Grande affluenza di pubblico (oltre 60mila visitatori), tutti gli spazi espositivi occupati, un calendario di eventi talmente intenso da pretendere l’impossibile dono dell’ubiquità. Ecco in sintesi i tratti principali della 15esima edizione di Cibus, il salone internazionale dell’alimentazione che si è svolto a Parma dall’10 al 13 maggio. Un’edizione che può essere archiviata, come le precedenti, nel libro dei successi, a dispetto di questa lunga stagione di crisi. Crisi che ha colpito duramente il settore primario, cioè gli agricoltori, e un po’ meno quello della trasformazione e della distribuzione dei prodotti agroalimentari. I numeri sono lì a dimostrarlo, come è emerso anche nei numerosi dibattiti, incontri e convegni che hanno animato la quattro giorni parmense. Un dato per tutti. Il settore manifatturiero ha perso il 19% del fatturato, mentre quello agroalimentare nel suo complesso ha confermato anche nel 2009 i suoi 120 miliardi di euro. Solo una piccola flessione, appena l’1%. A calare sono state le paste alimentari (-1%) e il settore lattiero caseario (-3%). Cali compensati dalla crescita di altri settori, come l'olio (+5%) e le bevande (+0,4%).

 

Grazie export

Una sostanziale tenuta del settore che conferma così le sue note caratteristiche “anticicliche”, risultati positivi ottenuti  soprattutto grazie alla progressiva crescita dell’export. Lo sviluppo dei mercati stranieri è stato il filo conduttore di questa edizione di Cibus, altrimenti fotocopia (comunque efficace e di grande richiamo) di quelle precedenti. Ad affollare i padiglioni della fiera di Parma si sono così viste frotte di operatori europei e non, attirati dalla crescente richiesta di tutto ciò che “sa di italiano”. Cibus si è così trasformato in una sorta di ponte verso l’estero, in particolare per le aziende di minori dimensioni, non sempre “attrezzate” per farsi conoscere sui mercati del mondo. Realtà produttive come il consorzio di Valledolmo, in provincia di Palermo, ha potuto far conoscere meglio il pomodoro Siccagno, mentre il prosciutto crudo di Cuneo o quello “Medievale”, cotto seguendo un’antica ricetta, si sono potuti confrontare ad armi pari con i più blasonati dop del settore. E poi l’olio spray per aiutare il calcolo delle calorie o i succhi di uva frizzanti, che sembrano vino, ma non lo sono. Solo alcuni esempi, anche curiosi, fra i mille straordinari prodotti che l’agroalimentare italiano è in grado di offrire e che Cibus ha messo in mostra.

 

Attrezzarsi per competere

Tanti prodotti che però faticano ad affermarsi persino sul mercato interno, figuriamoci a livello internazionale. Un’analisi, anch’essa presentata in uno dei molti convegni di Cibus, mette ben in evidenza le contraddizioni del settore, specie in tema di export. La maggior parte della produzione italiana è concentrata in poche regioni, Lombardia ed Emilia Romagna in testa, seguite a distanza da Veneto, Campania e Sicilia. Ma proprio nelle capofila, cioè Lombardia e Emilia Romagna, si registra la più bassa propensione all’export (solo il 10%). Per contro la Campania eccelle con il suo 30%. Analizzando ulteriormente i dati produttivi si scopre che il numero delle imprese che opera in Sicilia è analogo a quello della Lombardia. Ma i fatturati delle due regioni sono assai diversi. Segno della frammentazione e della ridotta dimensione delle aziende che operano nell’Isola. Solo alcuni esempi dai quali si evince la scarsa capacità organizzativa delle imprese, che impone nuove forme di aggregazione capaci di cogliere le esigenze di un consumo in perenne evoluzione.

 

Dove va il valore

Attenzione all’export, dunque, senza dimenticare il mercato interno e i suoi problemi, specie per quanto riguarda la distribuzione e il rapporto fra la Gdo e le altre componenti delle filiere produttive. Si è discusso a lungo durante Cibus di come ottimizzare la logistica, ridurre la movimentazione dei mezzi, aumentare i trasporti su rotaia a scapito di quelli su gomma e ridurre gli imballaggi. Temi che hanno trovato unanimi consensi. Ma quando si è passati ad analizzare la catena del valore e a discutere sui perché della scarsa remunerazione dei prodotti agricoli le posizioni si sono fatte molto distanti. Anche da Cibus, dunque, la conferma di quanto sia difficile trovare un punto di incontro fra chi produce, chi trasforma e chi distribuisce. E l'agricoltura, inutile persino dirlo, interpreta anche questa volta la figura del vaso di coccio stretto fra vasi di ferro.