La campagna conquista il Guggenheim di New York. In programma fino al 14 agosto (e temporaneamente chiusa per l'emergenza Covid-19), semmai si potrà visitare, quella che l'architetto olandese Rem Koolhaas - già vincitore del Pritzker Prize, praticamente il premio Nobel per l'architettura - ha progettato insieme a Samir Bantal (Amo) in uno dei musei più prestigiosi del mondo è una mostra che delinea il futuro di tutto quello che non è città.
La mostra si chiama "Countryside, The Future" e accoglierà nuovamente i visitatori con un grande trattore sulla Fifth Avenue, la via dei musei e del lusso di New York.

È molto singolare ritrovare la campagna, termine in realtà che non riesce ad abbracciare tutta la varietà di quei territori non urbanizzati, in un museo d'arte tra i più importanti del mondo. A maggior ragione fa ancora più scalpore che ad occuparsi di campagna sia un architetto visionario come Rem Koolhaas, che quarant'anni fa teorizzava l'esaltazione senza condizioni della metropoli.

Era infatti il 1978 quando Koolhaas dettava il manifesto della "manhattanizzazione" del mondo, termine utilizzato per sublimare città, metropoli e deregulation urbana come unica possibilità sociale in un periodo che cronologicamente si collocava nell'era del consumismo sfrenato, proiettato verso gli scintillanti anni Ottanta, dei quali New York ha saputo interpretare al massimo la tendenza (leggere per credere il romanzo di Jay McInerney "Le mille luci di New York").

Ora per l'architetto olandese è l'ora della svolta. "Countryside, The Future" è una marcia indietro da parte di Koolhaas perché si occupa di tutta la parte della superficie terrestre "libera" da insediamenti umani. Uno sguardo altrove, al non urbanizzato. Era ora.
La mostra è organizzata attraverso il format del wallpaper, con un racconto che si snoda lungo i sei piani della spirale del museo Guggenheim.


Agricoltura e futuro

Chi pensa che sia una celebrazione del mondo bucolico si sbaglia, perché la visione di Rem Koolhaas e Samir Bantal celebra anche e soprattutto i trionfi delle tecnologie, della chimica, dell'automatizzazione, delle serre, dei satelliti, dell'innovazione biotecnologica, della ricerca e dei big data, dell'Internet of Things e dell'e-commerce. In pratica, lo dice il titolo stesso della mostra "Countryside, The Future". Il futuro.
Starebbe benissimo nei locali di Image Line, con il fondatore Ivano Valmori a spiegare a Koolhaas che in agricoltura molto di quanto esposto nel super museo newyorchese è già il presente.

Benissimo. E allora, che futuro aspetta l'agricoltura?
A prescindere da qualsiasi tipo di innovazione, l'apporto dell'uomo e della natura saranno fondamentali, perché rappresentano il cuore e il motore del pianeta per la produzione di cibo. La sicurezza alimentare continuerà ad essere una questione centrale. Non dimentichiamo che dovremmo (potremmo?) superare i 9 miliardi di persone nel 2050.

L'agricoltura 4.0 è sempre più una realtà. Secondo l'Osservatorio Smart Agrifood della School of management del Politecnico di Milano e del Laboratorio Rise (Research & innovation for smart enterprises) dell'Università degli studi di Brescia, l'agricoltura 4.0 in Italia ha toccato i 450 milioni di euro, con una crescita del 22% su base annua, ma i trend sono crescenti in tutto il mondo civilizzato.
Analisi dei big data, mappature satellitari, Internet of Things, sistemi di tracciabilità tramite blockchain diventeranno soluzioni strategiche sempre più diffuse, anche per contenere i costi di produzione e garantire il consumatore finale.

La mostra al Guggenheim Museum di New York cade in un periodo alquanto travagliato, a causa della pandemia Covid-19, la cui dirompenza e le conseguenze di lockdown che ha conseguentemente innescato sembrano quasi avvalorare la tesi che la campagna sia il futuro, unico macrocosmo ancora abilitato ad operare, insieme naturalmente a quello sanitario. Quale occasione migliore per decidere che ruolo assegnare all'agricoltura e agli agricoltori, i suoi sacerdoti in terra?

La risposta di Koolhaas porta a riflettere in una direzione corretta: l'agricoltura è strategica, tanto la produzione quanto il rispetto della natura, quanto la scienza che spinge all'innovazione. Di questo ci si dovrà ricordare con la prossima Politica agricola comune. E non si tratta solamente di una questione economica, ma di sostegno globale che deve essere assicurato a un'agricoltura sostenibile, razionale, rispettosa dell'ambiente, in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici e, se possibile, a mitigarne gli effetti.

L'agricoltura è sempre più un bene pubblico, deve garantire il reddito alle imprese agricole e rispondere alle esigenze sociali (non socialiste).
Si è parlato di molti "più", sarebbe forse il caso di annoverare qualche "meno". L'agricoltura e le filiere alimentari dovranno adoperarsi - anche con l'ausilio delle tecnologie - per ridurre gli sprechi, che incidono in termini di dispersione economica e di aumento delle emissioni inquinanti.

Produrre cibo sano, inoltre, aiuterebbe a frenare le migrazioni, mantenendo le persone radicate nei propri territori e contribuendo alla loro qualità di vita, che passa anche attraverso l'assistenza sanitaria e l'istruzione. Ma tutto parte dall'agricoltura e dalla possibilità di nutrirsi.

"Countryside, The Future" offre anche una risposta alle stesse aree urbane, nelle quali è giunto il momento di far entrare più verde, per rendere gli spazi più sani, più naturali e meno inquinati. Anche questa è una rivoluzione verde.

Guardare al futuro partendo dal passato è un esercizio altrettanto utile. E qui ci vengono in soccorso le parole di Daniela Toccaceli, direttrice del Centro studi sull'organizzazione economica dell'agricoltura all'Accademia dei Georgofili di Firenze, che ci mette di fronte all'errore commesso prima che la pandemia si palesasse in tutta la sua drammaticità: "L'agricoltura e gli agricoltori sono fondamentali, preziosissimi, insostituibili. Li abbiamo dati per scontati, avremmo dovuto ricordarcene prima". È vero.