Temi importanti quelli in discussione al recente Consiglio dei Ministri Agricoli dell'Unione Europea che si è tenuto in questi giorni.

Si è parlato di etichettatura, di emissioni industriali, di riduzione degli agrofarmaci.

Argomenti sui quali pesano decisioni che potrebbero mettere in seria difficoltà il settore agroalimentare italiano, a iniziare dall'applicazione della etichetta a semaforo, il Nutriscore.

Molti i suoi limiti, riconosciuti dallo stesso suo ideatore, il francese Serge Hercberg, che ne ha modificato l'algoritmo, peggiorando, se possibile, le conseguenze.

Con il risultato che alimenti iperprocessati vengono giudicati positivamente, mentre scatta un allarme pericolo, indicato dal colore rosso, per prodotti come l'olio di oliva o il Parmigiano Reggiano. 


Strategie da ripensare

Non meno complesso il tema degli agrofarmaci e della loro riduzione, così come previsto dagli obiettivi fissati nella strategia Green New Deal e Farm to Fork.

Senza adeguati correttivi e senza un loro profondo ripensamento, il risultato finale potrebbe essere quello di una forte riduzione delle produzioni agricole e di un altrettanto forte innalzamento dei prezzi al consumo.

Ma si sa, queste politiche sono state pensate prima che una pandemia seguita da una crisi geopolitica sfociata in una guerra cambiassero completamente le carte in tavola.


Il no dell'Italia

L'Italia, per voce del Ministro per le Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, ha ribadito il suo no all'etichettatura a semaforo, che non informa il consumatore ma ne condiziona solo le scelte.

Necessario dunque un ripensamento, come pure un'ulteriore valutazione di impatto sulla proposta di regolamento sull'uso sostenibile degli agrofarmaci.

Ridurne drasticamente l'uso porterebbe a a ben scarsi benefici sotto il profilo salutistico e a negative ripercussioni sui mercati.


Gli allevamenti non sono industrie

Ben più pesanti potrebbero essere le conseguenze della proposta di regolamento tesa ad equiparare gli allevamenti alle attività industriali in tema di emissioni ambientali.

La proposta sul tavolo dei ministri agricoli è tesa ad allargare la direttiva sulle emissioni industriali anche agli allevamenti di bovini con oltre 150 capi.

Una scelta che sembra disconoscere le ultime evidenze scientifiche, che dimostrano l'invarianza dell'allevamento bovino in quanto a emissioni di gas climalteranti.

In particolare per gli allevamenti italiani, fra i più efficienti in Europa, l'allevamento di bovini fornisce un contributo positivo al sequestro di carbonio.


Scelte ideologiche

È anche partendo da queste constatazioni che Paolo De Castro, relatore per il Gruppo S&D in Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo sulla direttiva sulle Emissioni industriali, ha fortemente criticato questa proposta.

"Condividiamo l'obiettivo dell'esecutivo Ue di ridurre i gas serra e l'inquinamento nel suolo e nell'acqua - ha detto De Castro - ma non permetteremo che questo obiettivo degeneri nell'ideologia, paragonando i nostri allevamenti a delle ciminiere e mettendo a repentaglio la sostenibilità del settore zootecnico".


Attenti ai danni

Dopo gli insensati attacchi alla carne e al latte e i sostegni economici che la Commissione ha elargito per ricerche sulla produzione di proteine ottenute in laboratorio, è lecito interrogarsi su quali siano gli obiettivi che guidano le scelte di politica agricola a livello comunitario.

Agitare la bandiera dell'ambientalismo e della sicurezza alimentare può essere utile a raccogliere consensi fra le persone non informate, ma il danno per la società rischia di essere enorme.

Ma sono ancora troppo poche le voci che escono dal coro per denunciare le storture di una politica agricola comunitaria che ha perso la connessione con la realtà dei campi.