Secondo i dati diffusi dal Cso Italy durante Futurpera, le previsioni di raccolto 2019 erano, fino a giugno scorso, di un -30%, da luglio però sono intervenute altre due variabili: H. halys (cimice asiatica) e maculatura bruna, appunto. Il risultato è stato un calo, a consuntivo, del 50% rispetto al 2018, si può quindi dedurre che, in parte, quel 20% imprevisto sia stato causato dalla maculatura bruna. Non solo un calo di produzione ma c'è stato anche un calo di qualità delle pere (particolarmente colpite le Abate). Testimonianze ascoltate durante il World pear forum hanno sottolineato come ci siano stati frutticoltori che hanno perso il 100% del raccolto, a causa proprio della maculatura.
Fra pericoltori e tecnici l'allarme è altissimo, anche perché non è completamente chiaro come combattere il fungo che causa la malattia: Stemphylium vesicarium. "Un fungo che confonde", è stato definito durante il World pear forum, affollatissimo, a Ferrara. "S. vesicarium produce tossine" ha detto Marina Collina del Distal dell'Università di Bologna. "Sporula sul cotico erboso, in particolare sulle graminacee. E' un fungo con elevate capacità germinative, in tempi molto rapidi produce tossine. Il danno sulle pere non è provocato direttamente dal fungo ma dalle tossine che questo produce e i frutti sono suscettibili in tutte le fasi d'accrescimento".
La maculatura bruna è nota in Italia da metà degli anni '70, ma è solo nelle ultime due stagioni che ha provocato danni estesi, ingenti, e imprevisti. La causa della recrudescenza è in parte dovuta ai cambiamenti climatici, sia nel 2018, sia nel 2019, si sono verificate le condizioni ideali perché ci fosse abbondante sporulazione. In particolare, quest'anno, si sono avuti: febbraio caldo, maggio freddo e piovoso, giugno siccitoso e luglio, anch'esso, piovoso. Se qualcuno si sta però illudendo che sia stata un'annata particolare e che non si ripeterà, si sbaglia. I cambiamenti climatici sono un dato di fatto ed è quindi possibile che le stesse condizioni s'incontrino nuovamente in futuro, tanto più che il potenziale d'inoculo, per il 2020, sarà probabilmente elevato. Il fungo infatti sverna sulle foglie a terra, sui residui ma anche sul cotico erboso, resta vivo, e il ciclo riprende da capo l'anno successivo.
Per quanto riguarda la difesa, di certo c'è che quella chimica, da sola, non è sufficiente. Ci sono poi principi attivi che hanno problemi per l'insorgenza di resistenze, la ricerca quindi sta lavorando anche nella direzione di mezzi di lotta indiretti e sarà necessario, negli anni a venire, integrare ricerca privata e ricerca pubblica.
Durante il World pear forum, Loredana Antoniacci del Servizio fitosanitario dell'Emilia Romagna, ha proposto una strategia per la prossima stagione (scarica la relazione con le indicazioni nelle varie fasi fenologiche). Su ciò che va al di là della chimica, sono diverse le ipotesi al vaglio, alcune delle quali sono state già messe alla prova, anche se ancora i risultati non sono definitivi. Fondamentale è agire per abbassare l'inoculo e quindi compiere interventi sul cotico erboso: nei casi in cui si sa che il potenziale, nel cotico, è molto alto si può arrivare a valutare la rimozione del prato, una tecnica di sanitazione che, secondo le prime prove ha dato risultati soddisfacenti. Sempre per quanto riguarda l'interfila, il pirodiserbo può dare un contributo così come l'utilizzo di un agente di biocontrollo come il Trichoderma (ovviamente non unitamente al pirodiserbo). Considerato poi il meccanismo con il quale agisce Stemphylium vesicarium, utili possono essere alcune tecniche agronomiche come un'attenta potatura e l'eliminazione dei frutti caduti. Frequenti irrigazioni, soprattutto soprachioma e la mancanza di lavorazioni del terreno sono invece fattori predisponenti la diffusione della malattia.