La guerra in Ucraina ha pesato in modo particolare sulla situazione dell'Africa, un continente dalle potenzialità enormi anche in agricoltura, con il 65% delle terre arabili a livello mondiale, eppure con una produzione agricola ben lontana dall'essere in grado di dare risposte adeguate alla popolazione che ci vive. Molti Paesi dell'Africa, per non dire tutti, dipendono in maniera massiccia dalle importazioni di beni alimentari di prima necessità.

 

L'Egitto, per citare un esempio emblematico, è fra i primi importatori di grano a livello mondiale e i principali fornitori, prima della guerra, erano proprio Russia (che a un anno di distanza ha ridotto l'export in quantità, ma ha rafforzato la propria posizione in termini di quote di mercato) e Ucraina. La Romania e la Francia si sono inserite di forza per sostituire le forniture, ma la situazione per il continente africano è tutt'altro che risolta.

 

Il rischio di una crisi alimentare non è stato completamente scongiurato e le difficoltà delle catene di approvvigionamento hanno aumentato il numero delle persone in stato di povertà, aggravando così uno scenario complessivo a tinte fosche, dove all'insicurezza alimentare si aggiungono guerre, conflitti interni, corruzione e una crisi climatica in atto che contribuisce ad incrementare i flussi migratori verso l'Europa.

 

Di sovranità alimentare del continente africano di fronte alle sfide del sistema internazionale e ai cambiamenti climatici si è parlato recentemente al Summit Dakar 2, in Senegal, che ha visto la partecipazione di 34 capi di Stato africani e dei responsabili di alcune organizzazioni internazionali.

 

E proprio pandemia e conflitto russo-ucraino, insieme al climate change, sono stati considerati il pungolo per accelerare sul fronte agricolo, così da sviluppare - e sostenere economicamente - una rete di piccole e medie imprese in grado di "rendere il continente il granaio del mondo, aumentando la produzione dagli attuali 280 milioni di dollari a 1 miliardo di dollari all'anno entro il 2030".

Queste sono, in particolare, le stime della Banca dello Sviluppo Africana (Afdb), che nei prossimi cinque anni si è impegnata a stanziare in totale 10 miliardi di dollari per il raggiungimento dell'obiettivo.

 

Bisogna superare, è emerso dal vertice internazionale, ostacoli di natura strutturale: ad esempio, la maggioranza delle aziende agricole africane è formata da piccole medie imprese, per non parlare dei limiti delle infrastrutture e la necessità di finanziamenti adeguati che, secondo la Banca dello Sviluppo Africana - riporta l'Osservatore Romano - dovrebbero essere tra i 27 e i 65 miliardi di dollari all'anno.

 

Eppure, le potenzialità dell'Africa sono enormi. Non soltanto sul piano delle terre arabili, ma anche delle risorse. Un caso emblematico è quello del colosso marocchino Ocp, la più grande Azienda di fertilizzanti fosfatici al mondo, che ha accesso esclusivo al 70% delle riserve globali di fosfato che si trovano in Marocco. L'Azienda - della quale si è occupato anche il Financial Times - è uno dei cinque maggiori esportatori di fertilizzanti. Solamente nei primi nove mesi dello scorso anno gli utili operativi di Ocp hanno raggiunto i 3,65 miliardi di dollari, in aumento rispetto agli 1,99 miliardi di dollari dello stesso periodo del 2021.

 

Mostafa Terrab, presidente e amministratore delegato dell'Azienda, artefice del rilancio sul piano industriale e proiettato a una rivoluzione verde dell'Azienda, così da renderla carbon neutral entro il 2040, sostiene che l'Africa abbia la chiave della sicurezza alimentare globale. Oltre che in Marocco, ricorda Terrab, "vi sono riserve di fosfato anche in Tunisia, Algeria, Egitto, Togo e Senegal. L'Africa possiede, inoltre, cloruro di potassio, un altro nutriente, e gas naturale".

 

All'indomani della guerra in Ucraina, riporta il Financial Times, "il Gruppo Ocp, che rifornisce il 70% dei fertilizzanti in Africa, ne ha consegnato più di 500mila tonnellate ai piccoli proprietari dei Paesi Subsahariani, una parte gratuitamente, il restante a prezzo scontato. Nel 2023 prevede di venderne 4 milioni di tonnellate - o più di un quarto della sua produzione prevista - nel continente, nell'ambito di un programma che comprende la formazione degli agricoltori in cooperazione con donatori internazionali".

 

Durante il Summit di Dakar è stata lanciata da Afdb e dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad), l'iniziativa "Mission I for 200", con l'obiettivo di assegnare aiuti a circa 40 milioni di agricoltori in tutto il continente africano, così da migliorare la produzione agricola interna. Per il direttore dell'Ifad, Alvaro Lario, si tratta di investimenti che "aumenteranno la produttività, costruiranno la sovranità alimentare e apriranno la strada ad una più equa distribuzione e accesso al cibo, portando benefici a tutti gli abitanti del continente africano".

 

Quello previsto dalla Banca dello Sviluppo Africana - che prevede un capitolo particolarmente interessante per implementare le tecnologie digitali rivolte a piccoli proprietari, piccole e medie imprese agricole e attori della catena del valore per diffondere l'utilizzo delle tecnologie digitali in pratiche agricole - non è l'unico investimento per l'agricoltura in Africa.

 

Sotto la lente degli esperti anche soluzioni di finanza mista per aiutare a ridurre i rischi delle transazioni agricole, contenere i costi delle transazioni, e attrarre finanziamenti privati migliorando il rapporto fra rischio e rendimento.

 

Sull'Africa si estende anche la lunga mano della Cina, da anni impegnata a migliorare la tecnologia agricola e la sicurezza alimentare di alcuni Paesi del continente africano, come vuole la vulgata ufficiale di Pechino, mentre, secondo una visione meno sinocentrica, con vere e proprie operazioni di land grabbing.

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Uno dei programmi lanciati attraverso la cooperazione Sud-Sud riguarda l'Uganda, con la Cina che ne fa parte nell'ambito dell'iniziativa Ssc della Fao per migliorare la sicurezza alimentare tra le famiglie povere. Dal lancio del programma, nel 1996, la Cina ha svolto un ruolo attivo - informa il China Daily - tanto che ad oggi l'ex Celeste Impero ha inviato più di mille esperti e tecnici cinesi, attraverso la Fao, in Africa, Asia, Caraibi e Pacifico Meridionale, sostenendo anche finanziariamente parte del programma.

 

Recentemente l'Ambasciata cinese in Uganda si è unita agli sforzi donando aiuti per un valore di 5 milioni di dollari (33,9 milioni di yuan) al World Food Program per sostenere un programma alimentare a favore dei gruppi vulnerabili minacciati dalla malnutrizione.