A mettere nero su bianco la pessima stagione 2019-2020 è stato il Cso, i numeri non lasciano dubbi: i quantitativi prodotti sono circa il 50% in meno rispetto alla media degli ultimi anni e si attestano sulle 363mila tonnellate. Il calo è dovuto sia a un'annata con problemi climatici (fioritura e allegagione sono state scarse), sia alla cascola, sia a problemi di avversità venute alla luce da luglio in avanti: attacchi di cimice asiatica e di maculatura bruna.
C'è poi da considerare che, da anni ormai, si assiste a una progressiva diminuzione delle superfici (ad oggi l'Italia può contare su circa 29mila ettari in produzione): in pratica si abbatte molto più di quanto si pianti e, data la situazione 2019, c'è da immaginare che la tendenza sarà questa anche negli anni a venire. Un altro dato da aggiungere al quadro a tinte fosche è quello delle rese stagnanti, se non si considera il 2019, si attestano infatti in media sui 250 quintali a ettaro.
Fra le varietà, a farla da padrona è la Abate Fétel, da sola rappresenta il 43% degli impianti in Italia, seguita da Williams al 23%, mentre tutte le altre varietà si spartiscono poco più del 30% delle superfici. Ancora più evidente in Emilia Romagna la predominanza di Abate: lì gli impianti rappresentano il 52%. Tutti gli impianti poi, di qualsiasi varietà, mostrano il tempo che passa, in moltissimi casi si tratta di frutteti con più di ventuno anni di storia.
Il dato è particolarmente vero per varietà come Decana (il 69% è oltre i ventuno anni) o Conference (50%) ma preoccupano anche il 40% di Williams e il 21% di Abate. La stagione commerciale 2019-2020 si prospetta quindi ardua, difficilmente l'aumento di prezzi dovuto alla diminuzione del prodotto, compenserà i frutticoltori rispetto alla débâcle produttiva.
Il Cso ha calcolato, con particolare riferimento all'Emilia Romagna, la regione regina della pera, che il disavanzo ad ettaro, per la varietà Abate, sarà quest'anno di 8.600 euro. Coltivare Abate costa a un produttore 17.500 euro a ettaro e, sempre più spesso, quando la qualità non è eccelsa, conviene lasciare le pere sugli alberi e non raccoglierle piuttosto che aggiungere costi a costi.
Se il 2019 vede una cronica mancanza del prodotto pera, con la prospettiva di chiudere in anticipo la stagione commerciale, si spera che gli anni prossimi, almeno a livello di produttività, la situazione tornerà nella media degli scorsi anni, è quindi evidente che vadano cercati nuovi mercati, sperando che siano remunerativi. Sempre il Cso ha chiarito la situazione internazionale del comparto pera, sia per quanto riguarda l'export attuale dell'Italia, sia per quanto riguarda i possibili nuovi paesi nei quali esportare.
La buona notizia è che il negoziato con la Cina sta procedendo e pare essere arrivato a un punto di svolta: "Formalmente la trattativa è iniziata a giugno 2017" ha raccontato Simona Rubbi, Cso Italy. "A inizio 2019 sono arrivate dalla Cina richieste di chiarimenti cui abbiamo dato seguito e la novità di questi giorni è che l'amministrazione cinese ha accettato le nostre proposte, le nostre indicazioni e ha chiesto di venire a fare la visita ispettiva in Italia durante la prossima raccolta, un ottimo segnale che il protocollo procede. Dopo la visita ci saranno ulteriori passi per la definizione dell'accordo".
Nel giro di un paio di anni quindi la pera italiana potrebbe avere l'ok da Pechino. Nel frattempo l'Italia sta negoziando con il Messico, con il Sud Africa, con Vietnam e Taiwan, oltre che con gli Stati Uniti. Per quanto riguarda l'Estremo Oriente, è bene sottolineare che alcuni paesi sono già aperti alle pere italiane, ma contemporaneamente anche concorrenti europei come Belgio e Olanda possono esportare verso quelle destinazioni, si tratta di India, Indonesia, Singapore, Hong Kong e Malaysia. Belgio e Olanda esportano poi già in Cina. L'Italia, come molti dei concorrenti Ue, è fortemente sbilanciata, nelle sue esportazioni di pere, verso un mercato interno all'Ue e, purtroppo, dopo la chiusura della Russia, con l'embargo 2014, lo stesso vale per concorrenti come Belgio e Olanda. Con riferimento alla stagione 2018-2019, il 92% delle esportazioni di pere made in Italy è stato collocato all'interno dell'Unione a 28. Nonostante le esportazioni interne all'Unione siano preponderanti, c'è ancora chi ha fame di pere: la Francia ha reso noto, proprio durante Futurpera, che ne consuma circa 200mila tonnellate all'anno, ma la loro produzione (2019) si è fermata a 100mila.