Il grano e la guerra
Quanto sta accadendo ai confini dell'Ucraina non ha conseguenze solo sul fronte energetico, ma coinvolge in misura rilevante l'andamento dei mercati delle materie prime e dei cereali.
Carlo Ottaviano dalle pagine de Il Messaggero del 7 febbraio evidenzia che da quel fronte di crisi parte un terzo dell'export mondiale di grano.
Gli effetti sui prezzi e sugli approvvigionamenti potrebbero essere devastanti.
Già in gennaio i prezzi del grano erano saliti del 12,5%, dopo aver raggiunto un incremento di oltre l'80% nel corso del 2021.
Se un inasprimento della conflittualità comportasse un blocco delle esportazioni, le conseguenze sarebbero disastrose a livello planetario.
Facile immaginare anche le ripercussioni per l'Italia, che importa il 64% del proprio fabbisogno di grano.
Sarebbe opportuno, si legge in conclusione, che l'Unione europea difenda la propria indipendenza alimentare stimolando le produzioni cerealicole.
Le etichette del dissenso
Il Nutriscore, l'etichetta a semaforo che classifica gli alimenti in base al colore, dal verde (buono) al rosso (cattivo), continua a dividere e il settimanale Panorama in edicola l'8 febbraio evidenzia le storture che questo sistema presenta.
L'articolo, firmato da Riccardo Venturi, sottolinea come l'etichetta a semaforo, già adottata da alcuni paesi europei in modo autonomo, premia alimenti insalubri mentre ne penalizza altri di sicura qualità, ad esempio l'olio extra vergine di oliva o formaggi come il Parmigiano Reggiano.
C'è chi ha fatto i conti, affermando che il Nutriscore arriverebbe a bocciare circa l'85% in valore del made in Italy.
Tradotto in euro, un danno valutabile in una decina di miliardi.
Contro il Nutriscore si è espresso l'Antitrust, che ha promosso cinque istruttorie sull'uso di questo sistema di etichettatura da parte di diverse società italiane ed estere.
A parere dell'Antitrust, questo sistema di etichette induce il consumatore a valutazioni errate sulla salubrità dei prodotti alimentari.
L'ambiente in Costituzione
Tutela del "paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione". E' uno dei passaggi dell'articolo 9 della Costituzione, che ora è stato modificato aggiungendoci due parole: l'ambiente e gli animali.
Come spiega Jacopo Giliberto su Il Sole 24 Ore del 9 febbraio, è stata approvata in via definitiva la proposta di legge di riforma costituzionale con il voto favorevole dei due terzi dei deputati, che rappresentano quel voto qualificato necessario a cambiare la Costituzione senza fare ricorso al referendum.
Ora all'articolo nove sono aggiunte la tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. Inoltre sarà regolata per legge la tutela degli animali.
Ritoccato anche l'articolo 41, incentrato sulle attività economiche, che vede citato l'ambiente e il suo rispetto.
Soddisfazione delle associazioni ambientaliste che invocano ora norme più stringenti.
Speriamo, aggiungo, nell'interesse non solo dell'ambiente e degli animali, ma anche degli agricoltori, che dell'ambiente sono i primi e più importanti tutori.
Biodinamico non è biologico
I sostenitori dell'agricoltura biodinamica hanno dovuto gettare la spugna.
La Camera a cancellato infatti l'equiparazione tra biologico e agricoltura biodinamica contenuta nel disegno di legge per il riordino del settore.
Di questa notizia si sono occupati molti giornali in edicola il 10 febbraio e fra questi Il Domani, con un ampio articolo firmato da Davide Maria de Luca e Youssef Hassan Holgado.
Dopo aver ricordato che l'agricoltura biodinamica trova particolare diffusione in Germania, l'articolo cita le critiche che molti scienziati hanno rivolto alle teorie che ne sono alla base.
Fra i più critici la senatrice a vita Elena Cattaneo e il premio Nobel Giorgio Parisi, secondo i quali si tratta di una pseudoscienza priva di fondamenti.
A questo proposito vengono riportate alcune dichiarazioni dello stesso Parisi, secondo il quale "qualcuno deve aver scambiato l'agricoltura biodinamica per un'agricoltura biologica rafforzata".
L'articolo si conclude ricordando che il marchio biodinamica è di proprietà di una società multinazionale con fini di lucro e che con il riconoscimento legislativo avrebbe acquisito un vantaggio competitivo rilevante rispetto agli agricoltori che con serietà e onestà si sforzano di rispettare il disciplinare dell'agricoltura biologica.
Il latte affonda
"Rassegnati e mortificati comunque teniamo duro e andiamo avanti ugualmente, ma non si sa fino a quando". Sono le parole della lettera che un allevatore ha indirizzato al Corriere della Sera, pubblicata l'11 febbraio.
Il mangime e i prezzi delle materie prime, si legge ancora, sono andati alle stelle, il gasolio è sempre in aumento e ora sono raddoppiate anche le spese energetiche, creando una situazione esasperante.
Molte stalle chiudono e altre sono destinate a fare la stessa fine. "La vergogna - continua la lettera - è che a livello sindacale, politico e ministeriale nessuno si muove".
Industrie, fabbriche, artigianato, commercio, e tanti altri settori, hanno resistito alla crisi grazie agli ammortizzatori sociali, un paracadute che però non protegge il mondo agricolo.
Che fare? La lettera si chiude con questa proposta: "chiedo gentilmente che vengano rispettate le norme del decreto legislativo numero 198 dell'8 novembre 2021".
Per chi non ricordasse di cosa si tratta, è la norma che, recependo i regolamenti comunitari in tema di pratiche commerciali sleali, vieta le vendite sottocosto.
E' quanto sta accadendo nel mondo del latte, dove il prezzo non paga nemmeno i costi di produzione.
Le contraddizioni di Bruxelles
Più d'uno gli articoli che meritano una citazione quelli pubblicati su Il Sole 24 Ore del 12 febbraio.
Iniziamo dall'articolo firmato da Emiliano Sgambato insieme a Manuela Soressi, sul tema della carne ottenuta in laboratorio e delle proteine alternative (c'è chi lo definisce "cibo Frankenstein")
Si inizia ricordando che le stime su questo settore ipotizzano che saranno raggiunti entro i prossimi 10 anni i 290 miliardi di dollari, cifra che potrebbe anche raddoppiare se questi prodotti incontreranno il favore dei consumatori.
Per ora la direzione presa dall'Europa nei confronti di questo settore non pare essere univoca. Mentre si è vietato di chiamare latte le bevande che non lo contengono, I prodotti privi di carne potranno continuare a definirsi hamburger, polpette, bistecche, salsicce o altro.
Un settore che sembra fare gola a molti investitori, che in questo segmento hanno impegnato i loro capitali.
I rischi però non mancano e un secondo articolo, in questo caso firmato da Giorgio dell'Orefice, ne mette in evidenza i risvolti.
A iniziare dalle continue accuse rivolte alla zootecnia, imputata di incidere sull'ambiente, oppure ai consumi di carne, ritenuti eccessivi e dannosi.
Cose che allevatori, trasformatori, industriali delle carni e del settore lattiero caseario respingono con fermezza.
Sul banco degli imputati non ci sono soltanto latte e carne, ma anche gli agrofarmaci ed è su questi che si sofferma un altro articolo, anche questo a firma di Giorgio dell'Orefice.
Entro il 2030 l'Europa si è impegnata a ridurre del 50% l'impiego degli agrofarmaci oggi in uso. Ma quali saranno le conseguenze sulle produzioni agricole?
Lo svela una ricerca dell'Università olandese di Wageningen, che ipotizza un calo del 20% in media delle produzioni agricole europee.
Che si vogliano sostituire le produzioni naturali di carne e latte con quelle prodotte in laboratorio, aggiungo, è un'ipotesi fantasiosa e inverosimile.
Ma volte sembrano proprio questi gli obiettivi di certe politiche adottate da Bruxelles.
L'origine in etichetta
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è confermata la proroga all'obbligo di indicare la provenienza sulle etichette di latte, formaggi, pasta, riso, sughi e salumi.
Il decreto, come spiega Libero in edicola il 13 febbraio, porta le firme del ministro per le Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, del ministro della Salute Roberto Speranza, e del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti.
L'obbligatorietà di indicare l'origine in etichetta è una misura approvata in deroga ai regolamenti dell'Unione europea e attuata in forma "sperimentale".
Ora si attende che l'obbligo di origine venga sancito a livello comunitario, come prevedono fra l'altro talune indicazioni contenute nel programma Farm to Fork.
Al momento, conclude il breve articolo, si nota nei progetti comunitari l'assenza dell'indicazione di origine per i salumi.
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