Si definisce "sito contaminato" ogni area nella quale, in seguito ad attività umane pregresse o in corso, sia stata accertata un'alterazione delle caratteristiche qualitative delle matrici ambientali - suolo, sottosuolo e acque sotterranee - tale da rappresentare un rischio per la salute umana.

In Italia, l'Ispra ha identificato 42 di tali siti particolarmente critici, definiti "siti d'interesse nazionale", per un totale complessivo di 171.211 ettari, ovvero lo 0,5% del territorio nazionale, a cui si sommano 77.730 ettari di mare (Foto 1).


Mappa dei siti inquinati in Italia ad aprile 2021
Foto 1: Mappa dei siti inquinati in Italia ad aprile 2021
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(Fonte foto: Ispra)


L'inquinamento non riguarda solo le discariche abusive di rifiuti o le aree industriali, ma è diffuso anche nelle aree agricole. Fra i principali inquinanti, il rame, presente nelle aree dedicate alla viticoltura in concentrazioni di oltre tre volte la media. Frequenti altri metalli pesanti, quali il cadmio, associato ai fertilizzanti a base di fosforo, alle ceneri e polveri sottili da inceneritori e ai fanghi fognari. Gli antibiotici, gli insetticidi e gli erbicidi sono i principali inquinanti di sintesi. I nitrati e i fosfati da deiezioni animali sono fertilizzanti organici se gestiti correttamente, ma ad alte concentrazioni posso causare l'eutrofizzazione dei corpi idrici e quindi si considerano dei contaminanti.

La bonifica dei territori contaminati è difficile e costosa, ma necessaria per risanare l'inquinamento del passato. Tuttavia, le autorità locali spesso non dispongono dei mezzi e degli strumenti per gestire la bonifica. Nell'Ue sono stati bonificati più di 65mila siti, tuttavia, la maggior parte dei siti potenzialmente contaminati rimane di gran lunga non trattata (Foto 2).


Fonti di inquinamento agricolo
Foto 2: Fonti di inquinamento agricolo
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(Fonte foto: Agenzia Europea per l'Ambiente)


La fitodepurazione consiste nell'utilizzo delle piante per degradare o immobilizzare ed eventualmente estrarre gli inquinanti dal suolo, rendendo questo ultimo nuovamente atto per la produzione agricola.

La destinazione più ovvia per la biomassa da impianti di fitodepurazione è la produzione di biocarburanti o energia. Il concetto è solo apparentemente banale, perché la sua implementazione richiede di saper rispondere correttamente ad una serie di interrogativi: Quali piante sono le più efficienti in ogni situazione? Quale tecnologia di conversione energetica è da adottare per lo sfruttamento della biomassa?

Il progetto di ricerca Phy2Climate, finanziato dal programma Horizon 2020, si prefigge come obiettivi l'identificazione della specie da coltivare più adatta per ogni combinazione di inquinante, clima e suolo, e la messa a punto di una tecnologia di produzione di biocarburanti avanzati e biocoke per le acciaierie o biochar per il miglioramento dei suoli.


Ad ogni inquinante la sua biodepurazione

I meccanismi di fitodepurazione del suolo possono essere tre: l'immobilizzazione dell'inquinante, in genere nella radice e porzione basale del tronco; la sua degradazione, tipicamente ad opera dei batteri della rizosfera; oppure l'assorbimento nella biomassa, come nutriente.

Il primo caso si applica ai metalli pesanti (As, Cu, Cr, Cd, Mn, Pb), contaminanti frequenti in siti adibiti o adiacenti ad attività minerarie e metallurgiche. Il secondo caso è ipotizzabile quando l'inquinante è una "molecola organica", etichetta che però racchiude un mondo di ulteriori categorie: TPH (idrocarburi di petrolio totali, detti anche idrocarburi degli oli minerali), PAH (idrocarburi policiclici aromatici), PCB (bifenili policlorurati, detti anche policlorobifenili o diossina-simili). Detti inquinanti si trovano solitamente in siti adibiti o adiacenti ad attività petrolchimiche o terreni agricoli che in passato hanno ricevuto fanghi fognari di scarsa qualità. Il terzo caso, quello più noto e per certi versi più "facile" da trattare, corrisponde all'assorbimento diretto di N, P e K, in minore misura anche Fe e B, in quanto nutrienti necessari alla produzione di biomassa, tipicamente da deiezioni animali e rifiuti organici.

Un altro parametro da considerare nella progettazione di un sistema di fitodepurazione sono le condizioni pedoclimatiche del posto. La tessitura, il pH e la capacità di scambio cationico del suolo, così come il regime di precipitazioni e le temperature medie, influiranno direttamente sulla capacità delle piante e dei batteri della rizosfera di assorbire o degradare l'inquinante.

Nella ricerca condotta dal Consorzio Phy2Climate i siti inquinati sono molto variegati per situazione pedoclimatica e tipo di inquinamento:

  • Spagna. Il terreno è contaminato con TPH e PAH. Sono state testate cinque specie vegetali: sorgo (Sorghum sp.), colza (Brassica napus), panico verga (Panicum virgatum) e girasole (Helianthus annuus); in combinazione con cinque ammendanti: compost, biochar, un biostimolante a base di rizobatteri, un fertilizzante commerciale, e un mix di compost più biochar più biostimolante. I migliori risultati sono stati ottenuti con le combinazioni sorgo più compost e sorgo più mix di ammendanti.
  • Lituania. Il terreno è contaminato con TPH, PAH, PCB. Sono state testate cinque tesi: amaranto (Amaranthus sp.), topinambur (Helianthus tuberosum) e tre combinazioni di diverse specie erbacee. Le tesi sono state combinate a loro volta con due ammendanti: vermicompost e fertilizzante commerciale. Tutte le tesi hanno dato risultati simili, e si è verificato che gli idrocarburi più leggeri vengono degradati in maggiore misura rispetto a quelli più pesanti. La produttività di biomassa è uguale o perfino leggermente più alta rispetto a quella di un terreno di caratteristiche simili ma non inquinato.
  • Serbia. Il terreno contiene un miscuglio di contaminanti: alti livelli di metalli pesanti (Cu, Cr, Pb, Zn) e bassi livelli di As, Cd, Ni, OCP (agrofarmaci organocloruri), PCB, TPH e PAH. Lo scopo è comparare la capacità depurativa della colza (Brassica napus) con canapa (Cannabis sativa), girasole (Helianthus annuus) e senape bianca (Sinapis alba). Sono stati applicati tre prodotti biostimolatori a base di rizobatteri. Si è riscontrato che i metalli e i metalloidi sono scarsamente bioaccesibili, la loro bioaccessibilità aumenta con l'applicazione di prodotti biostimolatori, ma in genere l'effetto è più di stabilizzazione nel terreno che di estrazione.
  • Argentina. Terreno di discarica di miniera estremamente contaminato con As, Cu, Zn, Cd, al punto di diventare tossico. Sono state testate piante xerofile autoctone: Plectrocarpa tetracantha (tipica dei deserti andini), Bulnesia retama (un arbusto diffuso in Sud America, chiamato retamo in spagnolo), Larrea cuneifolia (un arbusto legnoso e resinoso, chiamato jarilla in spagnolo) e Prosopis flexuosa (un albero basso di legno duro, chiamato mesquite o algarrobo negro in spagnolo). Compost e dolomite sono stati testati come ammendanti in combinazione con dette piante. Nessuna delle piante è sopravvissuta alle alte concentrazioni di metalli nel terreno, solo l'applicazione di compost e dolomite ha consentito la crescita, ma l'elevato pH risultante ne impedisce l'assorbimento dei metalli.

 

Un sistema universale di conversione della biomassa? Nullius in verba!

Il partner incaricato dei test di conversione della biomassa in biocarburanti è il prestigioso Fraunhofer Institut, il quale ha sviluppato e brevettato il processo Tcr®, Thermo Catalytic Reforming. Si tratta di un processo di pirolisi secca a due stadi (Foto 3): il primo stadio a 400-500°C produce il solito gas da pirolisi che, come sappiamo bene, contiene molte impurità collettivamente chiamate tar (catrame). Per superare questo problema, il processo prevede un secondo stadio a temperature fino a 700°C, e la presenza di un catalizzatore non meglio precisato (o forse diversi catalizzatori a seconda del caso).

Purtroppo, l'informazione su questo processo è scarsa e autoreferenziata, in quanto la letteratura disponibile è solo quella prodotta dagli stessi sviluppatori del sistema o dai loro collaboratori (ad esempio, 1 e 2). Poiché l'oste dichiara sempre che il suo vino è buono, le uniche informazioni che abbiamo sono quelle fornite nella pagina ufficiale dell'Istituto.

Stando a quest'ultima, e alle poche pubblicazioni disseminate in altri progetti di ricerca, i vantaggi del processo Tcr® rispetto ad altre metodologie di conversione energetica sarebbero (il condizionale è d'obbligo!):

  • Utilizza qualsiasi materia organica, indipendentemente dal tipo di contaminante, purché abbia meno del 30% di umidità. Biomasse contenenti fino al 50% di umidità si possono essiccare utilizzando il calore residuo del processo.
  • Processo veloce, robusto e impianti compatti.
  • Si potrebbe produrre in moduli containerizzati, facilmente trasportabili per produzione di biocarburanti o generazione di elettricità in loco. Non è chiaro quale sia la differenza di costo rispetto ai sistemi di gassificazione di biomassa esistenti.
  • Il bilancio energetico sarà favorevole per unità in grado di processare 500 chilogrammi/ora (non riporta alcuna analisi, quindi dobbiamo crederci sulla parola). Un impianto con detta capacità, finanziato con fondi del programma H2020, sta funzionando in Germania, alimentato con fanghi fognari.
  • Il processo produce syngas (ricco di H2), il quale si può utilizzare per produrre elettricità e calore con il classico cogeneratore a combustione interna, bioolio da raffinare ulteriormente, e acqua residua (non specifica le caratteristiche, quindi non è chiaro se si debba trattare e in tale caso quale sia il costo energetico del trattamento). Il syngas si può utilizzare per idrogenare il bioolio, producendo combustibili chimicamente identici a quelli petroliferi. Non è chiaro però a che prezzo né con quale bilancio energetico. Infine, il residuo è biochar da utilizzare come ammendante agricolo qualora la biomassa di alimentazione contenga solo inquinanti di tipo organico, oppure come biocoke per l'industria metallurgica qualora l'inquinamento derivi da metalli pesanti.

 

Schema di funzionamento del processo Tcr®
Foto 3: Schema di funzionamento del processo Tcr®
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(Fonte foto: Fraunhofer Institut, traduzioni dell'autore)


Conclusioni

I risultati del progetto Phy2Climate dimostrano per l'ennesima volta il vecchio proverbio: "Non ci sono soluzioni semplici per problemi complessi". La fitodepurazione è una tecnica apparentemente banale, ma ottenere il massimo rendimento da essa richiede una grande quantità di prove dai risultati imprevedibili.

Non sembra possibile la mera elaborazione di una tabella di specie da coltivare in funzione del tipo di inquinante e delle condizioni pedoclimatiche. La tecnologia Tcr® sembra molto promettente, ma le sperimentazioni condotte sinora lasciano aperti molti interrogativi: Quanto costerà un impianto a scala commerciale? Il bilancio energetico - più propriamente quello exergetico - sarà davvero positivo? E se volessimo applicare tale tecnologia in Italia: quale sarà il trattamento fiscale dei biocarburanti prodotti dai rifiuti e soprattutto quale sarà il loro inquadramento legale?

Non dimentichiamo che le fazioni più ecogiustizialiste del mondo politico burocratico, in Italia e non solo, sostengono l'interpretazione "più restrittiva" della disciplina sui rifiuti: un carburante derivato da rifiuto è a sua volta rifiuto. In barba alla normativa europea nota come "end of waste", che il sistema Tcr®, al di là dei pregi e delle incertezze segnalati sopra, rappresenta alla perfezione. Questo aspetto sociologico e legale è stato previsto nell'impostazione del progetto Phy2Climate, ma verrà valutato nei prossimi anni, verso la fine delle ricerche.


Bibliografia
(1) Jäger N., Conti R., Neumann J., Apfelbacher A., Daschner R., Binder S., Hornung A.; Thermo-Catalytic Reforming (Tcr®): A Platform Technology to Contribute Present Energy, Environmental and Resouce Challenges; Conference Paper, June 2016.
(2) Santos, J., Jahangiri, H., Bashir, M. A., Hornung, A., & Ouadi, M. (2020). The Upgrading of Bio-Oil from the Intermediate Pyrolysis of Waste Biomass Using Steel Slag as a Catalyst. Acs Sustainable Chemistry and Engineering, 8(50), 18420-18432.

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