Gli allevamenti non sono industrie e non possono essere paragonate a queste in termini di impatto ambientale.

AgroNotizie lo scriveva già nel settembre dello scorso anno, all'indomani di un Consiglio dei Ministri Agricoli dove si dibattevano vari temi legati alla strategia Farm to Fork e agli obiettivi del Green Deal.

Ma le obiezioni sollevate dal mondo agricolo e documentate dalle ricerche scientifiche sul reale ruolo degli allevamenti in tema di emissioni sono rimaste inascoltate.

 

Il Consiglio dei ministri dell'Ambiente è tornato sull'argomento insistendo sulla necessità di comprendere gli allevamenti di bovini nella nuova direttiva sulle emissioni, al pari delle industrie e delle attività più inquinanti.

A poco sono servite le proteste degli allevatori europei, il cui risultato si ferma a un compromesso sulla dimensione degli allevamenti.

Nelle prime bozze si era fissato un limite di 100 bovini adulti, al di sopra del quale scattavano le misure più rigide. Ora si è saliti a 350 Uba, Unità di Bestiame Adulto, metro con il quale si misurano, uniformandola, la consistenza degli allevamenti, dai bovini ai suini.

 

Purché non prevalga l'ideologia

Non è casuale che la proposta di direttiva prenda corpo durante il semestre di presidenza della Svezia, dove i temi ambientali hanno una forte presa sul consenso.

Senza disconoscere l'importanza del tema, c'è il fondato timore che queste scelte siano il frutto di una visione distorta dalla lente delle opportunità politiche.

Non si è fatta condizionare la delegazione italiana, unica a votare contro questa proposta di direttiva, nella consapevolezza della differente realtà dei nostri allevamenti.

 

La direttiva proposta dal Consiglio dei ministri europei sembra fermarsi a dati obsoleti, ignorando le più recenti evidenze scientifiche sul reale impatto ambientale degli allevamenti, bovini in particolare.

AgroNotizie ne ha scritto a più riprese e va ricordato come l'impronta ambientale di un allevamento bovino possa rivelarsi negativa, offrendo un reale contributo al sequestro di carbonio.

 

Quella sintonia fra ambiente allevamenti

Se la direttiva proseguirà senza i necessari cambiamenti, le conseguenze potrebbero essere pesanti per quello stesso ambiente che si intende proteggere.

Come sottolinea Tommaso Battista, presidente della Copagri, l'Italia contribuisce appena per l'1% alle emissioni mondiali di CO2 e solo il 5% di questa quota deriva dagli allevamenti.

Inoltre l'allevamento svolge un'importante funzione nel sequestro di carbonio.

 

Nel decennio dal 2010 al 2020, ricorda Battista, il comparto non solo ha ridotto sensibilmente le proprie emissioni, ma è andato in negativo, sottraendo dall'atmosfera 49 milioni di tonnellate.

Considerazioni condivise dal direttore generale di Assocarni, François Tolomei, che peraltro evidenzia come il carbonio di origine fossile si aggiunge e si accumula nell'atmosfera, contrariamente a quanto avviene con il ciclo biogenico delle emissioni degli allevamenti, dove non vi è nuova produzione di CO2.

 

Potrebbe essere una catastrofe

Se non ci sarà un ripensamento gli effetti sulla zootecnia potrebbero essere devastanti, portando alla chiusura di numerose aziende e costringendo ad aumentare la nostra dipendenza dalle importazioni per carne e latte.

 

Confagricoltura, per voce del suo presidente, Massimiliano Giansanti, punta il dito contro il voto del Consiglio e anticipa l'impegno con il Parlamento europeo e con il Copa Cogeca, per una decisione finale che non penalizzi inutilmente gli allevamenti.

 

Nel dibattito interviene anche Coldiretti che cita i dati del centro studi Divulga per ricordare che negli ultimi trenta anni la zootecnia italiana ha ridotto le proprie emissioni del 24%, in contrapposizione all'aumento (+16%) che si è registrato nel mondo.

Doveroso pertanto il voto contrario dell'Italia espresso dal ministro per l'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, al quale è andato un corale ringraziamento da parte delle organizzazioni agricole.

 

Poche speranze

Ora la parola passa al Parlamento europeo dove la divisione Agri, come spiega l'europarlamentare Paolo De Castro, ha richiesto un aggiornamento della valutazione di impatto che tenga conto delle più recenti conoscenze in materia.

I dati presi a riferimento dal Consiglio per il testo della direttiva proposta risalgono al 2016 e ignorano i progressi più recenti.

 

Il voto finale, prima in Commissione Agri e poi in quella Ambiente, potrebbero dunque slittare per tenere conto delle nuove evidenze.

Meglio tuttavia non farsi troppe illusioni. Persino l'Olanda, sommersa dalle proteste degli allevatori, ha votato a favore di questa direttiva.

L'Italia potrà ancora una volta dirsi contraria, ma se resterà isolata il danno ai nostri allevamenti e alla nostra economia non sarà evitabile.