Tra le cause principali di questa specifica ‘sensibilità al disastro’ ci sono un’orografia particolare del territorio, ma soprattutto l’abbandono delle zone montane e una cementificazione selvaggia e incontrollata che devasta ogni secondo circa 8 mq di suolo. 70 ettari al giorno.
Attualmente 6 milioni di italiani vivono in un territorio a elevato rischio idrogeologico e 22 milioni in zone a rischio medio. Nel nostro Paese vi sono 1.260.000 edifici a rischio, tra cui 6.251 scuole e 547 ospedali.
I dati sono stati forniti dall'Anbi - Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni, nella proposta di Piano per la riduzione del rischio idrogeologico in Italia presentata a Roma.
Alcune delle soluzioni possibili per affrontare e ridurre il rischio idrogeologico sono contenute in un piano di interventi che comprende 3.383 interventi immediatamente cantierabili su tutto il territorio nazionale per un importo complessivo di 7.995 milioni di euro. L’avvio dei cantieri, oltre a mettere in sicurezza diverse aree a rischio e limitare i possibili danni in altre, gioverebbe senz’altro all’economia e all’occupazione, garantendo inoltre un risparmio futuro sugli stanziamenti regolarmente erogati a ogni emergenza.
Dalla nutrita schiera dei rappresentanti del mondo politico, si è alzato un unanime plauso all’iniziativa, una corale condivisione delle premesse e degli intenti di Anbi e un plebiscitario impegno ad attivarsi affinché la difesa del suolo esca finalmente dall’impasse in cui versa da decenni.
Ci sarebbero tutte le premesse perché, data la convergenza di tutti gli interessati, il piano proposto da Anbi sia quanto prima posto in atto. Ma sulla scorta delle esperienze passate non nutrire un certo scetticismo.
Le risorse
Otto miliardi di euro non sono bruscolini, soprattutto in un Paese nel quale quello della ‘carenza di risorse’ è un ritornello più conosciuto e cantato dell’inno nazionale. La legge finanziaria 2014 e il successivo DL 136/2013 si limitano a dettare norme che dovrebbero determinare l’utilizzo delle somme già previste negli Accordi di Programma.
Le nuove previsioni sono estremamente modeste, per non dire miserevoli: 30 milioni di euro per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016.
Il previsto rifinanziamento di 140 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 per interventi nel settore della manutenzione idraulica e forestale, inoltre, non è che una revisione al ribasso della Legge di Stabilità 2013 che disponeva allo stesso titolo un rifinanziamento di 160 miliardi di euro per l’anno 2013. Peccato che tali risorse non siano state utilizzate per lo specifico settore della manutenzione idraulica per il quale erano state stanziate.
“Le risorse, almeno nominalmente, ci sono – ha affermato il presidente di Anbi, Massimo Gargano – bisogna spenderle”. Una verità lapalissiana che si scontra con la storia del recente passato, dove tra blocchi, congelamenti, patti di stabilità, guerra di competenze e via di seguito, delle risorse stanziate è stato speso solo il 4%.
Quello che serviva per pagare e mandare avanti i regimi di commissariamento.
Anche volendo accettare per assunta la carenza di fondi, l’Anbi propone di reperire risorse anche attraverso una proiezione quindicennale dell’impegno di spesa, che potrebbe realizzarsi mediante mutui, secondo una soluzione già adottata nel recente passato. “L’impegno per lo stato sarebbe minimo – ha spiegato il direttore generale Ambi, Annamaria Martuccelli – in quanto l’impegno di garanzia riguarderebbe solo interessi e ammortamento”. Una soluzione che però non ha convinto il presidente della commissione Ambiente del Senato, Giuseppe Francesco Maria Marinello, che ha spiegato come tale strumento sia stato sostanzialmente abbandonato in quanto gli oneri si trasferivano sulle gestioni future e perché utilizzato come indice per le agenzie di rating.
La mancata percezione di urgenza
Dal 2002 al 2014 si sono registrati circa 2.000 eventi alluvionali che hanno determinato 293 morti oltre a ingenti danni che non risparmiano il patrimonio artistico. Dopo ogni evento calamitoso non sono mancati gli indispensabili provvedimenti di emergenza che le tragiche situazioni richiedevano ma, pur riconoscendosi in più sedi l’urgenza di un piano di azioni di prevenzione volte a ridurre la pericolosità dei ricorrenti eventi alluvionali, né il Governo né il Parlamento hanno provveduto alle iniziative necessarie. Questo, nonostante i costi dell’emergenza siano immensamente superiori a quelli della prevenzione; basti pensare che all’indomani dell’alluvione in Sardegna dello scorso novembre il governo Letta stanziò 20 milioni di euro ‘per le prime ricostruzioni’: circa il 70% di quanto per la prevenzione su tutto il territorio nazione in tutto il 2014.
È evidente la maggiore facilità per la politica di stanziare fondi sull’onda emozionale del disastro rispetto al farlo in momenti in cui l’opinione pubblica è concentrata su altre necessità, ma la spiegazione non può ridursi a questo e riguarda soprattutto una mancata percezione dell’urgenza degli interventi di prevenzione, nonché una generale assenza di consapevolezza della loro necessità. Non stupisce, d’altra parte, che in un Paese economicamente depresso e dalla memoria labile come l’Italia, superata l’emergenza si incontrino resistenze a investire in opere che offrono un ritorno economico non direttamente dimostrabile e nell’arco di più decenni.
Massimo Gargano, presidente Anbi (Foto ©Alessandro Vespa)
Le proposte e le condizioni Anbi per il 2014
Il documento presentato da Anbi contiene indicazioni relative ad azioni di competenza dei Consorzi di bonifica che, presenti capillarmente sul territorio nazionale, con puntuale conoscenza dello stesso e con un organizzazione che conta specifiche professionalità, si candidano come i soggetti più idonei a collaborare con le altre istituzioni locali competenti per la realizzazione di un piano per la riduzione del rischio idrogeologico.
Parte delle risorse potrebbe arrivare dai fondi comunitari per la Pac 2014-2020 grazie anche allo sviluppo dell’accordo di partenariato Stato-Regioni, che contempla espressamente l’esigenza della sicurezza territoriale.
Anbi richiede anche che le azioni volte alla sicurezza del territorio siano maggiormente coordinate e sinergiche tra i diversi soggetti istituzionalmente competenti, con una necessaria concertazione e collaborazione sul territorio attraverso gli strumenti già esistenti, quali protocolli d’intesa e accordi interistituzionali, facendo presente che affinché il piano proposto funzioni al meglio, c’è bisogno di realizzare il tanto auspicato federalismo cooperativo.