostri figli". Insomma tutto chiaro, anche se forse non tutto realizzabile.
Buon lavoro al ministro Lollobrigida. Non abbiamo alcun preconcetto nei suoi confronti, ma non avremo alcuna soggezione nel segnalare ciò che a nostro parere potrebbe essere migliorato. Di più: invitiamo i lettori a scriverci, qualora ravvisassero la necessità di fornire indicazioni, suggerimenti, o avessero anche solo la necessità di chiarimenti (va bene tutto, purché i toni restino civili).
La situazione attuale impone di procedere a vele spiegate, sperando in un timoniere capace. Perché non c'è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.